Scuola. La distanza da colmare

In “La scuola senza andare a scuola” Giuseppe Caliceti racconta l’esperienza di questi mesi di emergenza virale: le difficoltà con le piattaforme informatiche, la collaborazione con le famiglie, le preoccupazioni dei colleghi, i corsi di aggiornamento on line, persino le assemblee sindacali. Al centro il rapporto con i bambini.
HILDA GIRARDET
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Mentre scorro le pagine del bel libro di Giuseppe Caliceti, La scuola senza andare a scuola. Diario di un maestro a distanza (Manni editore, luglio 2020), all’improvviso sono afferrata da un’acuta punta di allarme: e se questa volta fosse veramente la fine della scuola che in tanti abbiamo sognato e che, malgrado l’emergenza da Covid, ha continuato a resistere? E se questa volta non ce la dovessimo fare?

Giuseppe Caliceti, un autore dagli interessi multiformi, artista, musicista, prolifico scrittore per l’infanzia e maestro di quella scuola “reggina” famosa in tutto il mondo, nelle pagine del suo “Diario” racconta con grande equilibrio l’esperienza di questi mesi di “scuola senza la scuola”: le difficoltà con le piattaforme informatiche, la rinnovata collaborazione con le famiglie, le preoccupazioni dei colleghi, i corsi di aggiornamento on line, persino le assemblee sindacali. Tutto quello che fa da contorno al mestiere. Al centro, naturalmente, ci sono il rapporto con i bambini e l’esperienza della scuola a distanza.

Non ne nasconde certo i limiti. Anzi i suoi resoconti testimoniano giorno dopo giorno del fallimento di quella che è stata chiamata DaD, la didattica a distanza: le difficoltà di interagire con dei bambini di sei anni attraverso lo schermo di un computer; la costante presenza di un genitore, spesso la mamma, indispensabile per consentire i collegamenti ma che rende impossibile garantire ai bambini quel necessario spazio di “privacy”, di sottrazione all’ambito familiare, che solo può sostenerli nella loro conquista verso l’autonomia. L’impossibilità di raggiungere tutti i bambini, e anzi di fallire proprio nei casi dove il contatto sarebbe più necessario, addirittura indispensabile: bambini fragili e famiglie fragili.

Una scuola classista che più classista non si può: tanto che il volumetto si apre con le parole di Don Lorenzo Milani:

Se si perdono i ragazzi più difficili la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati.

E questa scuola del computer è una scuola che non può raggiungere tutti;

la tecnologia – scrive – non è un bene pubblico come accade per i banchi, le lavagne, le aule scolastiche. È un bene privato.

E così sono proprio quelli che hanno più bisogno della scuola, quelli per i quali “la scuola è ciò che di meglio possano avere al mondo” che in questi mesi sono stati tagliati fuori.

E poi è pur vero che, sotto le mentite spoglie di una grande innovazione tecnologica – per la quale ora vengono destinati e saranno spesi i fondi aggiuntivi – a farsi avanti è la scuola degli anni Cinquanta, la scuola degli allievi che sono teste da riempire, dove l’unica modalità è quella della “lezione frontale – studio individuale – interrogazione e voto finale”; non a caso sulla votazione si è acceso un grande dibattito che ha risvegliato l’interesse persino dei mass media, generalmente disinteressati della scuola e che della scuola hanno o amano diffondere proprio quest’immagine. 

Una modalità didattica che ormai neppure la più retrograda delle scuole primarie italiane mette più in atto da anni, anche se non si sta a Reggio Emilia, se non si sa niente della scuola “modello Italia” famoso negli anni Novanta (altro che modello finlandese!) e non si hanno alle spalle maestri come Malaguzzi, Mario Lodi, il Movimento di Cooperazione Educativa e l’esperienza di quasi cinquanta anni di tempo pieno e d’integrazione dei bambini variamente “diversi”.

E malgrado le pagine di questo libro costituiscano una denuncia di ciò che è stato fatto alla scuola negli ultimi decenni e dell’impossibilità di fare scuola a distanza, le tante parole dei bambini che parlano e scrivono ai loro maestri e che intercalano le pagine del “Diario” ci confermano della vitalità della scuola.

