Erano centinaia le persone, poche con la maschera, che si erano radunate a fine giugno per ascoltare l’elogio del vicepresidente Mike Pence alla gestione della crisi del Covid-19 da parte dell’amministrazione Trump. Tifo da stadio – “four more years”, altri quattro anni – e soprattutto preghiere facevano da cornice a quel che non era un raduno qualsiasi. Si trattava infatti della prima tappa del “Faith in America” tour, un evento itinerante per la promozione della libertà religiosa, così dicono, ma soprattutto per la rielezione del presidente. Partito il 23 giugno, il tour è guidato proprio dal vice di Trump, uno degli alfieri della destra religiosa americana. L’obiettivo? Rinsaldare i legami con gli evangelici bianchi, la spina dorsale dell’elettorato repubblicano degli ultimi decenni, e uno dei “core constituency” – elettorato chiave – di The Donald.
I protestanti evangelici bianchi sono stati infatti tra i sostenitori più accesi e attivi durante la sua presidenza. Sono stati fondamentali anche per la sua elezione nel 2016, quando hanno rappresentato un terzo dei suoi elettori. Molti commentatori e analisti politici avevano dei dubbi sulla presa su questo elettorato da parte dell’allora candidato presidente, sposato tre volte e con numerose infedeltà alle spalle. Trump però ha dimostrato di avere una relazione non diversa da quella che avevano avuto i “devoti” George W. Bush, John McCain e Mitt Romney durante le loro campagne elettorali.
Ed è per questo forse che è stato avviato il tour. In questo periodo nel 2016, Trump aveva un vantaggio di più di cinquanta punti rispetto alla Clinton tra gli elettori evangelici bianchi. Oggi però la situazione sembra diversa. Già a marzo prima del Covid-19, Pew Research Center aveva rilevato che l’81 per cento degli evangelici bianchi credeva che Trump si battesse per le loro idee. Il 66 per cento però esprimeva dubbi o non approvava la sua condotta. Un recente sondaggio suggerisce poi che il 72 per cento di quest’elettorato sostiene al momento Trump. Una diminuzione di consenso rispetto al 78 per cento di aprile scorso.
Numeri alti in ogni caso. Ma non sufficienti. Trump ha infatti bisogno di una forte affluenza elettorale. E in particolare modo degli elettori evangelici, se vuole sperare di poter vincere le elezioni di novembre. Deve quindi riconfermare quell’81 per cento di voto evangelico che lo votò nel 2016. Una diminuzione di quei voti può costargli qualche stato chiave (vedi Florida, ma non solo).
È un elettorato estremamente pragmatico, quello evangelico. Per certi versi. Più che la personalità o il privato di Trump, conta la capacità dell’uomo politico di realizzare quello che gli evangelici richiedono in termini di politiche pubbliche conservatrici: dalla preghiera a scuola, alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, dall’omosessualità all’aborto. Nell’era Trump, però, la grande vittoria degli evangelici è stata la nomina di Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh alla Corte suprema. La crisi del Covid-19 e la sentenza contro la discriminazione dei lavoratori Lgbtq sul posto di lavoro, scritta e passata grazie al voto favorevole proprio di Gorsuch, hanno però cambiato qualcosa.
Che ci sia qualche cambiamento in corso, se n’è accorto anche il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. La sua azione di lobbying per ottenere il supporto degli evangelici all’annessione di parti della Cisgiordania non sta avendo successo. Anzi. Alcuni leader evangelici hanno espresso pubblicamente preoccupazioni al riguardo. Come Robert Jeffress, pastore battista di una mega-chiesa a Dallas e uno dei consiglieri evangelici di Trump, che ha detto al New York Times che il mondo cristiano evangelico è per lo più indifferente all’annessione.
E qui s’inserisce l’iniziativa del “Faith in America” tour. Che promuove il presidente e il messaggio di riapertura dell’economia, malgrado la crisi del coronavirus peggiori di giorno in giorno. Perché il sostegno degli evangelici è anche importante per i repubblicani in termini organizzativi. Non solo infatti quest’elettorato ha dimostrato di essere molto attivo e in grado di portare la gente a votare. Si tratta anche di un elettorato che si richiama a una demografia multirazziale. E che quindi offre una sorta di specchio per le allodole da utilizzare contro le critiche al razzismo del presidente.
Se non bastasse Mike Pence, che ha dovuto annullare più di qualche tappa in Florida e in Arizona proprio a causa del Covid-19, a diffondere il messaggio del presidente ci pensa l’One Voice Prayer Movement. Lanciato un anno fa dalla Casa Bianca “per combattere gli incantesimi e le stregonerie” – l’annuale marcia delle donne -, l’iniziativa è guidata dall’altra personalità della destra religiosa trumpiana: Paula White, una tele-evangelista della Florida, che conosce il presidente da decenni.

White è stata una delle prime a sostenere Trump. Quando nel 2014 il miliardario le disse che voleva correre per la presidenza, la tele-evangelista della Florida radunò una quarantina di pastori per creare una sorta di organizzazione “da guerra” per sconfiggere Hillary. I repubblicani del Lincoln Project, che si oppongono alla rielezione di Trump, chiamano questo gruppo la “MAGA Church”, la chiesa del “Make America Great Again”, il noto slogan di Trump.
