L’ambizione dei verdi francesi

I risultati delle europee e il primo turno delle amministrative hanno sancito un nuovo ruolo per gli ecologisti francesi. In competizione coi socialisti e in precario equilibrio tra opposizione dura e “compatibilità” con il movimento del presidente Macron.
MARCO MICHIELI
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Domenica 28 giugno si vota per il secondo turno delle amministrative, inizialmente previsto per il 22 marzo e rinviato, non senza polemiche, a causa del Covid-19. Il primo turno era stato caratterizzato dal più basso tasso di partecipazione registrato per questo tipo di elezioni (44,66 per cento). Delle 446 città con più di ventimila abitanti interessate dalle elezioni, 226 hanno già eletto il proprio sindaco al primo turno. 240 invece dovranno attendere domenica prossima per sapere l’identità del primo cittadino. In palio vi sono le più importanti città francesi: Parigi, Lione, Marsiglia, Bordeaux, Lilla, Nizza, Tolosa e molte altre.

Nel passato la tornata elettorale municipale – ogni sei anni – aveva sanzionato il presidente al potere. Era accaduto a Nicolas Sarkozy nel 2008, quando i socialisti avevano guidato la sinistra a molte vittorie. Era accaduto anche nel 2014, quando la destra vinse contro i socialisti, una sanzione nei confronti dell’allora presidente François Hollande. E questa tornata elettorale non sarà diversa per Emmanuel Macron e il suo partito, La République En Marche (LREM). Che si prepara alla sconfitta.

Attualmente la situazione sembra essere più favorevole in generale alla destra, a cui il partito del presidente sembra guardare per alleanze e accordi elettorali. A sinistra nella grande maggioranza dei casi si assiste a grandi alleanze – socialisti, verdi, comunisti, altri partiti di sinistra e movimenti civici – che dovrebbero permettere loro di conservare la grandi città (Parigi, Nantes, Rennes, Clermont-Ferrand). E di conquistarne forse di nuove, strappandole al centro e alla destra: Lione, Bordeaux, Marsiglia, Tolosa.

A Parigi la sindaca uscente Anne Hidalgo, socialista, ha ottenuto al primo turno quasi il 30 per cento dei voti e se la dovrà vedere al secondo turno con Rachida Dati (Les Réublicains, LR) e Agnès Buzyn (LREM). Per il secondo turno Hidalgo ha ottenuto l’appoggio dei Verdi (quasi l’11 per cento al primo turno). Il mancato accordo tra LR e LREM è probabile porti alla vittoria della sindaca socialista in una città dove alle presidenziali del 2017 Macron aveva una solida base elettorale.

Michèle Rubirola, verde e candidata sindaco a Marsiglia, arrivata in testa inaspettatamente al primo turno. Guida una coalizione con socialisti e il partito di Mélenchon

Nelle altre grandi città però sono i verdi a fare da traino alla sinistra. A Marsiglia, città governata dalla destra dal 1995, la candidata ecologista si è imposta al primo turno, superando la favorita Martine Vassal (LR). Nella città di Bordeaux, a destra dal 1947, il sindaco uscente con l’aiuto de LREM dovrà vedersela con il verde Pierre Hurmic, sostenuto da tutta la sinistra.

A Lione, il partito del presidente della repubblica aveva ancora una volta dato fiducia a Gérard Collomb, storico sindaco socialista della città e poi ministro dell’interno con Macron. Gli scarsi risultati elettorali hanno però spinto Collomb a stringere un accordo con la destra repubblicana per sbarrare la strada a Grégory Doucet, verde, arrivato largamente in testa al primo turno (29 per cento).

A Tolosa è il verde Antoine Maurice che, a capo di una coalizione da Mélenchon ai socialisti, sfiderà il sindaco uscente dei LR, sostenuto anche dal partito di Macron.

I Verdi sono andati molto bene in questa tornata elettorale e oggi rivendicano un ruolo nuovo. Da soli o in coalizione, gli ecologisti sono riusciti a rimanere in corsa in cento e ventidue città, sei volte di più che nel 2014. Risultati quelli dei verdi che sono stati particolarmente buoni nelle zone urbane. In alcune aree hanno raddoppiato, e qualche volta triplicato, i voti: da Grenoble (46,7 per cento) a Tours (35,5), da Lione (28,5) a Strasburgo (27,9), da Tolosa (27,6) a Bordeaux (34,4).

Nelle città con più di trentamila abitanti, rispetto al 2014 la media ottenuta dalle liste ecologiste è passata dal 10,2 per cento al 16,4 per cento. E il numero di liste in cui i verdi sono capiliste è raddoppiato rispetto al 2014. Così come sono aumentate le liste autonome degli ecologisti che hanno deciso di correre da sole.

Questo nuovo peso elettorale, tuttavia, pone una serie di problemi.

Se è vero che queste elezioni municipali segnano il ritorno del clivage destra-sinistra, a sinistra il gioco delle alleanze è estremamente complicato. La frammentazione di quest’area politica è infatti molto elevata. E i risultati dei verdi rendono più “stabile” questa frammentazione. Con gravi rischi di competizione a sinistra per la leadership. E di alleanze molto ampie.

Infatti, il buon risultato dei verdi – soprattutto se la sinistra dovesse vincere quelle città governate dal centro e dalla destra dove i candidati sono ecologisti, vedi Marsiglia e Lione in particolare – li confermerebbe come il principale partito di opposizione alla maggioranza presidenziale e alla destra. A conferma di una strategia perseguita dal buon risultato (13,5 per cento) ottenuto alle elezioni europee del 2019. E a scapito di chi di solito ha svolto quel ruolo di baricentro delle coalizioni di sinistra: i socialisti.

