Le rivelazioni di John Bolton viste da Tel Aviv. Ed è una visione molto interessata e interessante, visti gli strettissimi legami tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Ad aiutare in questa decodificazione è l’analista politico di punta di Haaretz, Chemi Shalev.
Gli estratti pre-pubblicazione del nuovo libro di John Bolton “The Room Where It Happened” (La stanza dov’è successo) – premette Shalev – hanno finora incluso solo un dettaglio relativo a Israele. L’ex consigliere per la sicurezza nazionale Usa, che certo non può dirsi una “colomba”, sostiene che il primo ministro Benjamin Netanyahu aveva dei dubbi sulla nomina del genero presidenziale Jared Kushner a “zar” del processo di pace israelo-palestinese. Dato che Kushner è ora dipinto come l’ultimo ostacolo rimasto al piano di Netanyahu di annettere territori in Cisgiordania, al primo ministro va riconosciuto il merito della sua preveggenza.
Ma la sostanza viene adesso. Ed è tanta roba.
John Bolton told @MarthaRaddatz he’s “not going to respond” to Pres. Trump’ tweets about him: “I think it's unbecoming of the office of president…it degrades the political civil discourse in our country.” https://t.co/wIeMSX1SHw pic.twitter.com/taUbjeB8QX
— ABC News (@ABC) June 19, 2020
NEW: "I don't think he's fit for office," former national security adviser John Bolton says of Pres. Trump. "I don't think he has the competence to carry out the job."
— ABC News (@ABC) June 18, 2020
Watch more from Bolton's interview with @MarthaRaddatz Sunday at 9|8c. https://t.co/ZP6hogsbjv pic.twitter.com/N3eUNbElTU
Tuttavia, e ancor prima di essere pubblicato integralmente martedì, – prosegue Chemi Shalev – il libro di Bolton illumina indirettamente la problematica alleanza Trump-Netanyahu e solleva interrogativi inquietanti sulla sua essenza. Bolton sostiene che la maggior parte delle mosse di politica estera di Trump sono guidate dal loro contributo percepito alla sua rielezione in novembre. Forse non ha ancora deciso se l’occupazione a tutto campo e a viso aperto sostenuta dall’ambasciatore statunitense David Friedman otterrà più voti e contributi rispetto all’approccio più contenuto di Kushner – rimarca l’analista di Haaretz – . La politica estera di Trump è transazionale, sostiene Bolton. Forse il dare e avere gli è servito bene come magnate immobiliare a Manhattan, osserva Bolton, ma non è il modo di gestire gli affari internazionali di stato. Netanyahu si è prodigato nell’elogio al “dare” di Trump – Gerusalemme, il Golan, l’accordo nucleare con l’Iran e ora l’annessione – ma è stato più reticente sul “prendere” ’aspetta di ricevere in cambio. Forse il debito sarà almeno parzialmente ripagato nell’intervento di Netanyahu a suo favore nella prossima campagna elettorale.
E qui viene il bello.
Alcuni osservatori di Washington ritengono che lo scambio sia di natura più finanziaria: dietro l’inflessibile sostegno di Trump a Israele c’è Sheldon Adelson, suggeriscono, che si dice si sia impegnato a battere il suo precedente record di donazioni generose ai candidati del GOP (Grand Old Party, il Partito repubblicano) nelle prossime elezioni di novembre. Se facciamo un passo avanti a queste speculazioni non del tutto infondate, si può ipotizzare che la disputa all’interno dell’amministrazione sulla portata della proposta di annessione israeliana potrebbe essere risolta in una guerra al rialzo tra Adelson e il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman (MBS), anch’egli in debito con il presidente.
Bolton afferma che il sostegno di Trump a MBS dopo l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, avvenuto nell’ottobre 2018 all’interno del consolato saudita di Istanbul, era in realtà destinato a distogliere l’attenzione dalle notizie secondo cui Ivanka Trump avrebbe utilizzato un account di posta elettronica privato per affari ufficiali del governo americano, come fece Hillary Clinton.
