da MOTHER JONES
Se Donald Trump potesse costruire una città da zero, avrebbe un casinò, un campo da golf e tutti i cheeseburger che vorreste. I residenti della città sarebbero anziani, con soldi da spendere e nient’altro che tempo libero. I lavoratori sarebbero poveri, stranieri e sempre al servizio. Vivrebbero letteralmente sotto di voi. Ci sarebbero dei dottori, ma non molti, e ci sarebbero dei poliziotti, più o meno: che siano davvero là per proteggere e servire rimarrebbe ambiguo. Non ci sarebbe un vero e proprio governo di cui parlare. La città e i suoi servizi sarebbero gestiti da un’azienda, e rinuncereste a tutti i vostri diritti per un miliardario settantenne abbronzato con capelli orribili, in cambio di una promessa di passare dei bei momenti: aste d’arte, musica dal vivo, cascate di Champagne. La città non pagherebbe tasse ma s’avvantaggerebbe dei servizi finanziati da coloro che le pagano.
In altre parole, assomiglierebbe molto alla Diamond Princess di diciotto piani, lunga 952 piedi (290 metri, ndr), della Carnival Corporation, quando è entrata nella baia di Yokohama all’inizio di febbraio dopo un viaggio attraverso il Sud-Est asiatico per il capodanno cinese. Alcuni troverebbero questa città di cattivo gusto. Ma sarebbe un posto davvero piacevole per molte persone, per la maggior parte del tempo. Tuttavia, non vorreste trovarvi lì durante una pandemia.
Mentre la crociera s’avvicinava al porto, il coronavirus era confinato quasi interamente nella città cinese di Wuhan. La principale preoccupazione di Trump per la salute pubblica erano le sigarette elettroniche. Ma il primo febbraio, un passeggero che era sbarcato dalla Diamond Princess è risultato positivo per il virus. Tre giorni dopo, i passeggeri sono stati messi in quarantena. Mentre i clienti consumavano i pasti nelle loro cabine, l’equipaggio della nave – più di mille persone provenienti da 48 paesi – ha continuato a svolgere il proprio lavoro. Il numero di casi a bordo alla fine sarebbe poi arrivato a 712 e quattordici persone sarebbero morte. La nave, battente bandiera del Regno Unito, di proprietà di una compagnia registrata a Panama e guidata da uno degli uomini più ricchi di Miami, è stata il primo focolaio di Covid-19 di una certa importanza al di fuori di Wuhan.

La pandemia è arrivata quasi in ogni angolo del globo. Ha fatto molte vittime, dalle case di riposo alle corali. Ha preso di mira gli anziani e gli immunocompromessi, le persone senza accesso a cure sanitarie adeguate, i giovani e quelli perfettamente sani che non l’hanno nemmeno visto arrivare. Ha ucciso più di centomila persone negli Stati Uniti, nelle grandi e nelle piccole città. Ma per diverse settimane, prima che la vita come noi la conoscevamo cambiasse, avreste potuto guardare la Cnn e vedere il vostro triste futuro. Alla deriva nel mare.
Dopo l’isolamento della Diamond Princess, lo stesso schema fu seguito da decine di altre navi da crociera, a volte settimane dopo, quando era già chiaro che queste navi “bersaglio” facile per il virus. La Costa Luminosa (di proprietà della consociata Carnival Costa Crociere) è stata bloccata al largo delle coste francesi. La Grand Princess (di proprietà di Princess Cruises – ancora Carnival) è stata deviata verso Oakland. La Zaandam (parte di Holland America, cioè Carnival) ha fluttuato in mare senza meta per giorni mentre il governatore della Florida discuteva se accoglierne i passeggeri.
Le navi da crociera sono particolarmente vulnerabili quando qualcosa va storto: che si tratti di un focolaio di malattia, di un errore di navigazione o di un incendio che spegne il sistema di alimentazione e riempie i ponti di acque reflue grezze (fate una ricerca in google). Ma la crescita esplosiva del settore e i profitti galattici degli ultimi cinquant’anni sono stati guidati, in parte, proprio dalla possibilità di eludere i requisiti sanitari, di lavoro e di sicurezza che vincolano invece le aziende a terra. L’industria, ben rappresentata ad esempio dal miliardario presidente della Carnival, Micky Arison, ha passato decenni cercando di ammorbidire chi ha vissuto esperienze negative con alcol e buoni sconto, proteggendosi dagli obblighi della “cittadinanza d’impresa” grazie a un dedalo di contratti e cavilli legali e coltivando degli alleati a Washington, con vacanze gratis e finanziamenti per le campagne elettorali. Molto prima della pandemia, le crociere hanno superato accuse di abusi sessuali, morti, focolai, dumping illegale e denunce di sfruttamento dei lavoratori, cambiando di poco la rotta fino ad allora seguita.

