Lo strano caso dei ribelli iraniani che finanziano i sovranisti spagnoli

Un movimento politico estremista iraniano, finanziato dall’Arabia Saudita e sostenuto attivamente da Stati Uniti ed Europa, promuove in tutto il mondo la causa “sovranista”. E in Spagna finanzia Vox, il partito di estrema destra.
BENIAMINO NATALE
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Lo so, la prima reazione è l’incredulità. Eppure, bisogna arrendersi ai fatti: i soldi con i quali Vox, il gruppo estremista di destra spagnolo nato pochi anni fa da una costola del Partido Popular, ha potuto finanziare le sue prime iniziative politiche sono venuti dai Mojahedin-e-Khalk o MEK (“Guerrieri del popolo”), un gruppo di esuli iraniani la cui storia si può sintetizzare in una pazzesca giostra che li ha portati a trasformarsi da feroci rivoluzionari islamico-socialisti a paladini della destra sovranista internazionale che ha nel presidente degli Stati Uniti Donald Trump il suo leader indiscusso. Alle kermesse che ogni anno il MEK organizza a Parigi hanno partecipato come speaker, negli ultimi anni, due sostenitori e collaboratori di Trump: l’ex-sindaco di New York Rudy Giuliani e John Bolton, ex-consigliere per la sicurezza nazionale.

Andiamo con ordine: lo scoop con il quale è stata rivelata questa intricata vicenda si deve al quotidiano spagnolo El Pais. Il 21 gennaio del 2019, il quotidiano pubblica la notizia, affermando che “gli esiliati iraniani non hanno finanziato solo la campagna elettorale di Vox del 2014 ma anche l’attività di tutti i giorni del partito fino all’arrivo delle elezioni stesse”. Continua El Pais:

Spese come il deposito e l’affitto della sede centrale della formazione in via Diego de Leon a Madrid, i salari del personale, quelli del leader Santiago Abascal – che nel 2014 ricopriva la carica di segretario generale –, l’acquisto dei mobili e dei computer furono coperte con il flusso di denaro dall’estero.

Alejo Vidal-Quadras, il primo presidente di Vox, con la leader indiscussa del MEK Maryam Rajavi

Dal dicembre 2013 (l’anno di nascita dell’organizzazione) al mese di aprile del 2014, secondo le rivelazioni del quotidiano “simpatizzanti del gruppo iraniano hanno inviato 971.890,56 euro sul conto di Vox”. I soldi inviati al gruppo spagnolo sono arrivati da sostenitori del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (CNRI), un’organizzazione della quale da alcuni anni fanno parte solo i Mojahedin-e-Khalk (MEK) e i loro fiancheggiatori.

Le rivelazioni di El Pais sono state confermate da Alejo Vidal-Quadras, il primo presidente di Vox. Vidal-Quadras ha precisato che il CNRI, col quale aveva avuto rapporti quando era vicepresidente del Parlamento europeo e a cui aveva chiesto aiuto, aveva “organizzato una sottoscrizione” tra i suoi sostenitori per permettere a Vox di iniziare la sua attività politica. Questa precisazione era necessaria perché la legge spagnola vieta che i partiti ricevano finanziamenti da organizzazioni straniere, mentre i contributi di individui stranieri sono consentiti.

Lo scoop era solido e molto difficile da smentire. Difatti, Vox non l’ha smentito, ma si è limitata a minimizzare la portata della vicenda. Il portavoce del partito, Ivan Espinosa de los Monteros, ha ammesso di aver ricevuto “per un breve periodo” un “contributo per lavorare” nella campagna per il Parlamento europeo con fondi provenienti dai simpatizzanti del CNRI.

A questo punto non rimane che vedere cosa sono il CNRI e il MEK e chi sono i loro dirigenti.

I Mojahedin-e-Khalk furono fondati tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta da studenti che facevano parte del Movimento di Liberazione dell’Iran, una coalizione di forze che si richiamavano a Mohammad Mossadegh, il popolare primo ministro che aveva nazionalizzato l’industria petrolifera e che fu rovesciato nel 1953 da un colpo di stato organizzato dagli Stati Uniti e dal Regno Unito.

Il MEK nacque come organizzazione anti-americana e anti-imperialista, che si batteva contro la dittatura dello Shah Reza Pahlavi. Il suo punto di riferimento ideologico era l’islam progressista dei fondatori del Movimento di Liberazione, come Medhi Bazargan e l’ayatollah Mahmud Taleqani. I giovani idealisti del MEK furono tra i più attivi contro lo Shah e nel 1972 undici membri del suo comitato centrale furono processati e condannati.

Di questi, nove furono fucilati e due messi in galera. Uno dei due era Massoud Rajavi che, una volta uscito, nel 1979, iniziò una collaborazione/competizione con gli ayatollah che si erano messi alla testa della rivolta popolare contro Reza Pahlavi, guidati dall’imam Ruollah Khomeini. I due, il giovane rivoluzionario con simpatie marxiste e il vecchio (allora aveva settantasette anni) prete integralista non potevano intendersi. Lo stesso Rajavi raccontò che l’imam gli aveva teso una mano per farsela baciare, e che lui aveva rifiutato quel gesto di sottomissione. “Da allora – disse Rajavi – siamo stati nemici”.

Massoud e Maryam Rajavi in una vecchia foto

ll MEK appoggiò l’allora presidente laico Abolhassan Banisadr quando questi si allontanò da Khomeini. E diventò il gruppo di opposizione agli ayatollah di gran lunga più forte del paese. Dopo anni di attentati, arresti ed esecuzioni, le forze di sicurezza degli ayatollah ebbero la meglio e i dirigenti del MEK sopravvissuti fuggirono all’estero.

