Mercoledì primo luglio, con ogni probabilità in tarda mattinata, si ritroveranno tutti assieme. Con un piede in Estremadura e un altro in Alentejo. Tra Elvas e Badajoz. Con la solennità del protocollo latino fatto di carte da firmare, colpetti di gomito che da mesi sostituiscono le mani da stringere, e poi foto e sorrisi. Forse un po’ stirati e non per via del caldo che picchierà come solo in quelle regioni dell’Europa sa fare in quel periodo dell’anno e in quell’ora del giorno.
Si ritroveranno tutti. O almeno è ciò che al momento riportano le rispettive agende. Da una parte il presidente della repubblica portoghese Marcelo Rebelo de Sousa e il presidente del consiglio António Costa. Dall’altra re Felipe VI di Spagna e Pedro Sanchez. Le più alte cariche dei due paesi che lasciano Lisbona e Madrid e superano tutte le rispettive pastoie politiche, amministrative e di rappresentanza per raggiungere il più lontano fazzoletto periferico del proprio stato.
Uno che legge la notizia per la prima volta non può che pensare a un anniversario da celebrare. A una qualche battaglia storica che accomuna i due paesi, una guerra vinta contro un nemico comune. Magari contro gli arabi invasori quando non era ancora passato il primo millennio dopo la morte di Cristo. E invece no. Ovviamente. Altrimenti non saremmo qui. Noi a scrivere e voi a leggere.
Si ritroveranno tutti il primo luglio, Portogallo e Spagna, per riaprire le frontiere terrestri tra i due paesi dopo la pandemia causata dal Covid. Un re, un presidente della repubblica e due primi ministri semplicemente per dire: liberi tutti, di nuovo amici. Troppa enfasi per non dubitare un po’. E infatti, se al sole di Alentejo ed Estramadura saranno solo parole benevole e rassicuranti, dentro i palazzi e tra gli open space ancora mezzi vuoti delle redazioni di giornali e tv si sta giocando un’altra partita. Fatta di interessi, di soldi e di prodotto interno lordo che quest’anno sarà da scenario bellico.
Negli ultimi mesi caratterizzati dalla pandemia globale i due paesi hanno percorso strade diverse. Anzi, opposte. Capovolti sono stati infatti i numeri dei contagi sull’asse Madrid-Lisbona-Barcellona-Porto. Nella prima – e anche nella seconda – fase dell’emergenza l’allarme rosso diceva solo ed esclusivamente Spagna. Non facciamo numeri per appesantire ulteriormente, ma non c’era partita.
Con le terapie intensive di Madrid e Barcellona che scoppiavano, le strutture di Porto colpite ma non troppo e gli ospedali di Lisbona appena toccati dal problema. Chiaro che ai portoghesi, quando in Europa si parlò di chiudere le frontiere (che nel caso della penisola lusitana vuol dire solo frontiere con la Spagna), sia sorto più un sospiro di sollievo che una sensazione di reclusione.

Nelle ultime settimane però, per cause che i virologi portoghesi faticano a spiegarsi, l’andamento dei contagi ha visto un altro copione. La Spagna, come l’Italia e molti altri stati dell’Unione, in picchiata verso il basso e il Portogallo (leggi Lisbona) che schizza verso l’alto con il primo ministro Costa che nel Consiglio di giovedì 25 giugno decide di chiudere nuovamente diciannove freguesias (una sorta di municipalità allargata) su ventiquattro della grande Lisbona, quelle più periferiche, da Sintra ad Amadora. Praticamente un nuovo lockdown con uscite contingentate, negozi chiusi eccetera.
Le ripercussioni non si sono fatte attendere e, sotterranea, s’è ulteriormente sviluppata la guerra tra i due paesi iberici. Con i giornali spagnoli a dare la massima evidenza alla recrudescenza del virus portoghese, con i relativi ministri del governo che hanno promesso di rimanere vigili e con il presidente della repubblica portoghese Marcelo Rebelo de Sousa che, un giorno dopo la decisione del “suo” governo di tornare ad applicare il lockdown, nel parlare di riapertura generalizzata delle frontiere terrestri tra i due paesi, ha aggiunto un sibillino:
Ovviamente entrambi gli stati rimangono attenti sull’evoluzione della situazione sanitaria.
Una frase che qualcuno ha letto addirittura come una “minaccia” di far saltare la cerimonia di mercoledì primo luglio. Il che significherebbe uno strappo politico senza precedenti tra Spagna e Portogallo. Strappo che ovviamente non ci sarà ma il cui spettro non fa che alzare ancor di più la tensione di questi giorni di inizio estate.
Già, ma quali sono i reali motivi di queste scaramucce, di queste vendette servite tiepide e del sottobosco mediatico che tira da una parte o dall’altra? Motivi economici, ovviamente. Che, visto il periodo e visti i bilanci dei due stati significa una cosa sola: turismo. Due numeri, giusto per farsi un’idea. Il settore turistico in Spagna rappresenta il 15 per cento del prodotto interno lordo e il 14,6 del Pil portoghese. Con aumenti significativi – specie a Lisbona e in Algarve – nelle ultime stagioni.
La “minaccia” portoghese è quindi cosa reale e concreta per Madrid, soprattutto perché va a intercettare tutti quegli arrivi nordeuropei (dagli inglesi agli scandinavi) che hanno capacità di spesa decisamente superiori a quelli di italiani e francesi (che invece continuano a preferire le mete spagnole). E Madrid, ma soprattutto le grandi spiagge andaluse e le strutture di massa di Benidorm e dintorni, sono a loro volta il competitor numero uno per i lusitani.
Non è un caso, quindi, se in cima alla classifica europea dei paesi in cui il turismo incide di più sui rispettivi bilanci dello Stato ci siano da anni proprio Spagna e Portogallo divisi da un’incollatura e poi a seguire, più o meno in quest’ordine, Austria, Olanda, Slovenia, Italia, Regno Unito, Francia, Repubblica Ceca e Ungheria. Se in questo quadro di braccio di ferro permanente inseriamo tutto quello che è successo tra fine inverno, primavera e inizio estate, con i paesi in fase di autarchia pronti a difendere coi denti i (pochissimi) turisti stranieri in arrivo, è sin troppo evidente che la battaglia si trasformi ora in una vera e propria guerra di sopravvivenza.
L’ultimo caso, forse il più eclatante, è stato questo. Il quotidiano spagnolo El País venerdì 26 giugno titola in prima pagina: “Portogallo ordina il confinamento a tre milioni di persone a Lisbona”. Notizia falsa a cui, per la prima volta, risponde addirittura il governo portoghese con un comunicato ufficiale alle 12.51 dello stesso giorno. Non c’è tempo da perdere. E la sensazione è che il primo luglio sotto il sole di Alentejo ed Estramadura i quattro sul confine faranno molto in fretta.

In copertina il primo ministro portoghese António Costa e il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez

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