Chi si accinge alla recensione del libro La mossa del cavallo di Matteo Renzi si pone come prima cosa una domanda; parlare del libro o parlare di Matteo Renzi? Il libro (direi un instant book) è infatti l’excursus di tutte le sue idee, tutte le sue proposte, tutte le sue azioni di governo, tutte le sue riflessioni sull’attualità, con il Covid e prima del Covid, e relativi suggerimenti. Tutto quello di cui Matteo è stato autore o promotore, dalle prime cariche pubbliche a Firenze all’attualità, non senza vari richiami alle fasi dell’Agesci. Il libro è Matteo Renzi.
La mossa del cavallo, nota mossa del gioco degli scacchi, è una mossa “sghemba”, a significare qui una mossa che spariglia le carte. Su ogni tema di rilievo Renzi propone nel suo libro una mossa del cavallo. La sua mossa prototipo è naturalmente quella dell’agosto 2019, quando, in un clima politico in cui sembrava non ci fosse altra via d’uscita che le elezioni, diede una spinta formidabile alla formazione di un nuovo governo. “Renzi con la sua mossa del cavallo ha giocato uno scherzo non da poco all’altro Matteo”, scrissero i giornalisti.
Come seconda cosa chi si accinge a scrivere si pone un’altra banale domanda: perché diavolo Renzi ha lasciato il Pd, in cui ci sarebbe stato gran bisogno di confronto di idee, di prospettive, in una parola di svecchiamento. La risposta la sappiamo, è una questione di temperamento e di carattere, da un lato, e di umana miseria dall’altro. Lo sappiamo, e tuttavia non possiamo non continuare a deprecare una perdita, perché la situazione in cui si trova oggi l’autore è di perdita di incidenza, che rischia di essere irrimediabile.
Ci arrendiamo invece di fronte alla sua più intima personalità. La citazione con cui il libro si apre (ce n’è una all’inizio di ogni paragrafo) parla proprio di lui: “Ognuno vede quel che tu pari, pochi sentono quel che tu sei”. Niccolò Machiavelli, Il Principe, XVIII. Ammettiamo volentieri la nostra inadeguatezza a questo livello.

Il tono del libro è quello della conversazione: mentre si legge ci si immagin Renzi non seduto di fronte a un computer, piuttosto in piedi che detta il testo, camminando su e giù nel giardino.
Si apre una stagione di opportunità impreviste e strabilianti, e il virus da estirpare è il populismo, mentre il vaccino che stiamo cercando è la politica.
La sottolineatura e la contestazione del populismo è il filo conduttore di tutta la conversazione. Per chi segue la politica, è un ripasso generale e onnicomprensivo di tutte le sue idee, iniziative e proposte. Per chi non è così informato, è l’occasione per conoscere le sue idee: un comizio lungo 200 pagine.
Il piglio, come si può immaginare, è quello dello slancio vigoroso e ottimista: il mondo globale iperconnesso costituisce per l’Italia non un problema, ma la più strepitosa delle opportunità.
Ripercorrere tutti i temi della politica degli ultimi anni gli dà anche la possibilità di difendersi da critiche, aggressioni e indagini, che non sono mancate, come nel caso dei finanziamenti privati alla Fondazione Open, con argomenti spesso convincenti.
I temi trattati sono come si può capire moltissimi, non è possibile commentarli singolarmente. Sarebbe anche interessante confrontare il piano Renzi Italia Shock, con il piano Colao appena presentato. Sulle proposte specifiche, cito soltanto un piccolo grande tema di governo, l’uso del contante. Dobbiamo distinguere tra il sommerso della criminalità organizzata, che richiede indagini dedicate, e il sommerso di quattro quinti degli italiani, che è già noto a tutti. L’abbandono progressivo del contante non può che aiutare l’emersione del nero, così come è stata di aiuto la fatturazione elettronica, sempre di marchio Renzi. Come farà la vecchietta? Come faranno gli anziani è soltanto un alibi, se in Cina 450 milioni di persone utilizzano i sistemi di pagamento digitali di Alipay, noi tutti possiamo pagare attraverso lo smartphone.
Tralasciando quindi le azioni di governo, mi soffermo su due temi di più ampio respiro che mi sembrano particolarmente interessanti: il primo riguarda il rischio di un’ondata di processi sulla gestione dell’emergenza sanitaria da coronavirus, il secondo il tentativo della ricostruzione di una comunità, di una nuova idea di patria.
Il primo tema dovrebbe essere tenuto per quanto possibile (al di fuori dei casi di singoli reati) sul piano politico. Una nuova tangentopoli sarebbe devastante, sotto tutti i punti di vista.
Scrive Renzi:
Una commissione parlamentare d’inchiesta sarebbe la sede naturale – e istituzionalmente ineccepibile – per affrontare il dibattito sulle vicende di quei tragici giorni con una visione a trecentosessanta gradi e senza consentire al circo mediatico di imbastire sulla base di singoli episodi una sorta di processo alla politica, le cui ricadute sarebbero esiziali per la credibilità delle nostre istituzioni.
Si facciano pure i processi per capire chi ha speculato sulle mascherine, chi ha sbagliato sulle zone rosse, chi ha fallito nella gestione delle RSA, ma se si vuole mettere sotto processo il sistema si vada in parlamento, non in tribunale.
Il secondo tema è altrettanto rilevante. È la contrapposizione tra globalizzazione e nazionalismo, che Renzi propone nei termini dell’amor di patria, della fierezza di sé, delle nostre virtù, dell’apprezzamento per il nostro stile di vita. Un percorso su cui occorre lavorare, s’intende, ma un percorso corretto e fruttuoso, che ci può condurre a recuperare il nostro essere comunità in epoca di globalizzazione.

Dove invece la considerazione per il politico Renzi traballa è sui temi istituzionali, il paragrafo “La grande riforma” e quello finale su “Le piccole patrie e l’autonomia”. Un gruppo di considerazioni che richiedono un approfondimento. Temi sui quali il pensiero di Renzi è più discutibile, a mio avviso. Mentre non lo era la sua riforma costituzionale, che abbiamo a suo tempo votato.
Passi per l’affermazione “non credo nell’autonomia regionale, ma credo fortemente nell’autonomia dei sindaci”. L’autonomia regionale è fortemente criticabile nell’attuale assetto, sia per dimensione, sia per estensione delle competenze, sia per la mancanza di una clausola di supremazia nazionale (in materia di sanità il principio peraltro c’era), ma buttarla alle ortiche per un leader pragmatico come lui non ha senso politico.
Invocare invece la forma di governo del “sindaco d’Italia”, elezione diretta del capo del governo con la sua maggioranza come appunto per i comuni, è una follia. Si può fare il presidenzialismo all’americana, il semipresidenzialismo alla francese, ma il sindaco d’Italia proprio no.
In fine, bene la deprecazione della riduzione del numero dei parlamentari, fatta per puro spregio della rappresentanza, ma non fu che su quella priorità/irrinunciabilità si costruì l’attuale governo? Una parolina di giustificazione sarebbe stata gradita.


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