La pandemia ha messo alla prova questi invincibili giganti d’acciaio, mettendo Carnival e le altre compagnie del settore nel mirino delle autorità pubbliche di molti paesi. Il Centers for Disease Control and Prevention ha rimproverato le compagnie di crociera per la lentezza nel rispondere alla crisi. L’Australia ha avviato un’indagine sulla gestione da parte di Carnival della Ruby Princess colpita da Covid-19. Le cause legali si sono accumulate. Il Congresso ha proposto delle audizioni. In declino, alla ricerca di evitare le tasse, con enormi consumi di carburante e bassi salari: il settore avrebbe potuto fare i conti con questi problemi in un contesto politico diverso. Ma la Casa Bianca s’è espressa in maniera diversa. Trump ha trattato le vittime umane del virus con distacco, riconoscendo raramente il prezzo che le famiglie americane stavano pagando e trattando i passeggeri bloccati come poco più di un fastidio che, ingiustamente, rovinava la sua eccellente prestazione. Ma con la Carnival il presidente sembrava trovare una vittima con cui potere entrare in sintonia.
L’industria delle crociere come la conosciamo – il viaggio di andata e ritorno senza alcuna meta, l’alcol, i buffet, i pacchetti turistici a tema The Apprendice – è iniziata nei primi anni Settanta, quando un immigrato israeliano concluse un buon affare con un’imbarcazione. I viaggi aerei stavano rendendo obsolete le grandi navi da crociera e Ted Arison, un magnate di seconda generazione nel settore della navigazione, stava cercando un nuovo progetto in cui investire dalle parti di a Miami. Con un uomo d’affari di Oslo, fondò quella che oggi è la Norwegian Cruise Line, ma caddero presto in disgrazia. Una volta lasciata la compagnia, Arison usò i fondi per acquistare una nave di seconda mano. La nave si chiamava Empress of Canada, ma Arison voleva trasmettere l’idea dei bei momenti, non della grandeur. La ribattezzò quindi Mardi Gras. E chiamò la nuova società Carnival. Come per molti colossi aziendali – e Carnival avrebbe divorato così tanti concorrenti che i rivali l’avrebbero soprannominata la “Carnivora” – l’ascesa dell’azienda è avvolta nelle nebbie del mito. Come si racconta, nel suo viaggio inaugurale, con centinaia di agenti di viaggio a bordo, la Mardi Gras s’incagliò quando la terra era ancora in vista. Per ventott’ore. Desideroso di salvare l’evento, il personale cominciò a offrire agli ospiti alcolici gratis. Quando finalmente si rimise in moto, la vecchia Mardi Gras dovette avanzare lentamente per risparmiare carburante. Era nata l’idea: Carnival sarebbe stata quella che il figlio e successore di Arison, Micky, ha definito “la nave del divertimento”. Invece di considerare la crociera come un modo per raggiungere una destinazione, la crociera stessa sarebbe diventata la destinazione.

Ma la storia di successo dell’azienda non riguarda solo il marchio; è anche il prodotto di un’elaborata “impalcatura” legale. Prendiamo le navi stesse. Durante la Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti adottarono bandiere di comodo per mantenere il flusso di forniture verso l’Europa, restando nominalmente neutrali. Le navi, che erano in tutti i sensi americane, potevano usare le bandiere di qualsiasi nazione che l’avesse consentito. Dopo la guerra, gli armatori si affrettarono a registrare le loro flotte in piccoli paesi che erano ben felici di assolvere queste compagnie dagli obblighi fiscali, dalle normative e dalla supervisione delle società in cambio di una tassa di deposito. La Diamond Princess, ad esempio, batte bandiera del Regno Unito, ma è di proprietà di Princess Cruises, che ha sede nel sud della California ed è registrata nelle Bermuda. La società madre della Princess, Carnival, una società così chiaramente radicata a Miami che i contribuenti l’hanno aiutata a finanziare un nuovo terminal crocieristico per la compagnia e uno stadio di basket (Micky Arison è proprietario dei Miami Heat), è ufficialmente panamense. Persino l’itinerario di molte crociere è dettato dalla necessità di preservare questo sistema. La legge degli Stati Uniti impedisce infatti alle navi battenti bandiera straniera di viaggiare direttamente tra i porti americani, quindi come soluzione alternativa, una nave che lascia la Florida deve visitare almeno una destinazione straniera prima di ritornare indietro.
