Covid-19, il fallimento del “giusto mezzo” svedese

Dopo aver vantato il proprio modello di gestione della pandemia, la Svezia ha uno dei tassi di mortalità da Covid-19 pro-capite più alti al mondo. Ma le autorità che hanno gestito l’emergenza non pensano di aver agito male.
MARCO VASSALLI
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[STOCCOLMA]

Il primo ministro Stefan Löfven l’aveva detto già il 3 aprile: “Conteremo i morti nell’ordine delle migliaia”. Mentre tutti gli altri paesi europei, a partire dall’Italia, optavano per una chiusura totale imponendo il lockdown, la Svezia imboccava una strada diversa. Anders Tegnell, l’epidemiologo volto e mente della strategia svedese, è sempre stato molto fermo nelle sue convinzioni: bloccare un paese, fare tamponi a tappeto e indossare mascherine e guanti protettivi serve a poco.

Meglio lasciare scuole, impianti sportivi, fabbriche e cinema aperti, incentivare il più possibile il telelavoro e vietare solo gli assembramenti oltre le cinquanta persone. L’obiettivo dichiarato dal Folkhälsomyndighet (l’equivalente svedese dell’Istituto superiore di sanità) è stato quello di concentrarsi sulla protezione dei gruppi a rischio, cioè gli anziani e gli immunodepressi. Per tutti gli altri vale una sola regola: in caso di sintomi da coronavirus, mettersi subito in quarantena domiciliare.

Il discorso sul Covid-19 del primo ministro Stefan Löfven (22 marzo 2020)

Mentre nel resto del mondo si imponevano misure restrittive punibili per legge, le autorità svedesi si sono limitate a dare delle “raccomandazioni”: mantenere la distanza sociale, evitare di prendere i mezzi pubblici e i viaggi intraregionali.

Qualcosa però è andato storto.

A metà giugno la previsione del primo ministro si è avverata e la Svezia è a un passo dai cinquemila decessi per Covid-19, con uno dei tassi di mortalità pro-capite più alti al mondo, 489 per milione di abitante, subito dietro l’Italia (dato della John Hopkins University aggiornato al 16 giugno 2020). Quasi il quaranta per cento di questi morti si contano nelle case di riposo, dove il virus ha fatto una mattanza non molto diversa da quella avvenuta nelle Rsa italiane e spagnole.

Tegnell si è sempre difeso mostrando il lato positivo: le terapie intensive hanno retto all’urto e la mancata chiusura totale ha permesso di raggiungere un tasso di immunità più alto rispetto ad altri paesi. Prontamente è arrivata però la critica di alcuni esperti: il professore di geriatria Yngve Gustafson il 19 maggio è arrivato persino a parlare di “eutanasia attiva”, affermando che i reparti di terapia intensiva non sono affollati perché molti anziani vengono trattati direttamente con cure palliative. Inoltre, il riferimento di Tegnell all’immunità nella popolazione ha spinto molti a chiedersi se il tacito obiettivo non fosse l’immunità di gregge.

Un professore di matematica dell’Università di Stoccolma, l’inglese Tom Britton, sosteneva entusiasta a inizio pandemia che senza lockdown la regione di Stoccolma avrebbe raggiunto quell’obiettivo entro maggio. Uno studio eseguito su un campione della popolazione alla fine del mese scorso ha rivelato però che solo il 7,5 per cento ha sviluppato gli anticorpi, una percentuale ben lontana dal 60 per cento che permette di dichiarare raggiunta l’immunità di gregge.

Anders Tegnell, l’epidemiologo a capo dell’Agenzia locale per la sanità pubblica svedese 

Di fronte a questi dati, anche Tegnell è stato costretto ad ammettere che “un paese ricco e moderno come la Svezia avrebbe dovuto affrontare meglio l’emergenza”, ma che, a bocce ferme, ci si renderà conto che la soluzione migliore sarebbe stata “a metà strada fra la Svezia e il resto del mondo”. In queste parole si esprime la convinzione tutta svedese di essere intimamente diversi dagli altri, in larga parte basata su alcuni eventi che, durante il Novecento, hanno contraddistinto la Svezia a livello globale: neutralità inviolata (e controversa) durante entrambi i conflitti mondiali, un sistema sociale unico al mondo e una linea politica internazionale equidistante sia dal blocco sovietico che dall’alleanza atlantica.

Tuttavia, resta la domanda: perché è stata adottata questa strategia?

La risposta probabilmente risiede nel fatto che le autorità svedesi, anche nei momenti più drammatici della storia del paese, hanno sempre prediletto un approccio che non apparisse mai eccessivo agli occhi della popolazione. Un concetto che in svedese si esprime con la parola lagom, che indica “il giusto mezzo”, né troppo né troppo poco. Niente scossoni che possano turbare il regolare svolgimento della vita, nessun mutamento repentino. La macchina statale svedese è pensata per far sì che tutto scorra senza intoppi, “dalla culla alla tomba”, in nome di un’ingegneria sociale con cui i governi socialdemocratici del dopoguerra volevano plasmare una società dove i cittadini ricevessero tutti i servizi di cui avevano bisogno, in cambio di un comportamento ubbidiente che non rendesse necessario il ricorso a misure coercitive.

Su questo sfondo, il coronavirus è entrato come una variabile destabilizzante che andava gestita nello stesso modo. Lagom, appunto. Niente misure ristrettive, quasi nessun obbligo, solo qualche “raccomandazione”. La maggioranza dei cittadini ha appoggiato in toto questa scelta. Sono state pochissime le voci critiche.

Anche in questo caso però, non tutto è andato come previsto, e il noto senso civico degli svedesi si è rivelato più un mito che una realtà. Certo, moltissime persone lavorano da casa e a Pasqua la mobilità è stata minima, ma chiunque abbia camminato per le vie di Stoccolma nelle ultime settimane avrà visto i bar e i locali affollati, complice anche una primavera assai mite.

Le piscine e le palestre sono poco frequentate, ma all’arrivo del primo sole gli svedesi si sono riversati nei parchi e all’aria aperta. Si attende ora di vedere cosa succederà per i festeggiamenti del solstizio d’estate, una ricorrenza che in Svezia è seconda solo al Natale, e che potrebbe spingere la popolazione a muoversi e ad assembrarsi nonostante le raccomandazioni vigenti. 

Nei giorni scorsi, Tegnell è tornato a difendere la sua strategia: “Only the future will tell” ha detto l’epidemiologo in un’intervista alla BBC, sostenendo che in caso di seconda ondata la Svezia potrebbe essere meglio preparata. Solo il futuro saprà dire se la strategia svedese del lagom sia stata quella giusta.

Per ora, le 5.000 vittime del coronavirus restano un monito severo e potrebbero rivelarsi la prima crepa nel solido rapporto fra cittadini e istituzioni che caratterizza la Svezia. 


In copertina un poster del dottor Tegnell, a Stoccolma

Covid-19, il fallimento del “giusto mezzo” svedese ultima modifica: 2020-06-17T23:02:44+02:00 da MARCO VASSALLI
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