Nuovi modi per coesistere con il virus fino a quando non sarà individuata una cura. Questa è la vera sfida che tutti i Paesi, specialmente quelli maggiormente colpiti dal virus, dovranno affrontare nei prossimi mesi. E la Russia è uno di questi, con 467,673 contagi e 5,859 decessi (dato aggiornato al 7 giugno). Secondo le autorità, “la crescita dei casi di coronavirus si sta stabilizzando”, anche se è ancora in corso il dibattito sui numeri ufficiali.
Il 12 maggio, su ordine del presidente Vladimir Putin, si sono conclusi i non-working days e alcune regioni hanno deciso di eliminare gradualmente specifiche restrizioni imposte per contrastare il Covid-19.
Il sindaco di Mosca Sergey Sobyanin, che aveva esteso il lockdown della città fino al 31 maggio, ha annunciato, a partire dal 1° giugno, una cauta e parziale riduzione dello stesso, consentendo la riapertura dei negozi di prodotti extra-alimentari, di alcune società del settore dei servizi e di tutti i parchi, escluso Zaryadye Park. È, inoltre, in fase di sperimentazione “per una o due settimane” un sistema di pianificazione, per aree e indirizzi, che consente alle persone di uscire per una passeggiata.
Al di là del bollettino medico giornaliero e delle strategie politiche nazionali e locali, analizzare e comprendere la reazione della società russa alla pandemia è la chiave per individuare nuove soluzioni, un nuovo paradigma e nuovi strumenti per consentire alle persone di adeguarsi a questo nuovo “stile di vita”. Una prima risposta potrebbe provenire dalla comunità scientifica, dal mondo accademico e dal settore della ricerca.
Per questo, durante i giorni del lockdown moscovita, abbiamo raccolto la testimonianza di Marina Shilina, professoressa e Ph.D. presso la Plekhanov Russian University of Economics, inclusa tra le cento università dal “Times Higher Education Impact Rankings – 2020”, membro corrispondente dell’Accademia Russa di Scienze Naturali, direttore accademico e scientifico del Premio nazionale per lo sviluppo delle pubbliche relazioni “Silver Archer”, autrice di monografie scientifiche premiate relative ad alcune tematiche, tra cui comunicazione digitale, Internet, comunicazione “data-driven” e AI narratives in Russia, direttore scientifico e relatore nell’ambito di forum ed eventi internazionali, tra i cento esperti di media più citati, giornalista ed ex direttore delle pubbliche relazioni delle principali società classificate da Forbes Russia.
“Zone di guerra”, così molti dottori e infermiere a livello internazionale hanno definito ospedali e altre strutture Covid-19 dopo la diffusione della pandemia. Perfino il presidente Vladimir Putin ha paragonato la lotta al virus da parte della Russia alle antiche guerre con Peceneghi e Poloviciani. Secondo lei, la società civile russa, in particolare le giovani generazioni, condivide la medesima visione?
È difficile valutare ciò che sta avvenendo negli ospedali di Mosca e in altre parti del Paese restando a casa in autoisolamento volontario. Ma i media e i social network ci consentono di vedere e capire quanto sia tutto privo di importanza rispetto ai problemi legati al Covid-19.
Tuttavia, alcuni hanno un atteggiamento sprezzante nei confronti della pandemia e dell’autoisolamento. Hanno persino cominciato a chiamarsi “dissidenti Covid-19”. In Russia, in epoca sovietica, venivano considerati dissidenti coloro che lottavano per la verità e ora queste persone sono chiamate “Covidiots”.
Malgrado i rischi, oggi decine di migliaia di volontari, principalmente ragazzi giovani, stanno aiutando i medici e tutti coloro che necessitano di supporto. Sono numerosi i fondi di beneficenza, le risorse dei canali ufficiali, i gruppi attivi sui social network che coordinano queste iniziative.
So che a Mosca vi sono studenti di medicina senior che lavorano negli ospedali, con un salario elevato per gli standard russi. Ho letto che qualcuno si è rifiutato, ma altri, a dispetto del coronavirus, sono pronti a prestare servizio in ambulanza. Ksenia, una collega dell’Università (non è una dottoressa), ha mandato il figlio dalla suocera e ogni giorno va a lavorare nella “zona verde” dell’ospedale, in quanto tutte le risorse dei Dipartimenti sono mobilitate per quella rossa.
Vorrei citare un aneddoto molto noto: quando la nipote ha videoregistrato le storie sulla Seconda Guerra Mondiale della nonna di 98 anni Zinaida Korneva, la veterana ha raccolto oltre mezzo milione di rubli a favore dei medici.
Nella regione di Mosca un uomo d’affari ha messo a disposizione dei medici un intero aereo cargo contenente equipaggiamento e dispositivi di protezione. Altri uomini d’affari di primo piano, come Usmanov e Potanin, hanno stanziato miliardi di rubli, mentre Alfa-Bank ha trasferito l’utile annuale sul conto della sede operativa per combattere il coronavirus. Volontari e società hanno inviato cibo, infermieri e persino ambulanze agli ospedali. Gli hotel ospitano gratuitamente i medici che necessitano di riposo e anche alcuni taxi e autisti privati accompagnano gratis medici e chi effettua le donazioni.
In una megalopoli come Mosca è quasi impossibile appendere fuori dalla finestra, com’è avvenuto in Italia, i cesti della beneficenza (cesti “sospesi”) per condividere i prodotti. Condividiamo, invece, aiuti e donazioni online.
Noi russi, come gli italiani, siamo sinceramente grati ai dottori e alle infermiere “in prima linea”: nelle città italiane abbiamo visto molte persone applaudirli dal balcone. Il Cosmos Hotel, una delle strutture più grandi di Mosca, ove adesso alloggiano i medici, di notte illumina la facciata con la scritta “Grazie ai dottori”.