Le crociere sono diventate sempre più popolari perché sono convenienti per le famiglie della classe media e per gli anziani, ma offrono anche servizi di lusso. Le società registrate all’estero possono offrire tali prezzi a causa di quanto poco devono pagare per qualsiasi altra cosa. Pur facendo affidamento sui servizi di circa venti diverse agenzie federali, Carnival l’anno scorso ha risparmiato seicento milioni di dollari, senza dover pagare praticamente alcuna imposta sulle società statunitensi. (La compagnia sottolinea che l’anno scorso ha pagato oltre settecento milioni di dollari in tasse portuali e varie tasse federali, statali e locali). Ma la delocalizzazione del business ha anche aumentato i profitti del settore in un altro modo: ha permesso alle aziende di evitare la legislazione statunitense sul lavoro.
Invece di aderire alle leggi sul minimo salariale, sugli straordinari e sugli standard di sicurezza, le compagnie di crociera devono semplicemente rispettare quelle di paesi come Liberia, Panama e Bermuda, che hanno un approccio di non interferenza sulle aziende registrate presso di loro. E le compagnie di crociera non hanno paura di giocare sporco. Quando i membri onduregni dell’equipaggio organizzarono uno sciopero a bordo di due navi Carnival a Miami nel 1981 – arrabbiati e stanchi per le circa dodici ore di lavoro al giorno, stipati come sardine e con salari di cento dollari alla settimana – Micky Arison assunse una società di sicurezza privata per farli scendere dalla nave. I furgoni degli agenti dell’immigrazione erano lì pronti per espellerli.

Il personale delle navi da crociera è in maniera schiacciante composto da lavoratori provenienti da paesi come le Filippine e l’Indonesia. Le compagnie sostengono che i salari su una nave da crociera sono considerevolmente maggiori di quelli che troverebbero nei loro paesi di origine. È vero. Ma, per le ore di lavoro svolte, la paga che portano a casa ammonterebbe a pochi dollari l’ora. I lavoratori che si sentono trattati ingiustamente dalle compagnie di crociera non hanno incredibilmente molti mezzi a disposizione perché i contratti li costringono a un arbitrato. Ross Klein, un sociologo della Memorial University of Newfoundland, il cui lavoro di ricerca sulle crociere gli è costato l’accesso per la stampa alle fiere del settore, ci ha detto che se un membro dell’equipaggio del Sudafrica chiedesse un arbitrato con Carnival, dovrebbe essere presente a un’udienza a Monaco – “e dovrebbe partecipare alle spese dell’arbitrato con il datore di lavoro”. Prova a pagare tutto questo con le mance!
Nessuno come gli Arison riesce a rappresentare al meglio quello che il settore delle crociere è disposto a fare per tenersi stretti i propri soldi. Per lungo tempo, il vecchio Arison, con doppia cittadinanza statunitense e israeliana, ha protetto il proprio reddito personale dall’Irs (Internal Revenue Service, l’agenzia statunitense deputata alla riscossione dei tributi, ndr) reinvestendolo nella società. Dopo che l’Irs ha eliminato questa possibile scappatoia, il miliardario s’è fatto rimborsare dalla società, sotto forma di dividendo, per tutto ciò che gli era dovuto in quell’anno. Poi, nel 1990, Ted Arison rinunciò alla cittadinanza americana in modo che la proprietà fosse trasferita esentasse ai figli. Gli sarebbero serviti dieci anni per ottenere altri benefici. È morto dopo nove anni e qualcosa.
C’è una storia famosa su come l’industria delle crociere si fa strada a Washington. In un non meglio specificato momento dei primi anni Novanta, l’allora deputato Gene Taylor, democratico del Mississippi, si stava recando alla Camera per votare un emendamento opposto dal settore quando incontrò il lobbista dell’associazione commerciale dell’industria delle crociere, che nel passato era stato assistente nel Congresso. Taylor aveva combattuto l’industria per anni, introducendo ripetutamente leggi progettate per riportare i lavori del settore marittimo sulle coste americane. Il lobbista aveva un’idea su come fargli cambiare idea: una crociera gratuita – “in modo da conoscerci”, ha ricordato in seguito Taylor.