Nella maggior parte dei casi verdi e socialisti si sono accordati. Ma in due città simbolo – Lilla e Strasburgo – lo scontro tra le due formazioni è stato molto aspro. A Strasburgo la candidata dei verdi è arrivata in testa al primo turno ma le negoziazioni con un’ex sindaca socialista (terza) non sono andate a buon fine. La diatriba potrebbe portare il candidato LREM, sostenuto anche dalla destra e arrivato secondo al primo turno, a vincere la città. 

La situazione è davvero complessa invece a Lilla. Soprattutto perché la sindaca uscente è un’icona dei socialisti: Martine Aubry. Aubry, la “madre” delle trentacinque ore fatte approvare quand’era ministra di Lionel Jospin, è uno dei pezzi grossi di quel che rimane del Ps. Figlia di Jacques Delors, l’ex segretaria del partito, vinto in una competizione molto dura – e non completamente regolare – contro Ségolène Royale, rischia di perdere la città. L’accordo con i Verdi, gli ex alleati comunali il cui candidato è arrivato secondo a cinque punti di distanza da Aubry, non è stato raggiunto. In questo triangolare tra Aubry, Verdi e il partito di Macron – che ha candidato l’ex capo di gabinetto di Aubry – non si sa bene cosa possa accadere. Ma gli ultimi sondaggi danno Aubry e il candidato dei Verdi appaiati.

La sindaca di Lilla, Martine Aubry, socialista, e il suo avversario (ed ex alleato) Stéphane Baly, verde

Certo sono due casi pressoché isolati. Ma danno l’idea dello scontro futuro in vista delle elezioni presidenziali del 2022. Perché i verdi rivendicheranno questo nuovo ruolo di pivot della sinistra. E a quanto sembra i socialisti non paiono intenzionati a concederlo così facilmente.

Queste elezioni municipali sono le prime indicazioni di quello che può accadere alla prossime elezioni presidenziali. L’unione della sinistra, pur frammentata, potrebbe portare un proprio candidato al secondo turno. Un problema non da poco per Macron che punta a riconquistare attraverso l’impegno “ecologico” una parte di quell’elettorato. Eletto nel 2017 grazie ai voti del centrosinistra, oggi il presidente si appoggia prevalentemente ad un elettorato di centrodestra. Anche se rimane una componente di centrosinistra molto rilevante. La creazione di un’unione delle sinistre, a guida ecologista, potrebbe rappresentare un pericolo per il 2022. Per questo l’ala sinistra della maggioranza aveva anche avanzato la possibilità di allearsi in alcune località con gli ecologisti. Per disinnescarne la pericolosità. Ma non è andata così.

La competizione interna alla sinistra potrebbe però essere un vantaggio. Perché alla frammentazione della sinistra si somma l’assenza di una candidatura unificante che metta assieme tutti, da Mélenchon al verde Yannick Jadot, dagli eterni ritorni di Arnaud Montebourg a quello di Ségolène Royale.

E il rapporto tra Verdi e Macron è più ambiguo di quanto si potrebbe pensare. Vi sono personalità politiche tra gli ecologisti – e i socialisti – che sono “Macron-compatible”, che rifiutano cioè di dire che si oppongono all’attuale presidente. È il caso di Yannick Jadot. Ma anche di think-tank socialisti come la Fondation Jean Jaurès o Terra Nova.

Per il presidente francese si tratta di evitare in tutti i modi la ricomparsa della tradizionale rottura tra destra e sinistra in vista delle presidenziali del 2022. In un’eventualità di questo tipo, il partito del presidente si troverebbe a dover scegliere una collocazione. E probabilmente sarebbe a destra, dove ci sono meno concorrenti. Il rischio però è quello di perdere quella parte di elettori di centrosinistra che l’hanno fatto vincere nel 2017 e archiviare qualsiasi tentativo di riconquista di quell’elettorato. 

Rischia inoltre di fare affidamento all’elettorato di centrodestra che potrebbe non essere così fedele. Soprattutto se si trovasse di fronte a candidature moderate di destra, non così lontane da Macron.

Al momento l’Eliseo sembra avere in testa una strategia che punta ai temi. Convincere gli elettori non attraverso alleanze elettorali ma attraverso l’impegno su alcune tematiche. Su quelli ambientali in modo particolare, con i risultati della Convenzione “citoyenne” per il clima, sulle cui conclusioni il presidente potrebbe richiedere ai francesi di esprimersi con un referendum. 

Una riunione della Convention citoyenne pour le climat. Voluta da Macron in ottobre del 2019, la Convenzione deve definire una serie di misure per abbassare del 40 per cento le emissioni di gas serra.

L’altra arma a sua disposizione per dimostrare un cambio di attenzione e d’orientamento politico potrebbe venire dalla sostituzione del primo ministro. Eduard Phillippe si è candidato a Le Havre, di cui è già stato sindaco. Se dovesse vincere, non potrebbe ricoprire il ruolo di primo ministro (per sua stessa dichiarazione e per una regola non scritta delle istituzioni). A quel punto un nuovo primo ministro potrebbe segnare in maniera decisa la svolta sui temi ambientali che da mesi il presidente auspica.

Una strategia che potrebbe funzionare, soprattutto perché al momento né a destra né a sinistra vi sono leader che possono impensierire Macron. Per il presidente della repubblica l’avversario dovrà essere ancora Marine Le Pen, il cui partito come al solito va male alle elezioni amministrative ma poi alle presidenziali ottiene risultati importanti. 

L’ambizione dei verdi francesi ultima modifica: 2020-06-23T23:19:11+02:00 da MARCO MICHIELI
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