Parliamo di Mosca. Lei vive in questa città ed è professoressa alla Plekhanov Russian University of Economics. Il sindaco di Mosca Sergey Sobyanin è stato il primo a dichiarare il lockdown, a partire dal 30 marzo. Secondo Lei, sta gestendo bene la situazione, visto che a livello nazionale Mosca è la città più colpita in termini di contagi?
Lo scenario della pandemia a Mosca è abbastanza specifico, mi sembra. Era quasi impossibile mettere in atto nella capitale il metodo cinese, in quanto in Cina l’infezione era circoscritta ad una provincia. Mosca è la più grande città russa e un hub dei trasporti. Lo dimostra, ad esempio, la presenza di cinque aeroporti. Nell’ultimo mese e mezzo, prima dell’autoisolamento, oltre un milione di persone è arrivato in Russia passando per Mosca (e di questi i moscoviti erano solo circa 120mila). L’evoluzione della pandemia nella capitale ha seguito l’andamento europeo, come indicato dal sindaco Sobyanin. Secondo fonti ufficiali, il virus è stato portato in Russia dall’Europa e da lì si è diffuso in tutto il territorio con una reazione a catena. A oggi, Mosca è la città con il numero più elevato di casi.
Perché le infezioni continuano ad aumentare anche dopo l’annuncio dell’autoisolamento? Non c’è una risposta definitiva, credo. In qualsiasi metropoli sono sempre tanti i possibili luoghi di contagio, anche se vengono osservate tutte le regole: i negozi di alimentari, i trasporti pubblici, la metropolitana (ove è difficile mantenere la distanza nelle ore di punta), in taxi. Pensiamo ai grattacieli in cui le persone sono costrette a usare gli ascensori. Ogni giorno sono circa due milioni e mezzo le persone che animano la vita della città. L’incremento in termini statistici delle persone contagiate è legato all’avvio del mass testing e all’identificazione dei pazienti asintomatici.
Inoltre, ritengo che vi sia una “specificità russa” che caratterizza la percezione della situazione. La mia amica russa che vive a Berlino da anni è un esempio significativo: il primo giorno di allentamento delle restrizioni legate all’isolamento è andata a fare una passeggiata e poi è tornata rapidamente al lavoro. Il marito tedesco, invece, osserva scrupolosamente tutte le regole e mantiene le distanze anche a casa.
Tuttavia, se non fosse stato imposto l’autoisolamento volontario, non si sa come si sarebbe sviluppata la situazione. Secondo uno studio del laboratorio scientifico della Plekhanov University, “Modellizzazione dei sistemi socioeconomici”, condotto all’inizio dell’isolamento sotto la supervisione del professor Sergey Valentey, il 21 aprile il numero dei casi di infezione previsti avrebbe dovuto ammontare a 295.000 persone. Tuttavia, secondo Rospotrebnadzor e la Johns Hopkins University, i valori erano di gran lunga inferiori. Ora è in corso un dibattito sui numeri, ma, in ogni caso, gli indicatori in termini percentuali di Mosca sono minori rispetto a quelli di New York o Londra, solo per citare alcuni esempi.
A Mosca l’autoisolamento volontario e gli spostamenti con i permessi continuano. Adesso è obbligatorio indossare mascherine e guanti sui mezzi pubblici e nei luoghi affollati e la sanzione per la violazione di tali prescrizioni è alquanto elevata (quattro – cinquemila rubli / circa sessanta – settanta euro).
L’11 maggio il presidente Putin ha annunciato che i non-working days sono terminati. Pertanto, la decisione finale sull’autoisolamento spetta alle autorità regionali. A Mosca l’autoisolamento è stato esteso fino al 31 maggio, ma la transizione graduale alla vita ordinaria è già prevista.
Noi italiani, sfortunatamente, siamo consapevoli delle restrizioni del lockdown e dobbiamo convivere ogni giorno con la paura e le incertezze sul futuro. Come procede la vita quotidiana a Mosca durante questa difficile fase? Ha rilevato carenze nell’approvvigionamento di cibo, medicine o beni di prima necessità?
Secondo gli ultimi sondaggi, le preoccupazioni dei russi sono rivolte principalmente ai problemi economici e poi al resto, compresa la salute dei propri cari. Questo fenomeno è abbastanza prevedibile: secondo diverse fonti, in quasi la metà delle famiglie i redditi sono diminuiti. La depressione è presumibilmente più elevata nelle famiglie a basso reddito. Tuttavia, un terzo degli intervistati è depresso e uno su dieci è abbastanza tranquillo.
Come in tutti i Paesi si è verificata una forte domanda di prodotti e dispositivi di protezione. Gli esperti del mercato russo hanno stabilito che a metà marzo per la prima volta la corsa agli acquisti è cresciuta in maniera paradossale, dopo le notizie sul lockdown e sulla carenza di prodotti in Italia. Al deficit della prima è seguita la seconda ondata compulsiva di acquisti. Le persone hanno reagito alle notizie alla velocità della luce. In media, a marzo, gli acquirenti hanno immagazzinato prodotti per circa tre-quattro mesi, i prodotti alimentari sono stati venduti il doppio rispetto alla vigilia di Capodanno. Gli stereotipi sul comportamento dei clienti sono divenuti rapidamente meme, ad esempio, per il massiccio acquisto di grano saraceno e carta igienica.
Non ho riscontrato particolari carenze di prodotti né a marzo né ora, ma ho visto le fotografie sui social network. Per un po’ di tempo è stato difficile trovare mascherine e antisettici, ma molto tempo fa era tutto a disposizione. Le mascherine vengono vendute anche nei negozi di alimentari e nei distributori automatici delle stazioni della metropolitana e nei negozi i disinfettanti sono disponibili gratuitamente.
