L’emancipazione passa dalla redazione

In America, il personale delle varie testate chiede maggiore spazio per i giornalisti neri. Non è solo l’ennesima rivolta per una maggiore diversità sul posto di lavoro. In gioco è la rappresentazione che i media danno della realtà.
MATTEO ANGELI
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Lamentarsi di quanto il giornalismo americano sia bianco, anzi bianchissimo, non è una novità. Non c’è da sorprendersi: il “white privilege”, un cospicuo bagaglio di vantaggi che chi ha la pelle bianca si porta con sé fin dalla nascita e che lambisce ogni aspetto della vita umana, è un termine relativamente nuovo per descrivere un male antico. Ora però qualcosa sta cambiando: nella società americana i discorsi sulla discriminazione non risuonano più come un appello sordo. Anzi, di fronte a una presa di coscienza generalizzata, lo status quo non è più un’opzione, ma piuttosto qualcosa da rovesciare, così come avviene con le statue dei colonizzatori.

Paradigmatica in questo senso è la polemica che s’è abbattuta sul Los Angeles Times e il suo direttore Norman Pearlstine, che vede moltiplicarsi gli inviti a dimettersi, accusato di non aver saputo dare abbastanza spazio ai giornalisti neri o appartenenti ad altri gruppi sotto-rappresentati.

Tutto è cominciato martedì, con i giornalisti neri della testata che hanno mandato una lettera ai vertici del giornale chiedendo maggiore diversità all’interno della redazione.

Non abbiamo abbastanza giornalisti neri – o, più in generale, giornalisti di colore – che possano raccontare adeguatamente l’enorme diversità che caratterizza la nostra città, il nostro stato, la nostra nazione. E coloro che tra di noi hanno la possibilità di esercitare la professione sono spesso ignorati, marginalizzati, sottovalutati e condannati a seguire percorsi professionali che lasciano poco spazio agli avanzamenti di carriera,

denuncia la lettera, nella quale si sostiene che, per continuare a prosperare anche nel futuro, il Times dovrà rivolgersi sempre di più a un pubblico non bianco, cosa che riuscirà a fare con successo solo attraverso una redazione capace di includere e valorizzare le minoranze.

Quello del Los Angeles Times è solo l’ultimo di una serie di incidenti che in queste settimane hanno sconvolto il giornalismo americano, sull’onda del movimento Black Lives Matter. A inizio mese, i membri neri dello staff del New York Times hanno organizzato una campagna pubblica per denunciare un editoriale, apparso sul loro giornale, che invitava a usare la forza contro chi manifestava in seguito all’omicidio di George Floyd.

Il direttore del mensile di cucina Bon Appétit ha dovuto dimmettersi a causa di una foto del 2013, in cui, per Halloween, indossava un tipico costume portoricano e, quel che è peggio, si era truccato per far sembrare la sua pelle più scura – la famigerata “brown face”. Altro che errore di gioventù, le appropriazioni culturali oggi si pagano caro, carissimo.

Alla Pittsburgh Post-Gazette, poi, la redazione è letteralmente in rivolta dopo la decisione della direzione di rimuovere due giornalisti neri dalla copertura delle proteste contro le violenze razziste della polizia, con la giustificazione con non sarebbero in grado di farlo in maniera imparziale. Un passo falso che ha allontanato anche gli investitori pubblicitari. In maniera non dissimile, s’è assistito a proteste di questo tipo in tante altre redazioni d’America: da Vogue al Washington Post, da Refinery 29 al Philadelphia Inquirer.

Il Los Angeles Times è il quotidiano con il maggior numero di abbonati in California. Fu fondato nel 1881

C’è un problema di rappresentazione, che riguarda sia le redazioni in generale sia i loro vertici. Secondo un’indagine del Pew Research Center, il 77 per cento di coloro che lavorano nelle redazioni americane è bianco, contro solo un 7 per cento di impiegati neri. Quando si guarda poi alle posizioni di spicco, solo il 18,8 è costituito da persone di colore – è il risultato di uno studio della American Society of News Editors, che analizza pubblicazioni cartacee e digitali.

Il danno non è solo per i giornalisti di colore, ma anche per i lettori, perché una redazione che non rispecchia la diversità del paese è evidentemente mal attrezzata a raccontarne i vari colori e sfumature. Notizie che cercano di includere la diversità del mondo in cui viviamo non bastano, perché l’autenticità di una storia passa anche dal suo autore e dal vissuto che egli porta con sé.

Quindi, come rendere una redazione più inclusiva? La domanda è vecchia, risale almeno al 1827, quando i giornalisti americani neri portarono le lotte per la liberazione al lavoro, scatenando una serie di rivolte.

Le quote vanno sicuramente nella direzione giusta, ma non sono sufficienti. Non basta avere più neri, più donne o più gay in una redazione per cambiare dinamiche profondamente radicate.

In primo luogo, deve cambiare anche il contesto: non sono solo i giornalisti neri, da soli, a poter trasformare il posto di lavoro. Devono cambiare le dinamiche nelle conversazioni, tutta la redazione deve fare uno sforzo per gestire la questione in maniera proattiva. Non essere razzisti non basta più. Bisogna diventare antirazzisti. Così come non basta non essere maschilisti o omofobi. Metoo, Black Lives Matter e tutti gli altri grandi movimenti per i diritti civili della nostra epoca ci ricordano che quando sono a rischio i diritti delle minoranze siamo a rischio tutti, perché è minacciato il nostro “modo di vita”. Oggi c’è molta più consapevolezza a riguardo.

Ma, per coltivare davvero una cultura antirazzista in redazione, così come in ogni altro spazio di lavoro, bisogna intervenire sulla gerarchia e sulle dinamiche di potere. Avere più giornalisti neri serve a poco se poi questi non possono influenzare la linea editoriale.

Partecipare non basta. Per dar vita al cambiamento drammatico di cui oggi si sente così tanto il bisogno, i neri e gli altri gruppi sotto-rappresentati devono avere il loro posto al tavolo delle decisioni. Tutto il resto è uno sterile esercizio per camuffare la realtà e dare un contentino all’opinione pubblica.

L’emancipazione passa dalla redazione ultima modifica: 2020-06-27T18:24:18+02:00 da MATTEO ANGELI
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