Come si “costruisce” un medico. Manuale d’istruzioni

Medico si diventa non si nasce, e diventarlo è un percorso intimo e complesso che cambia la persona e la trasforma, integrandosi al processo di crescita.
CARLOTTA RELLINI SUSANNA SCIOMER
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La recente pandemia di SarsCov2 ha acceso i riflettori sulla figura del medico, professionista a volte elevato a “santo laico”, più spesso accusato perché “ha sbagliato qualcosa”. Sogno proibito di molte famiglie d’Italia per il prestigio sociale che ancora ricopre in certe realtà, capro espiatorio di ogni male quando fa comodo, il medico sembra essere una figura al di fuori del tempo e dello spazio. Il camice può apparire a seconda dei casi e delle circostanze un mantello da cavaliere senza macchia nei giorni di difficoltà, più spesso però è visto come un “costume” nei giorni ordinari o in quelli in cui nonostante tutto la scienza e la coscienza non sono sufficienti a salvare o migliorare la vita di un paziente. Il medico deve sapere tutto, non sbagliare mai, non può sbagliare, ma allo stesso tempo è definito da taluni stolto, ignorante, fanfarone o peggio (somma disgrazia) giovane. “Dottorini” i più fortunati giovani uomini che praticano la professione, “Signorine”, ahimè le donne. 

Di fatto nell’immaginario collettivo il Medico non diviene, è. 

In realtà non è così. Medico si diventa non si nasce, e diventarlo è un percorso intimo e complesso che cambia la persona e la trasforma, integrandosi al processo di crescita. 

Diventare un medico in Italia inizia come un sogno al termine dell’adolescenza. I ragazzi o le ragazze non scelgono semplicemente di iscriversi a Medicina ma di tentare il “terribile test nazionale” a quiz di ingresso alla Facoltà di Medicina e Chirurgia. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di studenti e studentesse dei licei che mentre affrontano la maturità studiano manuali di preparazione al concorso, sapendo che solo uno ogni nove di loro potrà sedere sugli agognati banchi. La statistica non è dalla nostra parte neanche all’inizio, eppure chi per ambizione, chi per gioco, chi perché innamorato/a del lavoro che vede svolgere ai propri genitori, chi per una passione ancora acerba ci si ritrova tutti in un afoso settembre a chiederci la risposta a qualche quesito di logica o biologia. 

I risultati del test arrivano e ci sono molti delusi e qualcuno che tocca il cielo con un dito. Per questi ultimi inizia l’avventura. Le lezioni dei primi anni occupano tutta la settimana, è un po’ come andare a scuola. Si studiano Biologia, Chimica, Fisica, Istologia e la temibile Anatomia, sulla quale ogni futuro medico perde la propria infanzia e qualcuno anche i capelli. Fisiologia, Patologia Generale, Statistica, Semeiotica, Immunologia e una miriade di altri esami e lezioni e informazioni in continuo aggiornamento, non basta. Perché noi non dobbiamo solo avere conoscenze, dobbiamo saperle applicare, dobbiamo allenare i sensi a cogliere le variazioni di colore, di odore di consistenza del corpo umano e addestrare l’intuito a cogliere gli indizi della malattia. Quando i nostri amici festeggiano le loro lauree triennali noi siamo sommersi da manuali di migliaia di pagine e abbiamo davanti almeno altri tre anni di lezioni ed esami. 

Sapere, per fare un medico, non basta. Dal quarto anno iniziano le materie cliniche, quelle che hanno anche una parte pratica, si inizia da qui a frequentare i Reparti di Degenza, ad avere i primi contatti reali con i malati. Prima però dobbiamo sostenere gli esami di Anatomia Patologica e Farmacologia. A questo punto, noi , potenziali futuri medici, complice anche la prima autopsia a cui assistiamo, definitivamente usciamo dalla fanciulezza, e quelli che si erano stempiati ai tempi dello studio e dell’esame di Anatomia diventano integralmente calvi. 

Durante gli ultimi tre anni del corso di laurea si studiano tutte le patologie e si acquisiscono gli strumenti per la diagnosi e la cura, mentre si frequentano i reparti scelti in accordo alle proprie inclinazioni o al regolamento della Facoltà. Lo studio s’aggiorna di continuo perché la Medicina si evolve e così si preparano gli esami sulle ultime linee guida, spesso rinnovate da un pool di esperti e scritte in inglese, contemporaneamente si impara ad analizzare il paziente, si allenano gli occhi e le mani a leggere i segni rivelatori delle malattie. 