Lei ricorda una crisi simile a questa avvenuta in epoca sovietica o dopo il crollo dell’URSS?
Se riflettiamo sulla crisi provocata dal coronavirus, il primo pensiero va spesso all’incidente di Chernobyl.
Ma, per prima cosa, vorrei ricordare l’epidemia di poliomielite dei primi anni Cinquanta. Entrambi i virus sono presenti in natura e sono estremamente pericolosi. La poliomielite colpisce bambini e adulti (ad esempio, il presidente Roosevelt s’ammalò a 39 anni). Il poliovirus è impercettibile, penetra nel corpo a causa delle mani sporche e, purtroppo, non muore. Il virus infetta gli organi e il sistema nervoso centrale, il danno polmonare è fatale. Il dieci percento dei malati muore, il quaranta percento diventa disabile. In Europa l’ultimo grande focolaio di poliomielite è iniziato negli anni Cinquanta. Nel 1954 fu rilevato in URSS e l’epidemia durò diversi anni. La mortalità era molto alta. Il vaccino sovietico contro la poliomielite (si tratta di gocce da assumere per via orale) ha contribuito a curare cento milioni di persone, quasi l’ottanta per cento della popolazione. Lo stato ha lanciato una potente e mirata azione di propaganda basata sul concetto di “mani pulite” e anche questo ha dato risultati.
Sono trascorsi più di quarant’anni da quando è stata fatta luce sulla natura del virus all’inizio del Ventesimo secolo finché è stato individuato negli Stati Uniti e in URSS un vaccino. Speriamo che oggi gli scienziati siano in grado di gestire l’emergenza più velocemente, individuando subito una cura contro il Covid-19.
Per quanto concerne Chernobyl, vi sono diversi livelli di comparazione. Come ha notato in una recente conversazione il mio collega Artem Galustyan, giornalista di Kommersant (uno dei principali media russi), di Chernobyl ciò che lo ha scioccato è che la vita sociale potesse spezzarsi così facilmente, che tutto fosse così fragile e arbitrario. Decenni dopo, tuttavia, si è recato alla centrale nucleare. La percezione personale di Chernobyl e del Covid-19 è che siano abbastanza simili in quanto si tratta di una catastrofe priva di forma che lascia un senso di vuoto. Non hanno né odore né colore.
La crisi di Chernobyl ha colpito molte persone e Paesi. In Russia, quasi 600.000 persone (ndr i c.d. “liquidatori”) presero parte al recupero della zona dell’incidente. Migliaia di persone hanno trascorso le festività di maggio senza sapere nulla dell’esplosione. La nube radioattiva ha raggiunto l’Europa, in particolare l’Italia.
La notizia dell’incidente non è stata diffusa per molto tempo e non è mai stata rivelata del tutto la verità. Ma, secondo gli esperti, ciò è avvenuto non solo a causa del Partito comunista e dell’inerzia dell’apparato burocratico. Gli esperti ritengono che le autorità non siano state in grado di valutare correttamente la situazione in quel momento.
Anche ora la situazione non è chiara e la crisi è globale. Finora solo pochi Paesi sono stati in grado di avviare un processo di stabilizzazione. In Russia, è in corso un piano di ristrutturazione per risolvere la crisi. Ad esempio, in alcune città le autorità locali prendono le decisioni in autonomia e l’autoisolamento non è stato neanche annunciato. Le informazioni sul Covid-19 sono accessibili e a disposizione. Naturalmente, sono necessarie spiegazioni chiare e oneste da parte degli esperti e modelli fondati di comportamento per i cittadini.
A mio avviso, malgrado le cause di natura diversa che hanno provocato entrambi i disastri – determinate dall’uomo, in un caso, e biologiche, nell’altro – e la diversa portata, il fattore umano è cruciale. Tuttavia, in questa fase è radicalmente cambiata la natura della minaccia. La diffusione o la mancata proliferazione della malattia dipende dal singolo individuo, dal livello di solidarietà sociale e dalla nostra capacità di prendere decisioni in un clima di incertezza. Il livello sociale della crisi e l’exit strategy sono determinati dal livello di disuguaglianza digitale e dall’accesso a Internet. I media e i professionisti della comunicazione devono rendere concreta questa immagine “astratta” della catastrofe – il vuoto e l’assenza di forma, odore e colore. La communication e media literacy dovrebbe svolgere una funzione di protezione.
Oggi la pandemia è radicalmente diversa, in quanto definisce un livello fondamentalmente nuovo di responsabilità sociale – o irresponsabilità – e non solo delle élite, ma anche dei cittadini, credo. Ed è fortemente necessaria la solidarietà sociale di massa.
Nonostante la diffusione del virus, è fondamentale, per quanto possibile, lo sforzo congiunto di tutta la società, a partire dal settore dell’istruzione. A marzo, il Ministero della Scienza e dell’Istruzione ha invitato le università a pianificare tutte le lezioni in modalità online e da remoto. Come organizza lezioni e programmi, fornendo, nel contempo, il suo supporto agli studenti?
Non appena è stato annunciato l’autoisolamento, quasi tutte le università (e le scuole) hanno adottato la modalità della formazione a distanza. In effetti, il concetto di “Università 3.0” è ben noto e non così nuovo. In questo senso, la Plekhanov University è in linea con gli standard internazionali. Per la maggior parte delle materie organizziamo corsi obbligatori di educazione digitale introdotti molto tempo fa. Tutti sono nel sistema interno informatizzato dell’Università. Anche gli esami vengono svolti in modalità telematica (ad esempio, l’anno scorso, uno dei miei studenti del corso ha sostenuto un esame online con trecento domande). Studenti e insegnanti hanno account elettronici personali e l’e-mail dell’Università.
