S’è dimessa ieri Macarena Santelices, la ministra della Donna e alle Parità di genere nominata lo scorso 6 maggio dal presidente cileno Sebastián Piñera. La notizia potrebbe passare inosservata se non si trattasse della nipote di Augusto Pinochet che ha guidato il paese dal colpo di stato dell’11 settembre 1973 al 1990. Andata a sostituire Isabel Plá che aveva lasciato l’incarico pochi giorni dopo la grande manifestazione dell’8 marzo e dopo che le femministe l’avevano accusata di complicità con gli abusi sessuali commessi dalle forze di polizia dallo scoppio della rivolta sociale dallo scorso ottobre in poi, la sua nomina aveva fin da subito scatenato dure critiche per la sua scarsa esperienza e per il suo non ripudio dei crimini commessi dal nonno, il cui bilancio di governo conta 3.200 persone uccise per mano dei golpisti e innumerevoli casi di violazione dei diritti umani.
Santelices, militante del partito di estrema destra Unión Demócrata Independiente (UDI), che con altre tre formazioni sostiene il governo, è stata sindaco fino allo scorso anno della città di Olmué, lavorando in precedenza come giornalista televisiva. Nel marzo scorso, a proposito delle risposte da dare ai malesseri sociali provenienti dal paese, s’era espressa a favore del prolungamento dello stato d’assedio e s’era detta promotrice del no al referendum sulla riforma costituzionale slittato a settembre, una delle richieste fondamentali del movimento di protesta.

Non erano inoltre passate inosservate le sue critiche a Piñera per la condotta a suo dire poco decisa nella gestione della crisi sociale. Mentre da lui si sarebbe aspettato “più carattere e più impegno con le forze armate, con l’ordine e con i carabinieri”.
Fin da subito, le organizzazioni femministe, che hanno esercitato un grande ruolo nei mesi della protesta, insieme a quelle dei diritti umani avevano chiesto le sue dimissioni, che sono giunte ieri senza che l’ex ministra abbia precisato il motivo, ma che sono dovute ad una serie di errori che devono aver spinto il presidente a chiederle di lasciare.
L’ultimo in ordine di tempo, la nomina, tra l’altro viziata da irregolarità, a capo della Divisione studi del suo ministero di Jorge Ruz, un produttore che ha al suo attivo l’aver organizzato “el piscinazo de la Reina del Festival de Viña del Mar”, un concorso di bellezza per bellocce in bikini a bagno in piscina.

La nomina è stata ovviamente travolta da un’ondata di critiche nei social, ma ancor prima che fosse resa pubblica, aveva destato il malessere tra i funzionari alle dipendenze di Santelices che in un lampo è giunto alle orecchie della presidenza.
Ed è stata questa la goccia che ha fatto traboccare un vaso che doveva essere già pieno per i precedenti errori commessi dalla ministra nel suo pur breve periodo d’incarico. Per di più espletato durante l’emergenza per il coronavirus che in Cile, come in molti altri paesi dell’America Latina, ha già fatto registrare un aumento delle denunce per violenza contro le donne.
Al suo posto è stata nominata subito un’altra esponente dell’Udi, Mónica Zalaquett, ex deputata e sottosegretaria al Turismo, il che conferma che questa volta l’operazione è stata pilotata dal Palacio de La Moneda, sede ufficiale del presidente cileno.

Precedentemente, per sostituire l’ex ministra Isabel Plá il governo aveva impiegato ben cinquanta giorni trascorsi in trattative con l’Unión Demócrata Independiente. In base agli accordi tra le forze della coalizione che appoggia Piñera, spettava infatti a questa formazione politica l’incarico andato poi a Santelices. Dimessasi da sindaco per correre in elezioni amministrative slittate a causa della pandemia, il conferimento della poltrona di ministra della Donna e alle Pari opportunità era suonata come una sorta di compensazione per esser rimasta, indipendentemente dalla sua volontà, senza occupazione.
Di Mónica Zalaquett, entrata in carica ieri, si sa che da deputata nel 2010 era contraria a un progetto di legge che regolava alcuni casi di aborto terapeutico. In quella occasione affermò che
il pericolo di questo tipo di aborto è che la maggioranza delle volte è la porta per approvare l’aborto totale e senza distinzione. Non voglio che in Cile succeda quello che accade in Europa, dove si abortisce per il semplice fatto di avere la Sindrome Down.
E che nel 2013 definì “capace” una bambina di undici anni rimasta incinta dopo esser stata violentata dal suo patrigno.

Una nomina che non pare quindi destinata ad accontentare il forte movimento femminista e le opposizioni che avevano subito raccomandato al presidente di scegliere una sostituta sulla base della competenza e non su quella delle alchimie politiche. Tenuto conto anche della gravità del momento vissuto dal paese con il riflesso negativo sulla condizione delle donne.
Intanto, sul fronte della lotta al coronavirus, l’ultimo bollettino ufficiale delle autorità sanitarie del 9 giugno conferma che la curva dei contagi in Cile si mantiene in aumento con 4.696 casi e 74 decessi nelle ultime 24 ore. Diventano quindi 138.846 i casi confermati e 2.264 le morti dall’inizio della pandemia nel paese. Il governo ha introdotto da ieri una modifica nella metodologia del conteggio delle vittime di Covid-19, aggiungendo 693 nuovi decessi al bilancio complessivo. Mentre il collegio dei medici del Cile (Colmed) ha denunciato la situazione di collasso del servizio sanitario in uno dei principali ospedali pubblici della capitale Santiago a causa dell’incessante propagarsi della pandemia.
Copertina: Macarena Santelices

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