Il Cile, la coppa più gloriosa nelle memorie di Adriano

Panatta ha da poco compiuto settant'anni. Grandissimo tennista, il suo più bel risultato? La conquista della Davis a Santiago, 1976, epoca Pinochet. Con lo sport vinse anche la politica.
ROBERTO BERTONI BERNARDI
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Pensavo che la cosa più fastidiosa nello sport fossero i grugniti dei tennisti e tenniste ogni volta che colpiscono la palla, mi sbagliavo, il casino che fanno i calciatori in campo quando giocano a porte chiuse è insopportabile. Meglio togliere l’audio. [@AdrianoPanatta]

Ne ha da poco compiuti settanta Adriano Panatta, forse il più grande tennista italiano di tutti i tempi. Diciamo che di questo campione ci hanno sempre colpito non solo le qualità atletiche, pur notevoli, come testimonia il magico ’76 in cui si aggiudicò gli Internazionali d’Italia a Roma, il Roland Garros a Parigi e, soprattutto, la Coppa Davis nell’inferno di Santiago del Cile. E qui emerge l’altro lato di Panatta, il suo aspetto politico, soprattutto se consideriamo il contesto in cui si disputò quella competizione.

Era, infatti, il Cile di Pinochet, il Cile dei golpisti che avevano abbattuto Allende, il Cile dei desaprecidos, delle torture e dello stadio di Santiago trasformato in un’immensa e disumana prigione. Ebbene, il Pci, e non solo, inizialmente era contrario a che la rappresentativa italiana partecipasse al torneo, temendo che il nostro paese legittimasse, con la propria presenza, una dittatura sanguinaria.

Per fortuna, prevalse l’idea che lo sport debba vivere comunque in autonomia dalla politica, per quanto possibile, e spesso lo è davvero poco. I nostri azzurri si recarono, così, in Cile e fecero magnificamente la propria parte, ma fu alla vigilia della finale che Panatta diede il meglio di sé, ancor più che sulla terra rossa.

18 dicembre 1976, Santiago del Cile. Panatta e Bertolucci, magliette rosse, si giocano il doppio che consegnerà la prima e finora unica vittoria dell’Italia in Coppa Davis.

Convinse, infatti, il compagno di doppio Bertolucci, riluttante perché comprensibilmente intimorito, a disputare l’incontro con indosso una maglietta rossa: il simbolo delle proteste contro il regime, il colore storico del comunismo e del socialismo, l’emblema delle manifestazioni delle madri per avere verità e giustizia per i figli scomparsi. Bertolucci era titubante ma Panatta insistette ed ebbe la meglio. Cile umiliato 4 a 1 da una grande Italia e il mondo intero poté assistere a uno sberleffo che fece malissimo al regime.

La classe e il talento al servizio del tennis e della democrazia, a conferma di un’intelligenza acuta, di una curiosità sempre viva e di un eclettismo che ha caratterizzato l’intera vita di Panatta, portandolo ad avere uno sguardo sul mondo completo e ricchissimo e a scegliere oggi il buen retiro in quel di Treviso, lontano dal caos, dai riflettori e da una dimensione, quella del successo, che per sua stessa ammissione non gli è mai interessata granché. Settant’anni e la forza d’animo di un ventenne: non si è mai fermato e non ha alcuna intenzione di fermarsi, il che è tipico dei miti silenziosi.

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Il Cile, la coppa più gloriosa nelle memorie di Adriano ultima modifica: 2020-07-15T18:07:20+02:00 da ROBERTO BERTONI BERNARDI
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