Ma una repentina conversione online di tutte le attività e i cambiamenti della vita quotidiana sono un’ovvia causa di forza maggiore. In termini organizzativi, tutto è stato ricostituito rapidamente. Immediatamente, sul sito web dell’università sono stati pubblicati informazioni sul virus, regolamenti, un programma con gli indirizzi e-mail dei siti di studio, video didattici sull’apprendimento a distanza etc. Sono stati realizzati webinar di formazione online per studenti e insegnanti ed è stata istituita una linea diretta per comunicare con gli studenti. Il nostro dipartimento ha creato due gruppi nell’ambito di WhatsApp, una piattaforma su Microsoft Teams per avviare un confronto costante – a volte molto intenso – e per risolvere i problemi quotidiani (è stato condiviso un salutare programma giornaliero di attività in cui si apponeva ogni mattina il segno più “+”).
Lo sviluppo tecnico di format per la didattica a distanza ha richiesto tempo, perché, quando tutta l’università (decine di migliaia di studenti e insegnanti) studia online, il carico sul sistema aumenta. Curiosamente, la “ristrutturazione” tecnica delle generazioni senior è stata più rapida rispetto a quella di molti giovani.
È stato insolito comunicare con gli studenti attraverso lo schermo (ora diventerà una sorta di “must-have”, presumo). Ma gli insegnanti brillanti sono riusciti a mantenere l’attenzione del “pubblico” online. Un elemento confermato dalle nostre survey sul lavoro quotidiano, condotte dal primo giorno di distance learning per capire come organizzare al meglio il processo.
Gli studenti, ovviamente, hanno iniziato a dire che i compiti assegnati erano troppi. Tuttavia, non si tratta di comportamenti infantili come avveniva durante le lezioni a distanza a scuola quando i ragazzi inserivano un avatar durante la sessione di zoom della lezione, mentre facevano altre cose.
Ora gli studenti scrivono tesine e tesi di laurea (e molte biblioteche hanno consentito l’accesso gratuito agli archivi). Continuiamo la ricerca scientifica e stiamo preparando, insieme all’Accademia delle Scienze russa, una conferenza internazionale della gioventù sul tema “AI narratives in a new communication reality”, sviluppando con i colleghi svizzeri un progetto che prevede una borsa di studio congiunta per giovani scienziati. Non vediamo l’ora di mantenere i contatti accademici con i colleghi italiani dell’Università IULM, dell’Istituto EURISPES etc. Spero che l’università e la scienza siano sempre più aperte, e non solo dal punto di vista digitale.
Come sempre, parlo con i miei studenti tramite e-mail e diverse app. Abbiamo iniziato a conversare di più telefonicamente. Il supporto dell’insegnante è divenuto più importante visto che non è possibile organizzare riunioni di persona. Ma, nel contempo, è necessario mantenere uno spazio personale che sia libero da questioni di lavoro vincolanti e trovare format in versione “home” per il lavoro quotidiano. Ad esempio, la nostra preside Elena Okun’kova organizza incontri virtuali con un gruppo di studenti, ma con un vero tea party.
Giovani insegnanti creano nuovi format: Maxim Markov legge il rap con le informazioni necessarie nei suoi teaser prelezione.
Lo University Volunteer Center aiuta le persone anziane. Per il “Giorno della Vittoria” della Seconda Guerra Mondiale si sono congratulati con i veterani offrendo doni.
Nel campus, per studenti e stagiaire, compresi quelli stranieri che non hanno lasciato casa, sono state create condizioni speciali di isolamento. L’università fornisce il vitto a tutti, se necessario.
Alla Plekhanov University, ove la frizzante vita studentesca e il “movimento” dalle otto del mattino fino a notte, sei giorni alla settimana, sono sempre attivi e il “traffico” degli studenti nei corridoi durante le pause erano meme, si avvertiva particolarmente il senso di vuoto nei primi giorni di autoisolamento… Spero che l’università rimanga un luogo di vivace comunicazione scientifica e personale. Lo spero perché l’inserimento della causa di forza maggiore nel futuro dell’università digitale ha confermato che, malgrado i nuovi format in distance learning, nell’“università 3.0”, università è ancora la parola chiave.

Qual è stata la reazione dei suoi studenti, tra la paura del virus e i problemi ordinari da affrontare ogni giorno?
In generale, la percezione della crisi tra i giovani con cui sono in contatto è positiva. Sono ottimisti solo perché hanno vent’anni.
Ma il peso psicologico è cresciuto in modo significativo. Per essere ancora più precisi, tutto è cambiato radicalmente al variare dell’ordinaria vita quotidiana.
Naturalmente, gli studenti hanno organizzato “proteste domestiche” contro “l’isolamento volontario”. Ma, a mio avviso, tutti si sono adattati abbastanza rapidamente. Penso che l’impatto della futura professione influisca su questo, mentre siamo impegnati in lavori creativi – quali pubblicità, pubbliche relazioni, media, design. E la creatività rappresenta sempre la ricerca di soluzioni innovative. Per gli studenti la creatività è, di solito, anche una causa di forza maggiore. Ad esempio, realizziamo progetti tecnologici innovativi che ci sorprendono ogni volta con nuove soluzioni che nascono al volo, in particolare alla vigilia dell’esame.
Ora abbiamo più tempo libero e, visto che ogni gruppo ha un curatore nei corsi junior, abbiamo iniziato a lavorare con i ragazzi focalizzando l’attenzione sui loro interessi su un piano più personale.
