[PARIGI]
Le dimissioni del primo ministro Edouard Philippe erano attese da tempo. E non si tratta solo di un gesto per la sua elezione a sindaco di Le Havre (col 58 per cento). Non c’è infatti incompatibilità tra i due ruoli, anche se per consuetudine si evita il cumulo dei due mandati. Negli ultimi giorni inoltre molti opinionisti si erano chiesti se davvero Philippe avrebbe abbandonato il ruolo di primo ministro per dedicarsi alla sua città.
Il gesto di Philippe invece deve essere letto all’interno del sistema istituzionale francese dove la figura del primo ministro è spesso descritta come il “fusibile” del presidente. È in prima linea per realizzare le politiche per le quali il presidente è stato eletto. E si assume tutte le responsabilità di quello che va male, per proteggerlo. Quando il presidente della repubblica pensa infine che sia giunto il tempo di cambiare corso alle politiche del proprio governo o di rilanciarne l’azione, generalmente fa saltare il primo ministro. È sempre accaduto. Più recentemente, nel 2014, quando Hollande decise di sostituire il suo primo ministro di allora, Jean-Marc Ayrault, con Manuel Valls, per segnare la svolta verso politiche economiche più moderate.
Nel nuovo mondo post Covid-19, le modifiche all’agenda politica del presidente sono così numerose che un cambio di governo sembrava sempre più inevitabile. Il calendario elettorale inoltre è denso: le elezioni senatoriali a settembre, quelle dipartimentali e regionali a marzo 2021 e poi le presidenziali del 2022.
Per Macron e il suo partito si sono aperti però due interrogativi. Il primo riguarda la svolta o il rilancio dell’azione di governo. Il secondo, il futuro di Philippe.
Ogni presidente che intende rilanciare il proprio mandato lo fa focalizzandosi su alcune problematiche. Macron ha da tempo indicato che le tematiche delle prossime elezioni presidenziali saranno ambiente e sovranità nazionale (leggi immigrazione e politiche economiche). E l’identità del primo ministro può dirci qualcosa degli obiettivi del presidente. E della strategia elettorale per arrivare alle prossime presidenziali del 2022 in posizione di forza.
Per mesi gli analisti si sono chiesti se un eventuale sostituto di Philippe potesse venire dal centrodestra o dal centrosinistra. Alcuni avevano puntato su un ex socialista, per recuperare voti tra gli elettori di centrosinistra. Si era fatto il nome di Jean-Yves Le Drian, attuale ministro degli esteri e ex ministro della difesa durante la presidenza Hollande. Le Drian è stato uno dei primi socialisti di peso a sostenere Macron e oggi guida la gamba di “sinistra” del partito del presidente della repubblica. Altri parlavano di Florence Parly, ministro della difesa ed ex socialista, che avrebbe rappresentato anche una svolta importante in termini d’immagine (la sola e unica donna primo ministro è stata la socialista Edith Cresson nel 1991-1992).
Tra coloro che auspicavano la svolta “ecologica”, circolava invece il nome di Pascal Canfin. L’eurodeputato de La République En Marche fa parte del gruppo degli ex verdi che hanno aderito tra il 2017 e il 2019 al partito di Macron.
Il presidente sembra però aver preferito riconfermare una figura che potesse continuare a rassicurare quell’elettorato di centrodestra che dalle elezioni europee dello scorso anno gli è diventato così essenziale. Si parlava di Brune Le Maire, ministro dell’economia, e di Gerard Darmanin, ministro del bilancio, che si è auto-candidato qualche settimana fa. Macron invece ha scelto Jean Castex, “Monsieur déconfinement”, il responsabile per la strategia di deconfinamento post Covid-19.
Castex è un alto funzionario dello stato e proviene dalla destra repubblicana. È stato sopratutto il vice-segretario generale dell’Eliseo durante la presidenza di Nicolas Sarkozy, al quale il presidente Macron si è avvicinato in questi ultimi tempi. Ma Castex è stato anche il capo di gabinetto dell’allora ministro della salute Xavier Bertrand. E questo mette in difficoltà i moderati de Les Républicains. Perché Bertrand, che ha ambizioni per il 2022, difficilmente criticherà Castex, col quale ha ottimi rapporti.
Soprattutto la figura di Castex è quella di un supertecnico, che non farà ombra al presidente della repubblica.
Gli indirizzi del nuovo governo non saranno determinati però solo dalla figura del primo ministro. In queste ore da destra a sinistra molti partiti si affrettano a dire che non entreranno al governo. L’hanno ribadito i Verdi, l’hanno confermato anche Les Républicains. Tuttavia, queste dichiarazioni più che allontanare il sospetto, confermano che forse qualche cosa è in movimento per convincere singole figure del mondo ambientalista e del centrodestra a entrare al governo. Una strategia che in questi anni Macron ha saputo utilizzare molto bene, anche se oggi è in una posizione di maggiore debolezza.

Sul futuro invece di Philippe è importante soffermarsi. Il presidente e il suo ex primo ministro escono dalle stesse scuole (Sciences Po a Parigi e poi l’ENA) ed entrambi si sono fatti strada nel mondo politico-istituzionale, Macron con l’esperienza nel settore privato, a differenza di Philippe. L’ex primo ministro soprattuto non è uno dei sostenitori di Macron della prima ora. Fu anzi una delle scelte più lodate dell’allora neo eletto presidente della repubblica. Macron infatti scelse una personalità legata strettamente all’ex primo ministro Alain Juppé e che aveva fatto campagna elettorale per François Fillon.
La scelta di allora era abbastanza obbligata per Macron. Eletto grazie essenzialmente ai voti degli elettori di centrosinistra e con molti pesi massimi provenienti dal mondo socialista che lo sostenevano, la scelta di Philippe dipendeva dalla necessità di allargare il campo della maggioranza presidenziale. Una mossa riuscita perché la vittoria alle elezioni legislative porta una componente di centrodestra all’interno del partito del presidente della repubblica. E un gruppo che diventerà nel tempo sempre più influente, nonostante i piccoli numeri.
Come raccontano molti testimoni, tra i due però è sempre rimasta una certa freddezza. A differenza delle relazioni tra molti presidenti e i loro primi ministri, i due non sono mai andati oltre il mero rapporto istituzionale. Negli ultimi mesi inoltre il primo ministro ha visto crescere la propria popolarità in relazione con la gestione della crisi del Covid-19. Mentre quella del presidente diminuiva. Una dinamica non nuova questa per la Quinta Repubblica francese. E che apre uno scenario, anche questo non nuovo, di una possibile corsa di Philippe alle presidenziali del 2022.
Se Philippe corresse come candidato presidente, potrebbe essere un problema molto grave per Macron. Sia come candidato di tutto il centrodestra, al momento improbabile, sia come uno dei candidati di centrodestra. L’ormai ex primo ministro rischia infatti di portare via voti al presidente in carica. E con poco margine a sinistra, se non recupera qualcosa in questi due anni, Macron potrebbe non arrivare al ballottaggio. Vero è che Philippe si è dimostrato di una fedeltà assoluta a Macron: dalla riforma delle ferrovie francesi alla crisi dei gilet gialli, dai due mesi di scioperi contro la riforma delle pensioni alla crisi sanitaria del Covid-19. Molto dipenderà dall’azione del prossimo governo.
E qualcuno non esclude la “soluzione Philippe” in caso di fallimento totale della presidenza Macron.


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