Oltre a White ne fanno parte il sopracitato Robert Jeffress, Franklin Graham – figlio del predicatore dei presidenti, Bill Graham -, l’ex candidata alla presidenziali Michele Bachmann e Jerry Falwell Jr. Il padre di Falwell, Jerry Sr, è stato il fondatore di Moral Majority, un’organizzazione politica associata ai repubblicani che giocò un ruolo fondamentale nella mobilitazione della destra cristiana nelle elezioni presidenziali degli anni Ottanta.
Per il servizio reso White è stata ricompensata. Fu infatti lei a condurre la preghiera per l’inaugurazione del mandato del presidente, la prima donna a farlo. È stata ancora lei la personalità centrale del National Day of Prayer dell’anno scorso, dove invocò in uno strano mix di politica estera ed estasi religiosa la rimozione dei “malvagi leader stranieri”.
Trump l’ha anche voluta con un ruolo specifico alla Casa Bianca, dove è stata nominata consigliera speciale per l’Office of Faith and Opportunity, una sorta di agenzia che dovrebbe presentare delle raccomandazioni al presidente quando delle decisioni politiche riguardano tematiche interessate da soggetti religiosi.
White è una personalità che crea polemiche. Durante la campagna del 2016 contro Clinton usò toni apocalittici per mettere in guardia da una possibile vittoria della democratica. Quando Trump era in difficoltà contro Hillary, White si levò contro “gli spiriti di Gezabele” – leggi le donne che si schieravano contro il repubblicano – che cospiravano per sconfiggere Trump. In una delle performance più di “successo” di White, lo scorso gennaio, la tele-evangelista invocò il nome di Gesù perché ponesse fine a “tutte le gravidanze sataniche”. Fu male interpretata, disse.
È una donna che ha molto in comune con Trump. Anche se ascrivibile alla destra, la necessità di finanziamenti l’ha portata a sostenere cause e persone molto distanti dal movimento evangelico. Prima di essere consigliera di Trump era stata infatti consigliera spirituale di Michael Jackson ed era stata una delle oratrici per l’ottantesimo compleanno della poetessa Maya Angelou.
Come Trump è anche una personalità estremamente divisiva all’interno della sua stessa comunità di riferimento. Nel passato le accuse di magia nera verso mormoni e cattolici le avevano attirato le critiche degli evangelici mainstream. I quali, oggi, sono costretti a collaborare con lei, visto il ruolo di liason con l’amministrazione trumpiana, della quale incarna benissimo l’anima del marketing, con un tocco di spiritualità.
Già, perché la tele-evangelista è molto ricca. Fa parte di quel gruppo di predicatori noti con l’etichetta dei teologi della prosperità. UN’etichetta che rifiuta ma che descrive bene la sua “proposta spirituale”. Un approccio alla religione che si riassume in poche parole: se sei ricco significa che sei nella grazia di dio. Un’idea della religione accompagnata da un corollario. Se sei ricco e fai delle donazioni alla mega chiesa di White, la salvezza è assicurata.
E sui soldi, tanti, che riceve, aveva provato a investigare, senza successo, anche la commissione finanze del senato, guidata dal senatore Chuck Grassley, repubblicano dell’Iowa, uno dei facilitatori di Trump in Senato. Soldi che sarebbero alla base dell’azione politica di White, che chiede che le chiese paghino meno tasse (o nessuna).
Una donna pastore che deve mettere una pezza alla perdita di consenso tra gli evangelici donne. Perché è proprio con le donne che Trump rischia di più. Un sondaggio recente dell’American Enterprise Institute ha infatti messo in evidenza la capacità di espansione in quest’elettorato da parte di Joe Biden, il candidato democratico. Secondo la ricerca se la presa di Trump sugli uomini evangelici resta stabile, è quella sulle donne evangeliche si allenta. Il 76 per cento degli elettori evangelici infatti oggi voterebbe per Trump, ma se consideriamo solo le donne si arriva al 63 per cento.
Solo frutto di errori di Trump? Non solo Joe Biden probabilmente spaventa meno quest’elettorato di quanto potrebbe fare un altro candidato. Un recente sondaggio di Fox News indica che un elettore evangelico su tre ha un’opinione favorevole di Biden. Era il dodici per cento nel 2016 per Clinton. Secondo Michael Wear, che si occupato degli elettori religiosi per Obama nel 2012:
Se Joe Biden prende il 23 per cento del voto evangelico bianco, ha vinto le elezioni
Per questo la campagna di Biden ha preso di mira le donne bianche evangeliche e i millenials religiosi. E ha organizzato momenti religiosi comuni che vanno sotto il nome di “Believers for Biden”, credenti per Biden. Assieme ad altri movimenti, come “Christians for Biden” l’obiettivo è convincere quanti più persone possibili in questo difficile elettorato per i democratici.


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