Il mio collega Vladimir Koshel riunisce gli studenti in un club cinematografico online per discutere della natura della creatività. Gli studenti senior girano brevi video motivanti per tutti e li pubblicano sui social network. Ad esempio, Daria Kuvshinova ha illustrato la sua prima ricerca in Russia sulle entità virtuali-influencer (la ricerca è già stata pubblicata in Francia), Marya Terekhova ha presentato gli studi sul geobranding che sta attualmente portando avanti per la sua laurea in Svizzera. Alexandra Stepanova ha condiviso la sua esperienza legata alla creazione di una sua versione della rivista online per AliExpress in Russia (il suo progetto ha vinto un concorso internazionale). Maria Sychkova ha descritto l’impegno profuso nella giuria di un concorso nazionale professionale da quando ha vinto un concorso studentesco con il suo collega. Iva Shaghinyan ha condiviso la sua esperienza artistica di lungo corso per migliorare ancora il “voice brand” personale degli studenti. Adesso si sta svolgendo tra studenti un grande video contest sulla vita in autoisolamento.
Cerchiamo di sfruttare qualsiasi opportunità interessante per la comunicazione. Nel contempo, non carichiamo maggiormente le informazioni, anche se positive e divertenti.
A tale proposito, ora circolano molte battute. I nostri studenti hanno scelto il tema “We Are A Virus” – – a Venezia l’acqua senza “humans-viruses” era così pulita che i delfini e i cigni erano tornati in quelle zone – e hanno specificato che nelle loro tesine e tesi di laurea l’”acqua” è divenuta ancora più pulita adesso.
Nella vita sociale l’università è ancora un punto di crescita per la comunicazione: centinaia di persone continuano a frequentare i tradizionali corsi di formazione continua presso la Plekhanov, ora anche online. E proprio in questa fase la nostra collega Ksenia Kutyanskaya ha iniziato a organizzare per tutti percorsi gratis di creativity training.
L’autoisolamento ha determinato cambiamenti positivi in ambito relazionale. Restando a casa, molti studenti dicono di aver capito che la famiglia è il loro “place of power”. Durante questi difficili mesi, tutti noi, insegnanti e studenti, ci siamo avvicinati dal punto di vista umano. Penso che sia dovuto al fatto che ora, quando ci mettiamo in contatto, sicuramente chiederemo agli studenti come stanno le loro famiglie e i loro cari.
In generale, aspettiamo con impazienza l’estate e le vacanze!
Questo nuovo scenario richiede un importante processo di digitalizzazione che sarà sempre più strategico al fine di sostenere nel lungo periodo cittadini, studenti e imprese. Il presidente Putin ha già inserito l’economia digitale tra i principali obiettivi in termini di crescita e a gennaio il primo ministro Michail Mišustin ha affermato che il Paese dovrebbe implementare moderne tecnologie informatiche e un programma nazionale di economia digitale. Secondo Lei, le università russe sono pronte ad affrontare la sfida?
Durante lo scorso decennio in Russia sono stati sviluppati numerosi programmi nazionali strategici per la digitalizzazione e l’implementazione dell’intelligenza artificiale. Negli ultimi anni, a livello ministeriale, è stata definita l’idea di Chief Digital Transformation Officers – CDTO. La pandemia ha immediatamente proiettato tutti in un futuro digitale, trasformando la digitalizzazione in uno strumento comune a molti settori e, naturalmente, anche all’istruzione universitaria. In ogni caso questa tendenza proseguirà.
Per me è difficile valutare se le Università siano pronte ad affrontare questa sfida quando ancora non disponiamo di dati di sintesi. Il 21 maggio, alla tavola rotonda internazionale online sulle prospettive dell’alta formazione, il rettore della Lomonosov Moscow State University e il presidente del consiglio nazionale dei rettori Viktor Sadovnichyj hanno dichiarato che, a partire dai primi giorni di autoisolamento, sono state 620 le università russe – circa cinque milioni di studenti e 300.000 insegnanti – ad adottare le modalità di distance learning.
Secondo gli ultimi dati di Urite, una delle case editrici accademiche di Mosca, il livello medio di digitalizzazione nelle università e nei college di Mosca è piuttosto elevato.
Ovviamente, nell’ambito dell’alta formazione, la crisi ha dato slancio alla ricerca di soluzioni digitali totalmente nuove. Solo un esempio: gli studenti della Higher School of Economics hanno creato il loro edificio digitale universitario all’interno del popolare gioco Minecraft. Ora si terranno molti eventi ufficiali, persino open day universitari. La Plekhanov University e altre università hanno deciso di partecipare a questa esperienza.
Il formato del gioco consentirà agli studenti di sviluppare in un modo completamente diverso differenti abilità, sia personali sia professionali. Ad esempio, la presenza congiunta, la nuova “fisicità digitale” etc.
Inoltre, l’alta formazione rappresenta un ambito di sfida naturale: la decentralizzazione, la nascita di “provider” come Minecraft, che sono lontani dall’alta formazione stessa. L’educazione online, anche con “chip” innovativi, alla fine, riguarda la creazione di un prodotto di educazione di massa. Lo sviluppo, o direi anche, la cura dell’intelligenza e della crescita personale – è un’opera d’arte. Inoltre, l’educazione fin dall’inizio è sempre stata un fattore di socializzazione. Anche se ci si chiede: quali saranno le modalità di socializzazione e, in generale, la vita quotidiana post-Covid-19? È un quesito aperto.
Nell’ultimo decennio gli scienziati americani hanno dimostrato che gli “studenti online” non sono superiori a quelli “offline”. Prima l’istruzione online era giustamente considerata un elemento extra, non un’alternativa all’alta formazione tradizionale. Oggi la digitalizzazione dell’istruzione continuerà in ogni caso.