Tra secondo e quarto anno tutti gli studenti vanno per la prima volta in reparto. Il camice stirato, i più attenti hanno ripassato o studiato qualcosa per prepararsi meglio, gli altri si guardano intorno spaesati e curiosi. Poi arriva lui o lei: “Il Paziente”. Spesso è gentile e lusingato dalle attenzioni, altre volte è arrabbiato o sofferente, in alcuni caso annoiato. Tutto ciò che sappiamo, che abbiamo studiato, le migliaia di pagine lette e imparate e le migliaia da leggere ancora acquisiscono così un volto e un fine. Quel momento per alcuni è un’esperienza immediata, per altri la consapevolezza matura più lentamente, è un po’ come iniziare a camminare. In genere si ha paura di sbagliare, di fare male, di dare fastidio, di non sentire ciò che avremmo dovuto sentire. In quel momento comincia l’esperienza nel suo complesso gioco di integrazione tra teoria e pratica. 

La conoscenza dei protocolli e delle nozioni non è sufficiente a “costruire un medico” poiché l’universo di informazioni acquisite deve essere applicato all’individuo nella sua unicità clinica e personale. Lo studio è di fatto solo una parte del percorso che rende un medico tale. Il rapporto con il paziente e quello con i docenti fa la differenza. La studentessa o lo studente devono imparare ad entrare in contatto con la personalità dell’individuo, devono addestrare l’intuizione, imparare dove guardare e cosa cercare. Il Medico è ancora una delle poche professioni in cui l’informatica ha un ruolo relativamente marginale, è un “lavoro” che possiede dei tratti artigianali e intuitivi, non replicabili in quanto individualizzati sul paziente in quel preciso momento.

La formazione del Medico, anche per questo, non si può riassumere parlando dei trentasei esami e delle circa venti prove intermedie in cui ognuno viene valutato, non si può riassumere neanche nelle ore passate sui libri o nelle aule oppure in corsia. 

Noi siamo stati studenti ma anche apprendisti, impariamo guardando e studiando in ugual misura, mettiamo le mani sulla materia di cui dovremo occuparci, sperimentiamo il dolore, la paura, la sofferenza delle persone che assistiamo e impariamo spesso attraverso la loro a gestire la nostra emotività. Entriamo nella Facoltà che siamo poco più che ragazzini e ragazzine, spesso accecati dalle nostre paure o dalle nostre ambizioni, ne usciamo dottori e dottoresse capaci di mettere da parte noi stessi e fermarci ad ascoltare. In sei anni non impariamo semplicemente come funziona il fegato, cos’è la fibrosi cistica, o come si tratta un infarto secondo le ultime linee guida, ma ci trasformiamo. Subiamo una vera metamorfosi, diventiamo Medici e quando lo diventiamo lo saremo poi per tutta la vita, ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette, per i familiari, gli amici, i conoscenti, i colleghi, i pazienti.  Questa metamorfosi si è compiuta nelle ore passate a studiare o con gli occhi al microscopio, è fatta in virtù dell’odore della sala operatoria, del primo contatto con il sangue, della paura e del dolore dei pazienti, delle mani che tremano al primo prelievo o alla prima iniezione, del terrore di non essere all’altezza che ci spinge a non voler mai smetter di imparare, dei suoni, dei segni, delle espressioni che impariamo a riconoscere e ad interpretare. 

Quindi, cosa ci vuole per fare un medico? Studio e impegno, libri in quantità, un costante addestramento di vista, udito, tatto e olfatto e anche una particolare ginnastica dello spirito che ci prepara ad essere funamboli in equilibrio sulle vite degli altri, partecipi ma non invadenti, solidi ma non rigidi, preparati ma non distanti, fluidi per adattarci alle differenze delle persone che incontriamo ma non sfuggenti. 

È poi un dato di fatto che la Medicina è scienza in evoluzione continua, abbiamo sempre nuovi strumenti da usare, ci chiede rigore e curiosità.

È vero che la Medicina è arte, perchè c’è nell’esercizio di essa un qualcosa di insondabile che si impara solo esercitando sensi e intelligenza sulla realtà, rubando con gli occhi dai maestri che abbiamo la fortuna di incontrare. 

Ogni medico che incontrate là fuori è tutto questo, nulla di meno. 

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Come si “costruisce” un medico. Manuale d’istruzioni ultima modifica: 2020-06-10T16:24:38+02:00 da CARLOTTA RELLINI SUSANNA SCIOMER
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