Era il 24 giugno 1995, una data che rimarrà per sempre nella storia del Sudafrica. Nelson Mandela, divenuto presidente dopo aver trascorso ventisette anni nell’inferno del carcere di Robben Island, aveva capito infatti che la pacificazione del paese non poteva prescindere dal coinvolgimento delle fasce popolari ma, soprattutto, di quell’aristocrazia bianca che aveva favorito, sostenuto e ritenuto del tutto normale e sacrosanta l’aberrazione dell’apartheid.
Parliamo, dunque, della grandezza d’animo di un uomo capace di unire le diversità, di andare al di là di se stesso e del proprio dramma, di amare la propria nazione sopra ogni cosa e di compiere il miracolo di puntare su coloro che erano più distanti da lui e dalle sue battaglie per riunificare ciò che decenni di discriminazione e violenza avevano diviso.
Sapeva bene, Mandela, che a Robben Island i neri, durante le partite di rugby, tifavano per ogni avversario del Sudafrica, in quanto il rugby era appannaggio dei bianchi, a differenza del calcio, lo sport povero, che era lo svago tipico dei neri. Sapeva, dunque, di dover puntare sullo sport che la sua gente aveva odiato per tutta la vita e trovò in un grande uomo, il capitano degli Springbox, François Pienaar, un prezioso alleato, in grado di comprendere perfettamente il messaggio mandeliano e di farlo suo, fino a condurre il Sudafrica al trionfo in finale contro la fortissima Nuova Zelanda di Jonah Lomu.
Fu, quel mondiale targato Mandela, l’apoteosi della “Rainbow nation”, la nazione arcobaleno architettata dallo stesso Mandela e dall’arcivescovo Desmond Tutu, un paese finalmente capace di vivere con serenità le proprie differenze e di credere nel valore dell’unità nella diversità che, fino a quel momento, non era mai stato preso neanche in considerazione.
Mandela condusse la nazione dei ghetti e delle divisioni, la nazione di Soweto e del suprematismo bianco verso un futuro migliore, un orizzonte di effettiva libertà che purtroppo, negli ultimi anni, ha subito parecchi contraccolpi. Eppure quell’esperienza rimarrà, al pari dei suoi artefici, dei suoi interpreti e dei suoi campioni.
Fu una vittoria corale, quella dell’Ellis Park di Johannesburg, un successo indimenticabile, bello come l’idea che nello sport e nella vita il colore della pelle non possa e non debba costituire un impedimento ma, al contrario, l’esaltazione di una società tanto più forte quanto più abile nel valorizzare le sue sfaccettature.

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!