Per l’università l’istruzione – non la formazione – era sempre considerata il fattore principale. Quindi, i suoi obiettivi e gli effetti dovrebbero rimanere umanitari (questo emerge con particolare evidenza dalla mia esperienza di docente in università sia umanistiche sia scientifiche in Russia e all’estero, di consulente scientifico e di genitore in tutte le fasi del percorso universitario e post-laurea che ho vissuto con molti studenti e con i miei figli).
Lei è una sorta di “pioniere” nell’ambito degli studi sulla comunicazione e ha ottenuto molti riconoscimenti in ambito accademico, nel settore pubblico e privato. Secondo lei, in che modo questa crisi influenzerà i comportamenti e le connessioni tra i membri della società civile?
Oggi è difficile fare previsioni, anche se basate su studi che stiamo portando avanti in tempo reale. Ed è impossibile non fare previsioni.
Ovviamente, una pandemia sarà sempre caratterizzata da un rischio di fondo costante. Interesserà tutti i livelli dei social network e della società civile, sebbene non vi siano relazioni lineari tra pandemie e cambiamenti sociali.
Nell’economia e nello sviluppo sociale i Paesi che hanno fermato la crisi ne trarranno beneficio. Se il mondo si dividerà in cittadini positivi al Covid-19 e negativi, non vi saranno più le tradizionali differenze materiali, intellettuali e di classe e i relativi privilegi. Si fa riferimento ad un divario estremamente pericoloso tra cittadini positivi al Covid-19 e negativi nella fase iniziale. Dal punto di vista scientifico, ho definito questa situazione come un divario sociale “Coviddriven”. È multilivello, in primis biologico, poi digitale etc.
Se dovesse esserci una nuova stratificazione e divisione sociale “Coviddriven”, la crisi delle relazioni sociali sarebbe inevitabile.
La pandemia ha evidenziato l’importanza della digitalizzazione. Significa che il data capitalism e il divario “data-driven” aumenteranno, la società dipenderà sempre più dai soggetti “invisibili”, ma necessari, di Internet – proprietari di web source, piattaforme, dati, software, provider etc.
I format di produzione e i rapporti di lavoro cambieranno. Ad esempio, vi sarà una ridefinizione delle barriere legate alle relazioni familiari a causa dell’impiego domestico online.
L’influenza dei media aumenterà: l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito la crisi del coronavirus come un’epidemia informativa, un’infodemia, mentre si riscontrano una carenza di fatti e un crollo dei fake (per quanto ne so, in Russia, è in fase di predisposizione un’enciclopedia di fake e dicerie sul coronavirus da parte degli antropologi sociali di Mosca).
Anche il crowdsourcing sociale diventerà globale. In particolare, dovrebbe fornire un supporto nella creazione del vaccino Covid-19 e nei mass testing.
L’Open Science e università accessibili creeranno, fondamentalmente, nuove alleanze scientifiche creative per risolvere i problemi interdisciplinari più gravi e il Covid-19 in primis.
Nella vita quotidiana la “nuova fisicità” sarà importante. All’inizio della pandemia in aula abbiamo parlato con gli studenti della comunicazione e dei professionisti del futuro che vedrà la presenza di esperti di tattilità. Ora questo non sarebbe uno degli ambiti della comunicazione professionale, ma un trend importante.
Nella società civile la solidarietà sociale continuerà ad essere una peculiarità chiave. La fiducia sarebbe, dunque, l’asse portante delle relazioni interpersonali, della produzione e dell’interazione mondiale.
Nella sfera pubblica variare l’architettura della comunicazione richiederà cambiamenti drammatici. In effetti, sarebbe necessario un nuovo spazio pubblico. In particolare, mi piace l’idea di nuove zone pubbliche di coworking negli edifici residenziali, che sono così importanti durante il lockdown e che sono state menzionate dagli architetti italiani in una lettera aperta (di medici, architetti, scienziati) al presidente italiano Sergio Mattarella.
In Russia le relazioni sociali hanno una specificità nazionale manifesta. Per cominciare, nei trent’anni di transizione post-sovietica i gruppi sociali, sostanzialmente, non si sono sviluppati e non sono definiti. Il Paese è caratterizzato da un livello tradizionalmente basso di fiducia verso le autorità (secondo una survey del 2019, fanno eccezione il presidente e l’esercito). Nell’economia digitale questo è una criticità chiave, come abbiamo rilevato nella nostra ricerca di un anno fa.
Anche il livello di fiducia interpersonale è piuttosto basso. Pertanto, le comunità locali si stanno sviluppando male. Le connessioni locali saranno richieste in funzione della crisi legata al Covid-19, specialmente in una megalopoli come Mosca. Dovrebbe avvenire un significativo reload dei forti legami di produzione e degli interessi del passato, nonché della loro transizione a un livello locale. Nel contempo, il capitale sociale sarà costituito principalmente e dipenderà direttamente dalle qualità personali.
Durante la crisi legata al coronavirus, la divisione amico-nemico colpirà, in particolare, i migranti, sia tra regioni sia tra paesi. In Svezia è stato intrapreso il percorso di sviluppo dell’immunità sociale, basandosi sull’autoconoscenza e sulla solidarietà degli svedesi. Non ha avuto così tanto successo, sebbene circa un quarto della popolazione del Paese sia costituito da immigrati. Questo è uno dei motivi alla base delle criticità legate alle strategie anti-crisi selezionate.
Nuovi rischi (post) Covid-19 sorgeranno. Quindi, per fermare il virus saranno sicuramente necessarie nuove competenze in termini di comunicazione sociale. In particolare, la media literacy relativa al Covid-19 e i principi fondamentali della comunicazione per la salvaguardia della vita saranno on demand (stiamo attualmente sviluppando un progetto simile presso il Communication Lab del National “Silver Archer Award for the public relations development”). Sono fermamente convinta che questi due “corsi” debbano essere insegnati fin dalla prima infanzia (come la media literacy nei Paesi scandinavi insegnata fin dall’asilo).
