Nella stanza di Bolton

Nel libro in uscita oggi, l’ex consigliere per la sicurezza nazionale descrive i suoi tumultuosi diciotto mesi di lavoro al fianco di Trump. Benjamin Netanyahu è citato più di trenta volte.
UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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Nel libro di John Bolton, The Room Where It Happened (La stanza dov’è successo), che descrive i suoi tumultuosi diciotto mesi di lavoro come consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Donald Trump,  Benjamin  Netanyahu è citato più di trenta volte. La maggior parte dei riferimenti al primo ministro israeliano sono brevi descrizioni di conversazioni tra Netanyahu e Bolton sull’Iran, contenenti pochissime informazioni nuove o significative.

Una storia che Bolton racconta in modo più dettagliato, tuttavia, rivela come Netanyahu – insieme a Bolton e al segretario di stato Mike Pompeo – avrebbe sabotato i tentativi di Trump di aprire canali diplomatici con Teheran la scorsa estate. Bolton racconta questa storia con orgoglio, e accenna al fatto che gli sforzi compiuti da lui stesso e da Pompeo, con l’appoggio di Netanyahu, hanno impedito a Trump di procedere per un accordo più ampio tra Stati Uniti e Iran, che all’epoca era stato spinto dal presidente francese Emmanuel Macron.

Gli eventi che Bolton descrive sono avvenuti nel periodo che ha preceduto la sua cacciata dalla Casa Bianca. In primo luogo, nel giugno 2019, Trump ha sorpreso e deluso Bolton e gli altri falchi iraniani della sua amministrazione annullando, all’ultimo momento, un attacco militare contro obiettivi iraniani come rappresaglia per un attacco iraniano contro un drone militare statunitense. Bolton descrive quell’evento come una delle decisioni meno professionali a cui abbia mai assistito nella sua carriera nella sicurezza nazionale.

Più tardi quell’estate, mentre le tensioni con l’Iran continuavano a crescere, Macron cominciò a offrire a Trump il suo aiuto come mediatore tra i due paesi. Il suo grande piano, secondo Bolton, era che Trump incontrasse un alto funzionario iraniano alla fine di agosto nella città costiera francese di Biarritz, mentre la Francia ospitava un incontro dei paesi del G-7 con il presidente americano presente.

Bolton scrive di come lui e Pompeo, i due più importanti falchi iraniani dell’amministrazione, abbiano lavorato durante l’estate per far fallire gli sforzi diplomatici di Macron e convincere Trump a rifiutare qualsiasi proposta. Ma Macron, spiega, li ha sorpresi invitando Mohammad Javad Zarif al raduno del G-7, aprendo la porta a un potenziale incontro tra il ministro degli esteri iraniano e Trump.

Per Bolton, Pompeo e Netanyahu questo era inaccettabile, soprattutto perché Macron stava promuovendo anche un’altra idea: una “linea di credito” internazionale verso l’Iran che allentasse una parte della grave pressione economica che l’imposizione di sanzioni da parte di Trump avrebbe esercitato sul paese.

Bolton ai tempi della Casa Bianca

Bolton scrive che quando Trump arrivò a Biarritz in agosto, ebbe un incontro individuale non programmato con Macron, durante il quale l’Iran era l’unico argomento in discussione. Secondo Bolton, Trump ha poi descritto quella conversazione come “la migliore ora e mezza che abbia mai trascorso”. Il giorno dopo, le voci sull’imminente arrivo di Zarif nel sud della Francia hanno cominciato a circolare. Bolton ricevette una chiamata preoccupata da Pompeo, che prima aveva parlato con Netanyahu di attacchi aerei contro obiettivi iraniani in Siria, attribuiti a Israele. Bolton omette di menzionare nel libro che tutto questo accadeva appena tre settimane prima delle elezioni israeliane del 17 settembre, in un momento in cui Netanyahu era in calo nei sondaggi e a corto della maggioranza necessaria per ottenere l’immunità dalle accuse di corruzione.