Una fase di confusione in Medio Oriente per l’annessione potrebbe teoricamente adempiere allo stesso scopo; Dio sa che Trump potrebbe usare un po’ di distrazione dalle sue attuali sofferenze,
dice Shalev.
Che il testo completo di Bolton si dilunghi o meno sulle politiche di Trump su Israele – il sostegno dell’ex consigliere potrebbe averne limitato la franchezza – il libro semina dubbi non solo sulla proposta di annessione del 1° luglio, ma anche sull’alleanza Trump-Netanyahu nel suo complesso. Trump, secondo Bolton, è un assoluto ignorante delle questioni mondiali: non sa neppure che la Gran Bretagna è una potenza nucleare o che la Finlandia non fa parte della Russia. Sembra lecito dedurre che Trump sappia molto poco dei fondamenti del conflitto israelo-palestinese che presume di risolvere. Si dubita che abbia mai letto da cima a fondo il piano di Kushner Prosperity to Peace. S’accettano scommesse se Trump può trovare la Cisgiordania – o Israele stesso – su una mappa. Il libro di Bolton dà ragione a chi sostiene che Israele ha messo il suo destino nelle mani di un presidente vanitoso, corrotto e spregiudicato, che si preoccupa solo di se stesso e che subordina la politica estera degli Stati Uniti ai suoi interessi personali.
Ancora:
Gli israeliani, a quanto pare, adorano un presidente americano che ha incoraggiato il suo omologo cinese a costruire campi di concentramento per la sua minoranza musulmana. Adorano un presidente che Vladimir Putin crede di poter “suonare come un violino”. Questo è l’uomo che Netanyahu ha ripetutamente lodato come il più grande amico che Israele abbia mai avuto. Il libro di Bolton ribadisce, forse involontariamente, quanto Israele si sia spinta, lontano, a largo, al di là di ogni ragionevole pretesa di pragmatismo o di realpolitik. Esso accentua la pura e semplice avventatezza della folle corsa di Israele a operare annessioni ora, in quelli che potrebbero rivelarsi gli ultimi mesi al potere di Trump, sotto l’egida di un presidente che nel suo stesso Paese è ora oltraggiato non meno di quanto sia disprezzato all’estero.
Una conclusione che è tutto un programma.

Un programma che comincia a destare qualche preoccupazione nel co-premier israeliano. Il primo ministro supplente e ministro della difesa Benny Gantz ha infatti dichiarato che non sosterrà le aree annesse della Cisgiordania dove è presente “una numerosa popolazione palestinese”, secondo quanto riferisce l’emittente israeliana N12.
Nel corso di una riunione con i funzionari del ministero della Difesa, l’ex capo di stato maggiore ha sottolineato:
Non sosterremo l’applicazione della sovranità alle aree con una popolazione palestinese al fine di prevenire eventuali attriti.
Gantz ha inoltre aggiunto:
Sono certo che il primo ministro non metterà a rischio il trattato di pace con la Giordania e le relazioni strategiche dello Stato di Israele con gli Stati Uniti con una mossa irresponsabile.
Lo scorso 15 giugno, Netanyahu ha dichiarato di non conoscere le posizioni della coalizione Blu e Bianco, guidata da Gantz, in merito ai piani di annessione a luglio.
Non abbiamo un’opinione perché non ci ha mai mostrato una mappa,
ha risposto Gantz.
Da parte sua il partito di Netanyahu, il Likud, ha riferito che lo stesso Gantz si sarebbe rifiutato di visionare le mappe per “sue ragioni personali”. L’ex esponente della coalizione Blu e Bianco e attuale ministro della comunicazione Yoaz Hendel ha fatto sapere che appoggerà un’annessione di aree in Cisgiordania “a prescindere dal parere di Gantz”, concedendo a tale iniziativa una certa maggioranza parlamentare ristretta. Insomma, Gantz è sfiduciato pure dai suoi fedelissimi. Che triste epilogo per l’uomo che avrebbe dovuto porre fine all’era di “King Bibi”.

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