E, naturalmente, è necessario imparare a resistere alla vita reale, ai conflitti virtuali e al fenomeno dei vigilantes digitali.
In Russia non esisteva il cosiddetto “balcony Gestapo”, come in Spagna a causa della debole comunicazione locale. Storicamente, qui è considerato piuttosto un modello negativo di comportamento. Ma durante la crisi Covid-19 un’attività sociale simile da parte dei cittadini potrebbe essere richiesta e diventare un punto di crescita dell’autocoscienza sociale.
L’elemento principale è dato dalla creazione di una nuova generazione (o generazioni?) di “covinials”. Questa è una sfida per la famiglia e il sistema educativo, per la società e lo stato.
Al ricercatore si presenta l’opportunità unica di sviluppare la capacità di prevedere questa nuova realtà comunicativa e modelli predittivi per identificare i tratti distintivi della solidarietà sociale e dell’empatia, del divario “Covid-19 driven” etc.
Autoisolamento, quarantena, distanziamento sociale, questa è la nuova realtà, almeno per un po’. Ritiene che i nuovi media, l’Information Technology, i social media etc. saranno in grado di contribuire ad alleviare il peso della pandemia, creando un nuovo paradigma e adeguati strumenti di comunicazione e interazione?
In questa fase di lock-up i media digitali – intesi, nel senso più ampio, come mezzi di comunicazione sociale – sono una risorsa prioritaria per adattarsi a una nuova realtà.
In primo luogo, le app e i social network diventano on-demand come risorsa per alert istantanei e supporto sociale. Gli utenti hanno iniziato a organizzare incontri tramite Zoom e a inviare brevi video con le istruzioni per tutelarsi, condividere consigli, storie positive e film. Sebbene a marzo la corsa agli acquisti avvenuta a Mosca sia stata provocata anche dagli utenti dei social network, come accennato in precedenza.
Sono comparsi nuovi influencer – medici e infermieri (è confermato dagli ultimi studi sociologici). Ad esempio, il video “Call to stay home” realizzato da Victoria Shutova, una dottoressa di un’ambulanza della provincia di Vyborg, è stato visto da dodici milioni di persone in pochi giorni.
Sembra che questa tipologia di attività dei media civici (l’ho definita come “una solidarietà mediatica civile, quotidiana, anti-crisi e trasversale”) rimarrà per molto tempo e si svilupperà.
Nei media ufficiali la crisi pone in evidenza solo le peculiarità ben note del sistema mediatico russo, principalmente a controllo statale.
Inoltre, sono comparsi nuovi punti di crescita. Ad esempio, una percentuale alquanto ridotta di russi si fida dei media ufficiali. Ma ora il pubblico inizia a guardare i canali televisivi statali che propongono un’agenda più comune. In particolare, l’incremento dell’audience dipende dai giovani. A maggio, l’appello del presidente ha assunto un ruolo di primo piano nelle visualizzazioni e lo share è stato quasi del dieci percento superiore a quello dei programmi tv più votati.
A Mosca, sono emersi nuovi strumenti IT come l’app di Monitoraggio Sociale (è necessario connettersi all’app se si è malati o a rischio).
Nuovi strumenti di comunicazione saranno ideati periodicamente. E, in ogni caso, è importante che la nostra nuova solidarietà mediatica civica rimanga il paradigma chiave.
In qualità di professoressa, giornalista e membro della comunità scientifica, come valuta il flusso di comunicazione sul coronavirus gestito dal governo e dai media? Hanno attirato la Sua attenzione alcuni “bias” o elementi positivi?
In Russia il sistema mediatico, come dicevamo poc’anzi, è prevalentemente statale. Media e giornalisti sono integrati in questo sistema e diffondono la visione ufficiale.
In autoisolamento il sistema continua a funzionare in maniera efficace nell’ambito di questo specifico paradigma. Nelle prime fasi i servizi sulla crisi legata al Covid-19 erano abbastanza rassicuranti. Tuttavia, il numero crescente di persone infette, in particolare a Mosca, ha dimostrato che molte persone non prendono sul serio il pericolo. Quindi, la retorica è cambiata. Le informazioni sono trasmesse in maniera piuttosto rigorosa. La comunicazione sulla lotta al Covid-19 viene diffusa su tutti i canali possibili: dalla TV alla metropolitana e ai negozi.
La comunicazione bidirezionale tra pubblico-media, pubblico-media-autorità è stata attuata solo di recente. Ricordiamo che, storicamente, sin dalla loro comparsa nel XVIII secolo, i media russi sono stati una fonte di influenza statale e di supporto alla verticale del potere, non uno strumento di competizione politica ed economica e di comunicazione per le autorità e i cittadini attivi.
Durante la crisi, i media continuano a funzionare secondo il modello tradizionale. Il flusso di notizie e lo scenario mediatico non sono cambiati radicalmente, secondo me.
Parliamo di comunicazione del rischio. Lo scambio di informazioni e consigli tra esperti, popolazione, governo e media è avvenuto in tempo reale, consentendo ai cittadini di prendere le giuste decisioni e tutelarsi?
Un comune cittadino, come me, ha molte opportunità di ottenere informazioni sull’emergenza Covid-19 grazie a diversi canali e piattaforme. Durante la crisi sono comparsi siti web particolari e nuove risorse per ottenere informazioni sul Covid-19. Le statistiche sui malati, i dati locali sui cittadini che circolano in città sono aggiornati quotidianamente in tempo reale. Un bot mi ha chiamato per consigliarmi quali misure prendere nelle diverse situazioni e chi chiamare in caso di urgenza. Quasi ogni giorno ascoltiamo le opinioni di molti esperti. Il centro anticrisi funziona.