Dopo la telefonata con Pompeo, Bolton ha saputo dallo staff personale di Trump che Macron aveva invitato il presidente a incontrare Zarif, ed era “ansioso” di partecipare all’incontro. La reazione di Bolton fu quella di chiedere al suo staff di preparare un volo per il suo ritorno negli Stati Uniti: se l’incontro fosse andato avanti, si sarebbe dimesso immediatamente dalla Casa Bianca.

Pompeo e Bolton continuarono a comunicare nel tentativo di impedire a Trump di incontrare Zarif, e Bolton scrive che entrambi parlavano contemporaneamente anche a Netanyahu e al suo ambasciatore a Washington, Ron Dermer. Bolton chiese a Pompeo di dire a Netanyahu e a Dermer che “si sentiva come la Brigata Leggera” – il che significa che i suoi sforzi per fermare l’incontro si scontravano con forze potenti che non era necessariamente in grado di superare.

Nel frattempo, l’amministrazione Trump e il governo Netanyahu stanno discutendo un piano di annessione “graduale” israeliana in Cisgiordania, che avverrà in diverse fasi  nei prossimi mesi, secondo fonti che hanno conoscenza del dibattito all’interno dell’amministrazione americana. Questa, hanno detto, è una delle opzioni che saranno prese in considerazione questa settimana alla Casa Bianca quando Trump convocherà un incontro sulla questione con suo genero e consigliere senior, Jared Kushner, e con l’ambasciatore americano in Israele, David Friedman, e altri alti funzionari.

Ora, con l’avvicinarsi della scadenza del 1° luglio che Netanyahu ha annunciato come data obiettivo per l’inizio del processo, ci sono alcuni esponenti di primo piano a Washington e Gerusalemme che propongono un approccio diverso: annettere alcuni insediamenti ora, e potenzialmente aggiungerne altri in futuro.

Un’altra ragione per cui si sta considerando un tale approccio – rivela il corrispondente di Haaretz da Washington, Amir Tibon – ha a che fare con le elezioni presidenziali americane di novembre. I funzionari israeliani sono preoccupati per la prospettiva che Trump fallisca nella sua candidatura per la rielezione e che qualsiasi decisione di annessione presa ora possa improvvisamente diventare motivo di confronto con la prossima amministrazione.

Netanyahu spera che una mossa di annessione che potrebbe essere “venduta” all’estero in quanto di portata limitata e non distruttiva per le prospettive di una soluzione negoziata a due Stati sarebbe più facilmente digeribile da un’amministrazione democratica. Il suo ambasciatore a Washington, Ron Dermer, ha già iniziato a presentare questa argomentazione.

In un articolo pubblicato nel fine settimana dal Washington Post, Dermer ha sostenuto che una decisione israeliana di annettere alcune aree della Cisgiordania non danneggerebbe la soluzione dei due Stati, ma piuttosto l’aiuterebbe. L’ambasciatore israeliano ha fatto commenti simili in conversazioni private con i legislatori di Capitol Hill.

Mentre la sua argomentazione non sembra persuadere il suo principale target di riferimento – i Democratici al Congresso, che si esprimono sempre più contro l’annessione – un passo “limitato” dell’annessione sarebbe più facile per i sostenitori di Israele a Washington da inquadrare in questi termini che non una decisione di annettere il trenta per cento della Cisgiordania in una volta sola.

Tra i pochissimi funzionari israeliani coinvolti nel dibattito sull’annessione, c’è l’intesa che un processo di annessione graduale significa probabilmente che solo una fase di annessione sarebbe stata effettuata prima delle elezioni presidenziali americane, e che l’attuazione delle fasi successive sarebbe dipesa dal fatto che Trump ottenga o meno un secondo mandato. Ma una tale conclusione non è necessariamente condivisa dal team di Trump, e finora non è stata presa alcuna decisione definitiva in merito dall’amministrazione Usa.

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Nella stanza di Bolton ultima modifica: 2020-06-23T11:51:06+02:00 da UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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