Le parole dei bambini ci confortano e ci raccontano di cosa succede a scuola – in qualsiasi scuola, perfino nella “non scuola al computer” – quando i bambini hanno fiducia nei loro insegnanti e affidano loro i pensieri, le emozioni, i timori, le curiosità, le tante domande e i tentativi di risposta. Quando, come ha scritto un altro maestro. Franco Lorenzoni, I bambini pensano grande (Sellerio) e sotto la guida attenta degli insegnanti e si mettono alla prova e crescono tutti insieme, ciascuno facendo il proprio percorso ma dentro la relazione con tutti gli altri.

Senza partecipazione, senza dimensione di gruppo – una dimensione piena, vera, reale – la scuola non è più scuola.

I bambini raccontano le cose che sanno fare, i loro desideri e i ricordi, le paure del contagio e i pesci che hanno lasciato nello stagno della scuola e che non hanno più potuto osservare – “[…] per me i pesci si stanno chiedendo perché adesso c’è sempre silenzio. Forse pensano che siamo morti tutti”. E attraverso le loro parole, anche se le vediamo stampate su un foglio bianco, possiamo sentire il brusio delle loro menti al lavoro. 

La scuola di prima della scuola media unificata, per fortuna, non c’è più. Non c’è più, malgrado da un ventennio sia stata inventata l’autonomia che, come sanno gli insegnanti, è

un modo per disgregare progressivamente la scuola pubblica, diminuirne gli investimenti, disfarsene, affidarla ad enti locali sempre più poveri, assoggettarla ad aziende private presenti sul territorio;

malgrado gli otto miliardi tolti dalla ministra Gelmini e dai governi che hanno seguito, malgrado la precarizzazione sempre più spinta del personale e gli stipendi fermi, l’ingresso dei privati nelle scuole pubbliche e i finanziamenti pubblici alle scuole private; malgrado la “Buona scuola”, le classi pollaio, i locali vetusti, la mancanza di spazi, attrezzature, sussidi, la chiusura delle piccole scuole e l’accorpamento in Istituti monstre. 

Decenni di “resilienza” da parte di migliaia e migliaia di maestri, professori, presidi hanno per ora fatto argine e le “buone pratiche” del passato sono state abbastanza solide da tenere. Ma fino a quando? Il Covid ha tolto il velo e le crepe ora sono diventate evidenti. 

E ci sono tante, troppe persone, e da troppo tempo, che spingono per una scuola di serie A, a pagamento per le famiglie che possono permettersela, e una scuola di serie B, C, D per gli altri. È una guerra di trincea avviata da tanto tempo tra i sostenitori della scuola pubblica di qualità e quelli che vogliono privatizzarla, magari regionalizzandola.

Prima la si impoverisce, sottraendo risorse e personale, poi si dichiara con la complicità dei mass media che la scuola pubblica è ormai inefficiente e inefficace, che sono meglio le scuole private, come in America, come in Inghilterra. 

Ed è su questo terreno di battaglia che vede la scuola ormai esangue – così come la sanità pubblica depauperata, l’altra grande colonna della nostra Repubblica – che si è abbattuta l’emergenza del Covid-19 e la didattica a distanza. 

Il timore è che questa volta la scuola pubblica sia sconfitta veramente. Si è tanto detto sulla ripresa a settembre: sicurezza, distanziamento, mascherine, didattica “mista”, un po’ in presenza, un po’ a distanza, un po’ altrove… Si è detto: classi sdoppiate, più aule e più docenti. Servirebbero almeno gli otto miliardi che la Gelmini aveva tolto alla scuola. Invece le cose non stanno andando per il verso giusto: si è stanziato un miliardo e mezzo con cui comprare banchi singoli e, soprattutto, nuove tecnologie digitali. Una scuola a distanza per tutti?

Un libro che apre uno squarcio per chi vuole capire cosa succede realmente in classe e perché la scuola può essere tale solo in presenza. Un libro leggibile e fresco per le mamme e i papà curiosi, per i maestri e le maestre che vogliono confrontarsi e ritrovare il senso del proprio lavoro, e per qualche giornalista che non si accontenta dei propri ricordi adolescenziali e non vuole stare al gioco.

Copertina e illustrazioni: Da twitter Victoria Giroux@FabFath

Scuola. La distanza da colmare ultima modifica: 2020-07-09T18:04:14+02:00 da HILDA GIRARDET
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