Il testo unificato del disegno di legge contro l’omotransfobia e la misoginia, depositato alla Camera il 30 giugno dal deputato Pd Alessandro Zan, è l’ultima tappa – si spera, decisiva – di una battaglia che va avanti da almeno venticinque anni. La prima proposta di legge in materia risale infatti al 1996 e fu presentata da Nichi Vendola. L’obiettivo del nuovo ddl? Modificare la “legge Mancino” del 1993, che punisce i comportamenti d’odio fondati sulla discriminazione “razziale, etnica e religiosa”, aggiungendo quella fondata “sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”.
Oggi la commissione giustizia della Camera ha adottato il documento presentato da Zan come testo base, su cui i gruppi presenteranno gli emendamenti. Tra le proposte principali c’è la modifica degli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale. L’articolo 604-bis sarà modificato come segue (in neretto l’integrazione).
Alle lettere a) e b) del primo comma:
è punito con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere
è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere
Al primo periodo del secondo comma:
È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni.
Inoltre, l’articolo 604-ter del codice penale verrà invece così modificato (in neretto l’integrazione):
Per i reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, ovvero al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità, la pena è aumentata fino alla metà.
Non è esagerato dire che su questa legge si misura il grado di civiltà della società italiana. Va da sé che in un paese che si vuole fondato sui valori di libertà e uguaglianza, non c’è spazio per la discriminazione e la violenza nei confronti di donne, omosessuali, lesbiche, bisessuali e transessuali. Non essere aggredito o discriminato per ciò che si è o per chi si ama è un diritto fondamentale, non un’ideologia, come sostengono, implicitamente o meno, gli omofobi di tutto il mondo.

Tuttavia, com’era prevedibile, c’è tutto un fronte, politico, religioso e sociale, che manifesta la sua opposizione al ddl presentato da Zan. In particolare, la Conferenza episcopale italiana (Cei) è intervenuta a gamba tesa, ancora prima che il testo unico fosse depositato alla Camera, tacciandolo d’inutilità e spirito liberticida. Tesi che sono state poi riprese da una parte dell’opposizione e dalle varie associazioni che s’autoproclamano “pro vita” e a favore di quella che definiscono “famiglia naturale”.
Da una parte, i vescovi sostengono che non serve una nuova legge perché esistono già adeguati presidi per contrastare il fenomeno. Argomentano che:
Il nostro codice già prevede sanzioni proporzionate alla gravità del reato per i delitti contro la vita (art. 575 e ss. cod. pen.), contro l’incolumità personale (art. 581 ss. cod. pen.), i delitti contro l’onore, come la diffamazione (art. 595 cod. pen.), i delitti contro la personalità individuale (art. 600 ss. cod. pen.), i delitti contro la libertà personale, come il sequestro di persona (art. 605 cod. pen.) o la violenza sessuale (art. 609 ss. cod. pen.), i delitti contro la libertà morale, come la violenza privata (art. 610 cod. pen.), la minaccia (art. 612 cod. pen.) e gli atti persecutori (art. 612-bis cod. pen.). Fino al 2016 l’ordinamento ha ritenuto illecita anche la semplice ingiuria (art. 594 cod. pen.).
Di fronte a tali tesi, viene da replicare alla Cei: perché mai il codice penale dovrebbe riconoscere la discriminazione religiosa e non quella basata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere?
Secondo il codice penale italiano, l’elemento discriminatorio costituisce giustamente un’aggravante. Ed è evidente che c’è una discriminazione nel momento in cui persone omosessuali o transessuali sono perseguitate proprio in dipendenza del loro orientamento sessuale o della loro identità di genere. Affermare che non c’è bisogno di leggi aggiuntive per contrastare l’omotransfobia, come fa la Cei, vuol dire quindi tentare di negare ai membri della comunità LGBTQI l’adeguata protezione che meritano, in quanto soggetti più vulnerabili rispetto alla maggioranza della popolazione.
Dall’altra parte, gli oppositori della nuova proposta di legge sostengono che essa sarebbe “liberticida”, che metterebbe un bavaglio a chi, come la Chiesa o le associazioni pro vita, non perde occasione per schierarsi a favore di quella che definiscono la “famiglia naturale”. Lo stato s’intrometterebbe nella morale privata – dicono – non permettendo più, ad esempio, d’esprimersi contro le adozioni da parte delle coppie omosessuali o la gestazione per altri. Queste argomentazioni sono l’ennesimo, disperato, tentativo di gettare fumo negli occhi dell’opinione pubblica.
Infatti, nonostante il confine sia labile, una cosa sono le idee e una cosa sono gli atti di discriminazione. E questa è una differenza di cui il testo di Zan tiene pienamente conto. L’odio non è una semplice antipatia, come spiega chiaramente anche il relatore. Se si guarda alla modifica che introduce alla lettera a) del primo comma dell’articolo 604-bis, si nota bene che nulla viene modificato nella prima parte del periodo – quella dedicata alla propaganda delle idee – e che l’estensione all’omotransfobia e misoginia riguarda solo gli “atti di discriminazione”.
La legge contro l’omotransfobia e la misoginia – se entrerà in vigore – non impedirà in nessun modo alla gente di esprimere le proprie opinioni in materia, ma metterà certo dei freni alla lingua di chi, con le sue parole, per troppo tempo ha promosso e sostenuto attivamente una cultura d’odio e un ordine sociale iniquo e oppressivo. Non c’è da stupirsi, perciò, che tutti coloro che, per un motivo o per l’altro, sono stati fino ad adesso liberi d’adottare in tutta tranquillità discorsi e comportamenti apertamente omofobi, ora, di fronte al rischio di dover rivedere la propria condotta, gridino alla norma bavaglio e facciano tante contorsioni teoriche per negarne la necessità.
La nuova legge non farà certo cambiare loro idea, ma, perlomeno, consentirà alle vittime d’omotransfobia e di misoginia di contare su strumenti più adeguati per difendersi dalla violenza, fisica e verbale. Ci saranno meno ragioni per aver paura e sentire il bisogno di nascondersi. Sarà l’ennesimo passo in avanti in un percorso d’emancipazione e di cambiamento culturale, verso una società più inclusiva, più giusta, più libera. Per tutte e per tutti.

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