Taylor rifiutò la vacanza gratuita, ma molti dei suoi colleghi non lo fecero. Il deputato dell’Alaska Don Young ha portato la moglie (e due colleghi con le rispettive mogli) in una crociera nel 1987. L’ex senatore del Montana Max Baucus una volta ha trascorso quattro giorni di vacanza ai Caraibi in mare (gratis), insieme a un soggiorno di cinque giorni nel sud della Florida, omaggi dei lobbisti del settore. I membri del Congresso hanno insistito sul fatto che questi viaggi fossero motivati dalla volontà di accertare dei fatti. “So che potrebbe non sembrare chissà che cosa”, ha spiegato uno sventurato membro dello staff dopo che una di queste storie è diventata di pubblico dominio “ma non è che hanno passato tutto il tempo a giocare a hockey da tavolo”.
L’arte dell’imbonimento da parte delle compagnie di crociera panamensi non è esattamente popolare, ma non hai bisogno di molti amici a Washington se hai quelli giusti. E nessuno con il settore crocieristico straniero è stato più disponibile di Young, che rappresenta il grande distretto congressuale dell’Alaska dal 1973. Ex-rimorchione barbuto e ringhiante – una volta brandì un pene di tricheco durante un dibattito e tirò un coltello contro uno Speaker della Camera – Young conduce le sue battaglie – di solito per soldi – e non s’arrende mai.
Le crociere sono la linfa vitale del turismo in Alaska. Circa il cinque per cento di tutto il traffico crocieristico globale attraversa lo stato, secondo i dati del settore. Le comunità lungo l’Inside Passage dello stato hanno a lungo lottato per bilanciare la spinta economica di milioni di turisti con i sacrifici ambientali e politici che ne derivano. Non è mai stato un grosso dilemma, però, per Young, che nel corso degli anni per la campagna elettorale ha ricevuto più soldi dalle compagnie di crociera rispetto a qualsiasi altro membro del Congresso.

Young propose degli emendamenti alla legge sugli stanziamenti per la Guardia costiera negli anni Novanta per salvaguardare il settore crocieristico dalle cause legali per responsabilità civili. I critici sostenevano che la misura avrebbe reso più difficile per le vittime di violenze sessuali la richiesta di danni. Il disegno di legge finale eliminò tutti i richiami al “disagio emotivo” e alla “sofferenza mentale”, a meno che non fossero causate da lesioni fisiche, ma facendo eccezioni per cattiva condotta sessuale. (Quando il Congresso si trovava in un vicolo cieco, Arison si recava a Washington per risolvere di persona il problema del settore.) Young aggiunse poi un emendamento a un diverso disegno di legge che legalizzava il gioco d’azzardo sulle crociere in Alaska. Fu un collega dell’Alaska a fare in modo che il ministro degli interni di Bill Clinton espandesse il numero di navi ammesse al Glacier Bay National Park, ma fu Young che, poco interessato alle proteste della piccola flotta di navi da crociera nazionali dello stato, modificò un altro atto legislativo – come presidente del comitato delle risorse naturali della Camera, non fu molto difficile – per dare alle compagnie di crociera straniere il monopolio su una redditizia rotta attraverso il parco. (Nel 2019, Carnival ha pagato una sanzione penale di venti milioni di dollari per aver falsificato i registri delle navi per coprire gli scarichi illegali nella Glacier Bay e in altri corsi d’acqua).
“Le crociere sono un settore molto potente con molta influenza a Washington”, afferma il senatore Richard Blumenthal (democratico del Connecticut), che ha promosso una legislazione che richiederebbe nuovi standard di sicurezza sulle navi. “Sono un formidabile nemico.”
“Vanno loro incontro – ogni volta”, afferma Jamie Barnett, presidente dell’International Cruise Victims Association (Icva), un’organizzazione che fa pressioni per norme di sicurezza più rigorose sulle navi da crociera, a proposito dei suoi incontri con i legislatori al Campidoglio.
Entriamo, si fanno delle foto con noi, raccontiamo le nostre storie e loro ascoltano – ognuno di loro ascolta – ma poi i lobbisti per l’industria arrivano subito dopo di noi, con i loro soldi e si dimenticano di noi.
