“Ottimo sindaco e imprenditore, gran brava persona, un vero lungimirante federalista, voce significativa del Nordest, del Veneto, del paese, un amico”. Parole di Gianfranco Bettin, personalità politica del Veneto e nazionale, su posizioni opposte a quelle di Bepi Covre. Commentava così, Bettin, la scomparsa di Bepi, lo scorso 24 marzo. Parole che danno il senso del rispetto di cui godeva, nel Veneto e non solo: personaggio con convinzioni ma allergico alle certezze e ai pregiudizi, legato alla sua terra ma aperto al mondo, curioso e disposto al confronto, desideroso del confronto (per la nostra rivista, plurale ma su posizioni progressiste, ha scritto diversi articoli e numerose sono state le volte in cui ci si è scambiati opinioni e punti di vista). Definirlo leghista eretico, era calzante. Era egli stesso a definirsi così. Lo fu al punto da esserne espulso. Al tempo stesso era una definizione che restringeva la poliedricità d’un personaggio estroverso dentro la sola dimensione dell’eresia rispetto a una “chiesa” politica, qual era ed è la Lega. Covre, peraltro, era un alpino, e come ogni buon alpino, lo è rimasto per sempre. Anche per questo la sua convinta adesione all’idea federalista non avrebbe mai potuto sconfinare nel secessionismo, non avrebbe mai messo in discussione l’unità del paese, l’Italia, che amava. Covre era dunque molto più che un leghista diverso e poi eretico. Era un imprenditore di grandi vedute e coraggioso, creativo, e nella politica era riuscito a portare la sua esperienza in modo intelligente e libero, dando un grande contributo alla città di cui fu sindaco, Oderzo, e come parlamentare eletto in Veneto.
Di Oderzo fu il primo sindaco non democristiano. Sua la decisione di fare di quella che era un’arteria carrozzabile una grande piazza pedonale. Oggi piazza Grande è il cuore e l’orgoglio di Oderzo, ma quando Bepi prese quella decisione, fu immediata la reazione nervosa di categorie che temevano di perdere affari con la chiusura al traffico. Bepi amava citare quel momento complicato come emblematico della difficoltà in Italia di prendere una decisione difficile, trasformativa e utile per la comunità che governi “senza che nasca immediatamente un comitato che la contesti”. Dopo la guida di Oderzo, cinque anni di pendolarismo con Roma. Montecitorio, nel 1996. Dopo la fine del mandato, nel 2001, non si ripresentò per un secondo mandato, pur avendo la certezza di essere rieletto.
Covre è deceduto mentre infuriava la pandemia. Non fu possibile celebrare i funerali. Ieri, Bepi è stato degnamente commemorato nel corso di una messa solenne di suffragio nella “sua” piazza Grande, per ricordare coloro che sono morti a causa del Covid-19 ma anche i deceduti nel periodo dell’isolamento che non hanno potuto avere la messa funebre con la presenza di parenti e amici.
Ad Angela Covre abbiamo chiesto un ricordo personale del padre.
[Guido Moltedo]

Ciao papà. È sulle note del tuo intermezzo preferito di Mascagni che ti scrivo il mio saluto.
Ieri ti abbiamo ricordato tutti insieme nella piazza Grande di Oderzo, con il vescovo Corrado Pizziolo, monsignor Pierpaolo Bazzichetto, la famiglia, gli amici, le autorità ma soprattutto con i tuoi amati alpini. Essi hanno voluto ricordarti attraverso il loro canto e nella canzone “Io resto qui, addio” hanno rimarcato ancora di più il tuo legame con loro: Era un canto che avevi chiesto espressamente tu di imparare.
Prima di andartene, in un momento di sconforto, ti dissi che se nella vita avessi fatto un quarto delle cose che avevi fatto tu, mi sarei sentita realizzata. Ieri ho capito che probabilmente non ci arriverò mai.
Di cose infatti, ne hai fatte tantissime, dalla cultura alle opere di urbanistica cittadina, dall’imprenditore alla beneficenza. L’ha ricordato bene anche la sindaca di Oderzo, Maria Scardellato Muli, dicendo che avevi “cultura per capire e generosità per servire”.
Ci raccontavi spesso che le tue più grandi soddisfazioni sono arrivate quando ti sei donato agli altri, ti sei messo a disposizione per risolvere i problemi. Qui, il culto e il rispetto delle radici e gli insegnamenti dalla famiglia contadina hanno fatto sì che crescessi con quell’umiltà necessaria per metterti sempre in discussione per imparare di più, ma anche ti ha donato il coraggio per buttarti. Come ha ricordato bene Francesco Lago nelle parole di suo padre su di te, dicevi spesso: “Se i ghe riesse i altri, ò da farghea anca mì”.
Ieri ti abbiamo finalmente salutato, come meritavi e come volevi. Gli ultimi momenti insieme, li abbiamo passati pregando e ieri ho sentito che da lassù ci ringraziavi per questo saluto da uomo di fede che tanto ha dato e tanto ha ricevuto dagli amici di cui ti sei circondato nella vita.
Grazie papà, sarai sempre qui con noi.


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