Nell’agenda dei media ufficiali il coronavirus è costantemente al primo posto. Ora, naturalmente, tale agenda si sta ampliando in quanto vi sono anche altri temi da trattare.
Tuttavia, i media stanno cercando di aiutare le persone. A Mosca sono state attivate, in ambito televisivo, linee dirette con il sindaco e i funzionari. Il sindaco Sobyanin parla ai moscoviti tramite il suo blog. Ricordo la maratona del canale tv Dozhd, che si è svolta ad aprile per raccogliere fondi a favore dei medici. Ad aprile Russia Today / Sputnik hanno aperto sul loro sito web un progetto “An assistance card” per aiutare chi ha bisogno.
Tuttavia, nella maggior parte dei casi la comunicazione ufficiale, anche in tempo reale, è prevalentemente monodirezionale, per definizione.
Paradossalmente, molti giornalisti e blogger indipendenti che hanno attirato un vasto pubblico nel periodo pre-crisi non sono stati in grado di elaborare rapidamente le ultime notizie e definire l’agenda richiesta dal pubblico stesso.
Nel corso dei secoli i russi hanno superato molte guerre, persecuzioni, dittature e altre tragedie, con grande coraggio e forza. Il presidente Putin ha affermato che “la situazione è sotto controllo. La nostra società è unita dinnanzi alla minaccia comune.” Sulla base della Sua esperienza e dello storytelling mediatico relativo alle aspettative e alle paure delle persone, su quali valori i russi faranno affidamento per superare questa crisi?
La cosiddetta “Anima russa”, intesa come valore, ha sempre attratto il mondo con il suo mistero. Storicamente i valori espressi dai geni della letteratura russa del XIX secolo erano principalmente ortodossi: amore per il prossimo, gratitudine e sacrificio. In tempi difficili, lo spirito comune dell’assistenza reciproca e della collegialità era importante. In Unione Sovietica si coltivava un elevato senso di giustizia e lo spirito del collettivismo era davvero forte.
La Russia post-sovietica è un’economia e una società di transito. Anche i valori sono in trasformazione. Inoltre, la società russa moderna, come ogni altra società postmoderna, è atomizzata. La condizione postmoderna non prevede l’importanza di tali valori.
L’isolamento attuale porta l’atomizzazione fisica e mentale ad un livello superiore.
L’emergenza Covid-19 ha messo in luce il problema dei valori: per la prima volta, l’alienazione e la mancanza di solidarietà sociale sono letteralmente letali, non solo per una persona e per una famiglia, ma per un Paese, per il mondo. Ed è sorprendente che, secondo i sondaggi, i problemi economici preoccupino le persone più dei rischi per la vita.
Inoltre, questo non avviene solo in Russia, ma in molti Paesi.
Quindi, è un problema o una diagnosi per una persona, per una società?
Ci si trova dinnanzi a una crisi sociale quando qualcuno lavora per giorni in ospedale per salvare le persone, mentre altri escono per una passeggiata e ballano in piazza perché sono stufi di stare a casa e altri “Covidiotes” li lodano sui social network.
Oggi medici, operatori sanitari, volontari offrono alla società l’opportunità di ricordare e fare propri i valori principali: umanità, responsabilità, compassione e dedizione. Per la prima volta in Russia e in tutto il mondo gli opinion leader non sono grandi scrittori, capi di stato e politici, ma medici e volontari.
Nella crisi del Covid-19 lo stato detta le regole per l’isolamento e diviene l’iniziatore, il garante e l’osservatore dell’isolamento sociale e della solidarietà. Questo avrà sicuramente un impatto radicale sui valori quale ambito di responsabilità personale. Questo è il paradosso principale, direi.
I valori eterni si stanno reinserendo nel nuovo ordine globale. E, forse, nella nuova fase post-Covid-19 si formerà una società di “costrizione ai valori”. In ogni caso, il paradigma della modernità sarà distrutto e nasceranno i presupposti del “modernismo post-Covid-19” quale antagonista.
Tuttavia, permangono le specificità e i valori nazionali. Sono abbastanza simili. Pensando all’isolamento volontario e ai valori spirituali, vorrei ricordare l’esempio dello ieromonaco Giovanni (Giovanni Guaita) della Chiesa dei Santi Cosma e Damiano a Shubin vicino alla sede del Municipio di Mosca. Giovanni Guaita – italiano, nato in Sardegna – vive in Russia da molti anni e nel tempo è diventato un sacerdote ortodosso. Ha contratto il Covid-19 e ora sta guarendo. Padre John ritiene che tutti, in qualche modo, si ammalino fisicamente e spiritualmente. L’epidemia e l’autoisolamento nella vita, come nella letteratura, rappresentano sempre una nuova opportunità per pensare a ciò che conta davvero. Padre John ricorda le ricerche morali dei personaggi del Decameron di Boccaccio, de La peste di Camus, della Corrispondenza da un angolo all’altro di Ivanov e Gershenzon, del Viaggio intorno alla mia camera di Xavier de Maistre. Padre John parla dell’importanza di questo tipo di pellegrinaggio interiore, nel profondo. Malgrado la malattia, Padre John ha raccolto le sue quaranta storie per aiutare a capire il nostro tempo e nell’Italia cattolica e nella Russia ortodossa questo periodo temporale coincideva esattamente con la Pasqua e i quaranta giorni della Quaresima. Ed è interessante il fatto che Quaresima e quarantena in italiano condividano le stesse radici linguistiche.
Il 18 maggio in Italia il lockdown è terminato. Ma l’emergenza sanitaria internazionale legata al Covid-19 non è finita. Lotteremo e andremo avanti. E cercheremo nuove risposte a questa nuova sfida. Non dovrebbero assolutamente provenire dal passato, ma dal futuro.

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