Nonostante quello che Icva significa, le navi non sono necessariamente più pericolose della terraferma. Ma le vittime dei crimini hanno molto meno mezzi in mare di quanti ne avrebbero a terra. Le vittime denunciano i crimini alla sicurezza privata della nave. E sebbene l’industria abbia migliorato le proprie politiche relative alle denunce nell’ultimo decennio, abbondano le storie di vittime a cui sono offerti vantaggi per mantenere il silenzio o di scene del crimine che sono ripulite. Quando le autorità americane sono coinvolte, se accade, le autorità pubbliche di porti stranieri con cui si hanno relazioni amichevoli hanno talvolta già effettuato un primo passaggio sulla scena del crimine. Le prove si perdono. I colpevoli sono già in fuga. Quando una donna americana fece causa a Carnival nel 1999 sostenendo di essere stata violentata da un membro dell’equipaggio, la compagnia di crociera scortò il dipendente appena licenziato all’aeroporto e fuori dal paese prima che l’Fbi potesse interrogarlo. (La compagnia dichiarò che c’era stata una cattiva comunicazione.) Nel corso di quel caso, un giudice della Florida ordinò alla compagnia di rilasciare le statistiche su quante aggressioni sessuali erano state commesse da membri dell’equipaggio nei cinque anni precedenti. La risposta: 108 — tra cui 22 presunti stupri. Nessuno dei quali è stato perseguito con successo. Lo scandalo “a cottura lenta” della serie Succession di HBO – in cui il reparto crociere di Logan Roy aveva coperto anni di aggressioni sessuali e altri crimini – non era poi così inverosimile.
Per molto tempo, le uniche persone che pubblicizzavano questi casi erano accademici come il sociologo Klein. Alla fine, una legge scritta dalla deputata della California Doris Matsui ha costretto le compagnie di navigazione a pubblicare le statistiche sui crimini violenti e le morti sospette. Nel 2013, dopo un anno disastroso che ha visto la morte di trentadue persone a bordo della Costa Concordia (gestita da una filiale della Carnival) e della famigerata “poop cruise” (la crociera della cacca, quando le acque reflue scorrevano lungo le sale della Carnival Triumph), il settore è stata portato di fronte Congresso per una serie di audizioni sulla sicurezza a bordo e sull’elusione fiscale. Ma il terzo grado è servito a poco e le aziende hanno continuato a fare resistenza rispetto alle misure di sicurezza come l’obbligo di dotare le navi di sensori di movimento per avvisare l’equipaggio nel caso di un uomo in mare.
Barnett, come molti membri dell’Icva, è stato spinto all’attivismo dalla tragedia personale. Nel 2005, sua figlia di venticinque anni, Ashley, morì improvvisamente a bordo di una nave a causa di un’overdose di metadone, una sostanza che, dice, sua figlia non avrebbe preso consapevolmente. Barnett sostiene che la prima fase dell’indagine è stata gestita dalla sicurezza della nave; poi la polizia messicana ne ha assunto il controllo. Fu solo quando la nave attraccò negli Stati Uniti che l’Fbi iniziò a indagare. Una legge di oltre un secolo fa, chiamata Death on the High Seas Act (legge sulla morte in alto mare), stabilisce che l’ammontare del risarcimento che una famiglia può ricevere per un decesso non accidentale avvenuto al largo sia equivalente ai guadagni perduti nel corso di una vita, meno le tasse e le spese. Le compagnie di crociera sono riuscite con attività di lobby a delimitare enormemente la portata della legge, arrivando per far questo a sostenere gli sforzi della British Petroleum per impedire i risarcimenti alle famiglie delle vittime di Deepwater Horizon.
“Quando morì, mia figlia non mi manteneva, pertanto la sua vita non valeva niente”, racconta Barnett.
Le navi sono sempre state punti nodali importanti per la diffusione di contagi. La parola “quarantena” deriva dai quaranta giorni in cui le navi dovevano restare ferme nei porti italiani durante la Peste Nera. Nel 1918, l’influenza “spagnola” fu diffusa in tutto il mondo dai trasporti truppe americani. Secondo il CDC, l’agenzia per la prevenzione e il controllo delle malattie, ci sono stati tredicimila casi di norovirus (che è altamente contagioso e causa vomito e diarrea) sulle navi da crociera che solcano le acque degli Stati Uniti solo tra il 2008 e il 2014. Il dottor Anthony Fauci potrebbe aver scherzato quando ha detto a marzo che “personalmente” non sarebbe mai andato in crociera, ma un epidemiologo che collaborava con NBC News lo scorso agosto non scherzava:
Quello che vedo quando guardo a viaggi di questo tipo – ha scritto – è il rischio potenziale di restare intrappolato con migliaia di altri in uno spazio ristretto, affetto da disturbi gastrointestinali come norovirus e l’Escherichia coli, infezioni respiratorie tra cui l’influenza e la varicella, o – come ha dimostrato una recente crociera di Scientology – il morbillo. Scientology e morbillo. Una coppia meravigliosa, no?