Il dittatore iracheno Saddam Hussein, che aveva attaccato l’Iran nel 1980 contando su una rapida vittoria e che era invece rimasto invischiato in una feroce guerra di posizione, offrì agli esuli rifugio e finanziamenti. I militanti del MEK furono ospitati in Iraq in un accampamento chiamato Camp Ashraf, a pochi chilometri dal confine con l’Iran. Da qui, il MEK condusse una serie di azioni contro l’Iran, senza riuscire a mettere in difficoltà gli ayatollah e subendo forti perdite. 

Nell’isolamento di Camp Ashraf il gruppo marxista si trasformò in una specie di setta di assassini che ubbidivano ciecamente al loro leader indiscusso, Massoud Rajavi, e a sua moglie Maryam. L’ideologia islamico-rivoluzionaria del gruppo diventò sempre più confusa e alla fine si ridusse al culto della personalità della coppia Massoud/Maryam. Allo stesso tempo, i militanti venivano isolati dal resto del mondo e costretti a sottoporsi ad un controllo totale da parte dei leader che, come in molte sette di fanatici, arrivava fino a toccare la vita sessuale degli adepti.

Secondo le testimonianze di combattenti kurdi, il MEK fu usato da Saddam Hussein contro di loro e le altre minoranze irachene ribelli. Il MEK ha più volte respinto queste accuse. 

Il gruppo fu definito “terrorista” e messo sulla lista nera sia dagli Stati Uniti sia dall’Unione europea. Poi vennero l’undici settembre con gli attacchi di Al Qaeda alle Torri Gemelle e, nel 2003, l’attacco all’Iraq della coalizione guidata dagli Stati Uniti di George W. Bush. Saddam fu rovesciato e impiccato, ma la rapida vittoria si trasformò in una disastrosa guerra di guerriglia e tra i tanti problemi che si trovarono ad affrontare i dirigenti americani c’era quello di circa cinquemila combattenti del MEK bloccati a Camp Ashraf.

Secondo il quotidiano The Guardian, che ha dedicato una lunga inchiesta al MEK, i “falchi” dell’Amministrazione Bush, Donald Rumsfeld (segretario alla difesa) e Dick Cheney (vice presidente) pensarono di usare il MEK contro quello che consideravano il loro prossimo obiettivo, l’Iran degli ayatollah.

Scrive il Guardian:

[…] tra il 2007 e il 2012 sette scienziati nucleari iraniani sono stati attaccati col veleno o con bombe magnetiche attaccate alle loro automobili da motociclisti che le sorpassavano; cinque furono uccisi. Nel 2012 NBC news, citando due anonimi funzionari americani, ha sostenuto che questi attacchi sono stati ideati dai servizi segreti israeliani ed eseguiti da agenti del MEK in Iran. Un portavoce del MEK ha smentito queste affermazioni, sostenendo che ‘la loro fonte principale è il regime dei mullah’.

Negli anni della guerra in Iraq la posizione del MEK si fa sempre più debole e i suoi militanti sono in pericolo per le continue divergenze con il governo e con altri gruppi politico militari iracheni.

Di Massoud Rajavi non si hanno notizie certe dal 2003, e la maggior parte degli analisti ritiene che sia morto. Oggi la leader indiscussa dell’organizzazione è Maryam Rajavi. 

Maryam Rajavi con Rudy Giuliani, ex sindaco di New York City e avvocato-consigliere del presidente Donald Trump

Nel 2016, su invito del governo di Bagdad, gli Stati Uniti organizzano un ponte aereo per spostare poco meno di tremila militanti del MEK in un nuovo Camp Ashraf che sorge in Albania, alla periferia della capitale Tirana. Nel suo articolo, il Guardian riporta denunce di molti militanti fuggiti dal campo che parlano di soprusi, di violenze e addirittura di omicidi. Giornali e uomini politici albanesi cominciano a porre domande scomode sul MEK, affermando che è al di fuori del controllo del governo.

Negli ultimi anni il gruppo ha scoperto la democrazia, la libertà e i diritti delle donne, e ha lanciato una campagna di successo. Per essere cancellato dalle varie liste delle organizzazioni terroristiche. Prima l’Unione europea (2009), poi gli Stati Uniti e il Canada (2012) accettano la richiesta. 

Politici di tutti i paesi e di tutti i colori vengono invitati a parlare alla Free Iran Conference, che tutte le estati il MEK organizza a Parigi. Gli uomini politici invitati a parlare sono pagati profumatamente, decine di migliaia di dollari per comparizione. A queste manifestazioni partecipano migliaia di persone, provenienti da tutto il mondo. Da dove vengono i soldi? 

Ervan Abrahamian, un professore della City University di New York, autore di numerosi libri sull’Iran contemporaneo tra cui uno sui Mojahedin, ha detto al Guardian che “sicuramente, i soldi vengono dai sauditi”. 

Riassumendo: esiste un gruppo, una setta di fanatici pronti a tutto o quasi che è finanziata dall’Arabia Saudita, sostenuta attivamente da politici americani ed europei di varia estrazione ma principalmente esponenti della destra trumpiana, che viene usata per promuovere in tutto il mondo – per esempio in un importante paese europeo come la Spagna – la causa “sovranista”.

Quanto alla democrazia in Iran, certo non nascerà dai coniugi Rajavi e dai loro sostenitori.

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Lo strano caso dei ribelli iraniani che finanziano i sovranisti spagnoli ultima modifica: 2020-06-02T20:17:19+02:00 da BENIAMINO NATALE
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1 commento

Pierluigi Gatteschi 3 Giugno 2020 a 15:01

Molto interessante….

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