“Una nave da crociera è una piccola città, almeno per gli standard del mio stato”, afferma Blumenthal, senatore del Connecticut. Ma a differenza di un posto di dimensioni comparabili sulla terraferma, i medici a bordo non devono essere iscritti all’ordine professionale statunitense. Lo screening del coronavirus a bordo della Grand Princess e di altre navi consisteva in un semplice questionario, non in una valutazione medica.
La mancanza di adeguate cure mediche e strutture ha esacerbato la crisi e ha mostrato al pubblico americano in modo molto chiaro e drammatico quanto possa essere assurdamente inadeguata l’assistenza sanitaria sulle navi da crociera,
aggiunge. (Secondo il portavoce della Carnival Roger Frizzell, i protocolli coronavirus della compagnia, che contemplavano una restrizione per i passeggeri che erano stati in Cina nelle ultime due settimane, sono andati “ben oltre” quelli di altri luoghi comparabili e le strutture mediche a bordo dovevano sottostare agli “obblighi” ed erano “strettamente regolate dal CDC e da altre autorità sanitarie”).
Per cinque volte Blumenthal e Matsui hanno presentato un disegno di legge per innalzare gli standard sanitari delle navi, ma le proposte di legge non sono mai uscite dalle commissione. Quando Blumenthal ha incluso variazioni del disegno di legge nelle misure di finanziamento, un altro legislatore l’ha bloccato. Si trattava di Dan Sullivan, un repubblicano dell’Alaska favorevole alle crociere, lo stesso senatore che da solo ha fatto risparmiare al settore settanta milioni di dollari all’anno con un tempestivo emendamento alla legge sulla riforma fiscale del 2017.
Nonostante la frequenza con cui disturbi come il norovirus affliggono i passeggeri delle crociere, l’industria non era attrezzata per gli inevitabili focolai. Nel caso della pandemia da coronavirus, l’andamento delle risposte rispecchiava le raffazzonate risposte federali che nel tempo si stavano dando. I passeggeri della Costa Luminosa non sono stati informati per più di una settimana che un italiano era stato fatto sbarcare con sintomi simili a quelli di Covid-19 (in seguito è morto). Quando finalmente la nave è attraccata a Marsiglia, quasi la metà dei settantacinque passeggeri testati erano positivi. (“È facile guardare indietro, ma ci siamo affidati agli esperti medici e alle migliori informazioni disponibili al momento per prendere le nostre decisioni”, ha detto Frizzell. “È fare del revisionismo… sostenere che avremmo dovuto agire in modo diverso da qualsiasi altro negli Stati Uniti in quel momento”).
In una recente causa legale, una donna il cui marito è morto dopo aver contratto il virus a bordo della Grand Princess ha ricordato di aver litigato con il personale della nave che prendeva tempo per rispondere alle sue richieste di assistenza medica. Come faceva a sapere che aveva davvero la febbre? volevano sapere. (Carnival ha detto che non commenta il contenzioso in corso.) I membri dell’equipaggio su alcune navi – a cui è capitato che fossero dati tovaglioli di carta al posto delle mascherine – ne hanno subite anche di peggio, poiché le condizioni di vita e le rigidità del lavoro hanno reso impossibile il distanziamento. Nel corso di una causa legale presentata ad aprile, Alexandra Nedeltcheva, una cameriera bulgara sulla Celebrity Apex della Royal Caribbean che aveva contratto il virus, ha sostenuto che i lavoratori avevano continuato a mangiare servendosi da un buffet sottocoperta e a partecipare a esercitazioni obbligatorie più di una settimana dopo che la società “aveva acquisito le prove della presenza di Covid-19” a bordo. Due giorni dopo una festa per i membri dell’equipaggio, sette di loro erano positivi. A bordo della Diamond Princess, quindici dei venti membri dell’equipaggio che si sono dimostrati positivi erano lavoratori della ristorazione. Sarebbero centinaia i lavoratori che alla fine si sarebbero ammalati sulle navi da crociera, secondo il Miami Herald.
Il 6 marzo, quando la Grand Princess è stata messa in quarantena al largo della California, Trump disse ai giornalisti che avrebbe tenuto la nave al largo perché non voleva che i 21 casi attivi fossero compresi nel conteggio totale nazionale. Sembrava pronto, però, ad aiutare a terra i proprietari delle navi. A una raccolta fondi di rielezione nella sua residenza di Mar-a-Lago quella notte, secondo il Washington Post, ha promesso a un gruppo di donatori repubblicani di alto livello che l’industria delle crociere avrebbe continuato l’attività.
Ovviamente Donald Trump e Micky Arison, presidente della più grande compagnia di crociere del mondo, sono amici. Sarebbe quasi strano che non lo fossero: due miliardari del settore dell’ospitalità che hanno ereditato le attività dai loro padri e che hanno una passione per l’elusione fiscale e un talento per lo spettacolo. Un rapporto che data a molto tempo fa. Trump aveva assistito a una partita dei Miami Heat con Arison nel 2005, lo stesso anno in cui Carnival aveva ospitato una crociera a tema The Apprentice. La Carnival in seguito ha sponsorizzato una finale in due parti di Celebrity Apprentice. Il Washington Post ha riferito che quando Trump ha rinnovato il suo golf club a Doral, in Florida, Arison gli ha inviato un messaggio di congratulazioni. Trump, su Twitter, ha spesso menzionato Arison elogiandolo.
Le loro amicizie si sono sempre più sovrapposte mentre gli affari della Carnival si facevano strada nella palude della Washington della presidenza Trump. L’anno scorso, per ottenere il favore del presidente sulla politica commerciale, la società ha assunto Pam Bondi, ex procuratrice generale della Florida e socia di Trump, e Brian Ballard, uno dei maggiori raccoglitori di fondi del presidente, indicato da Politico come “il più potente lobbista di Trump a Washington”. (La cognata di Bondi, Tandy Bondi, era già una lobbista della Carnival.) Quando il lavoro di Pam Bondi è terminato, si è unita alla squadra di Trump come consulente nella procedura d’impeachment. Questa primavera, quando le azioni della Carnival sono crollate, l’azienda si è rivolta a un altro amico di Trump, il principe ereditario Mohammed bin Salman dell’Arabia Saudita, che l’ha salvata acquistandone 43,5 milioni di azioni attraverso il fondo sovrano del paese.
Trump non è riuscito a tenere aperto il business delle crociere: sotto la pressione del CDC, il 13 marzo, il settore ha annunciato il rinvio di tutte le nuove crociere, lo stesso giorno in cui Trump ha dichiarato l’emergenza nazionale. Ma Arison e Trump si sono parlati più volte durante la crisi. A metà marzo ha chiamato il presidente per offrire le sue navi e usarle come ospedali. La Carnival ha persino offerto volontariamente ai propri equipaggi di continuare a pulire le navi: tutto ciò che chiedeva era che il governo coprisse “i costi essenziali delle operazioni della nave mentre era in porto”. Un’offerta non nuova per l’azienda: dopo l’uragano Katrina, la FEMA (l’Ente federale per la gestione delle emergenze) ha dato alla Carnival un contratto da 236 milioni di dollari per fornire alloggio agli operatori umanitari, ma le navi rimasero per lo più vuote per settimane. Trump ha parlato proprio della Carnival alla sua conferenza stampa più tardi quel giorno, dicendo: “Era un’offerta molto generosa” che stava prendendo in considerazione, ma ha inviato una vera nave ospedale della Marina a New York. Tuttavia, l’offerta di Arison ha messo la società tra le notizie per qualcosa di positivo: potrebbe essere stato il vero motivo dell’offerta. Le azioni dell’azienda si sono per un po’ rialzate. Trump ha riempito di attenzioni il settore, inviando Pence a Tampa per incontrare Arison e altri dirigenti del settore crocieristico per discutere della gestione dei focolai da Covid-19. Per alcune settimane, sembrò prendere in considerazione un salvataggio del settore delle crociere. Era un “ottimo candidato” per un salvataggio finanziario, ha detto Trump il 18 marzo. “Non possiamo lasciare che le compagnie di crociera cessino di funzionare”, ha dichiarato alcuni giorni dopo.
Il salvataggio delle crociere non ha mai però goduto di molto sostegno nel Congresso e l’industria ha sempre sostenuto di non averlo chiesto. La versione finale del CARES Act conferiva al segretario del Tesoro un ampio potere di distribuzione di fondi, ma solo a società con sede negli Stati Uniti. Quando la CNBC ha riferito che le compagnie di crociera erano impegnate in colloqui con un gruppo di senatori per una “soluzione legislativa”, persino alcuni repubblicani hanno manifestato la loro contrarietà. “Tornate in America”, ha twittato il senatore del Missouri Josh Hawley, “e pagate le tasse”. Nick Ayers, ex capo dello staff di Mike Pence, ha suggerito di “recarsi nel paese di cui sventolano la bandiera e di chiedere il loro aiuto”. (Il primo ministro delle Bermuda, David Burt, ci ha detto che nessuna compagnia di crociere ha chiesto assistenza finanziaria al suo governo.)
Trump stesso ha cambiato rotta dopo aver apparentemente appreso che “la nostra industria crocieristica” non era, in effetti, davvero nostra. “hanno la loro base in luoghi diversi, non vi dirò dove — potrei dirvi esattamente dove hanno sede, ma non lo farò – ma in realtà hanno la loro sede in più di un posto, come sapete “, ha detto.
Ma in un altro senso, il settore delle crociere ha ottenuto ciò di cui aveva bisogno. L’amministrazione Trump non ha dovuto finanziare direttamente le navi perché a questo hanno provveduto altri aspetti del pacchetto di salvataggio. Nel caso della Carnival, è stata la decisione della Federal Reserve di spremere il mercato del credito che ha permesso alla società – che era diventata così disperata da iniziare a negoziare con gli hedge funds – per assicurarsi un prestito più agevole grazie agli amichevoli servizi del “banchiere di quartiere”, JP Morgan. Il pacchetto di aiuti poteva pure lasciare ristoranti nel limbo e costringere i lavoratori a lottare per pagare l’affitto, ma per le grandi società il sistema ha funzionato: una maggiore liquidità era abbastanza allettante per gli investitori da lanciare loro un salvagente. Ai primi di maggio, Norwegian ha annunciato che era sull’orlo della bancarotta. Nel giro di un giorno, tuttavia, aveva raccolto abbastanza capitale dagli investitori per finanziare la società per altri diciotto mesi senza entrate. I giganti delle crociere non sono del tutto a posto, ma quando hai amici ben piazzati e guadagni i tuoi soldi in mare aperto, i fondamentali sono sempre solidi.
Poco dopo aver firmato la legge per il salvataggio (quello che non contemplava le imprese crocieristiche), Trump ha annunciato i membri del suo consiglio consultivo per far ripartire l’economia. Tra loro c’erano commissari sportivi, ristoratori e banchieri. E un certo Micky Arison, della Carnival.
Quando i passeggeri a bordo della Diamond Princess e delle altre navi sono tornati finalmente a casa, la vita a terra assomigliava sempre più al purgatorio che si erano lasciati alle spalle. “Adesso il mondo intero sembra una nave da crociera”, ha detto un passeggero a NBC News.
Voleva dire che tutto il mondo era in quarantena. Ma se il mondo sembrava una nave da crociera, era anche perché, mentre molte persone erano in quel momento bloccate, a molte altre non era concesso di restare in quarantena. Il focolaio sulle navi da crociera è stata una pandemia americana in miniatura; il virus ha alimentato le iniquità e le carenze dei sistemi sanitari, lavorativi e abitativi. Le navi da crociera, con la loro stratificazione parassitaria di lavoratori e persone in cerca di piacere, sono come enormi modelli fluttuanti di estrema disuguaglianza. Come appare una società quando i suoi leader eliminano il “sociale” dal contratto sociale.
La Carnival sostiene di aver agito in modo appropriato, forse persino nobilmente. “Ogni nave è una mini-città”, ha detto a Bloomberg il ceo della compagnia, Arnold Donald, due mesi dopo la debacle della Diamond. Si era davvero comportato in modo molto diverso rispetto a New York? Ma non c’è stato molto tempo per preoccuparsi di cosa è andato storto. A maggio, mentre più di centomila membri degli equipaggi erano bloccati a bordo di navi da crociera che sarebbero altrimenti rimaste vuote nei porti stranieri, così disperati pur di tornare a casa da cominciare uno sciopero della fame sulle navi della Royal Caribbean, Carnival ha annunciato alcune buone notizie: le crociere sarebbero ricominciate, forse già ad agosto. I prezzi della camere partono da soli 298 dollari. Le maschere protettive non sono incluse.
Traduzione di Marco Michieli
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