Bioenergie. Appello a Teresa Bellanova

Non sono un esempio di politica virtuosa, ma uno spreco di denaro pubblico e un danno per l’ambiente. Ci auguriamo che la ministra dell’agricoltura prenda atto delle nuove direzioni della politica europea e approfondisca le ragioni delle critiche a questo vettore energetico.
TIZIANO GOMIERO
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Lo scorso 15 luglio, la ministra dell’agricoltura Teresa Bellanova ha esposto alcune idee programmatiche sullo sviluppo dell’agricoltura italiana in funzione di una sua maggiore sostenibilità.

Certamente possiamo e dobbiamo fare di più ma l’Italia nel campo dell’agricoltura sostenibile ha molto da insegnare e, come spesso ci siamo ripetuti, a quel futuro verde che tutti abbiamo come obiettivo il nostro Paese arriva con le carte più che in regola, per il suo essere primo al mondo per la biodiversità, tra i primi al mondo per l’agricoltura biologica e l’agricoltura integrata, tra i meglio organizzati sulle attività di economia circolare quale il recupero e il riutilizzo delle eccedenze alimentari, tra i virtuosi per le politiche sulle bioenergie.  

Siamo lieti che la ministra Bellanova sia intenzionata ad adoperarsi per la protezione dell’ambiente e per promuovere l’agricoltura biologica, certamente un comparto di grande interesse per una transizione verso una agricoltura più sostenibile. Non possiamo che auspicare la valorizzazione delle peculiari caratteristiche dell’agricoltura italiana (la grande diversità agronomica e ambientale, o delle diverse culture gastronomiche), e un approccio agroecologico che miri a integrare produzione con la protezione del suolo, della qualità dell’ambiente e della salute dei cittadini.

In questo intervento prendiamo spunto dalla citata dichiarazione per fare alcune considerazioni sulla sostenibilità dell’agricoltura italiana, e soprattutto per reiterare il concetto che le politiche agro-bioenergetiche sono tutt’altro che un esempio virtuoso di sviluppo sostenibile. Cogliamo l’occasione per invitare la ministra a riflettere più attentamente sul tema, anche alla luce delle recenti prese di posizioni di alcuni paesi europei e della stessa Commissione europea. 

La crisi economica che stiamo attraversando non ci permette di sprecare risorse, che come effetto perverso danneggiano il sistema economico stesso (in questo caso portando a un aumento del costo dell’energia). E la crisi ambientale non è meno grave, dobbiamo agire per prevenire l’inquinamento e il dissesto ambientale e proteggere la salute dei cittadini (cittadini più sani si traducono un risparmio per il sistema sanitario e in una economia più efficiente), per cui non possiamo finanziare attività che aumentano la degradazione dell’ambiente.   

Che l’Italia abbia molto da insegnare forse è troppa presunzione. Notiamo che l’agricoltura biologica è spesso citata per dar lustro alla qualità dell’agricoltura italiana in ambito europeo. Forse bisognerebbe anche sostenerla meglio, oltre che usarla come gadget promozionale. L’Italia vanta certamente una grande agrobiodiversità e una diversità e cultura gastronomica che, da questo punto di vista, ne fanno uno dei paesi più interessanti a livello mondiale. Ma anche la nostra agrobiodiversità andrebbe protetta e sostenuta, e forse optare per la produzione di sementi geneticamente modificate, o bandire le varietà di poco interesse per il mercato, non è la strada più utile a questo scopo.   

Venendo alla sostenibilità dell’agricoltura italiana la situazione è molto meno rosea di quanto non facciano supporre le parole della ministra, o delle associazioni di categoria. L’Italia è il paese in Europa che consuma più agrochimica per ettaro coltivato: l’una gran parte dei suoli sono qualitativamente degradati con una quantità di sostanza organica (humus per semplificare) che li rende a rischio desertificazione, il consumo di suolo procede a ritmi allarmanti, il paese sembra avere difficoltà nel gestire il rischio idrogeologico.

Nonostante le recenti dichiarazioni delle associazioni di categoria che proclamano l’Italia il paese “più green” d’Europa, con riferimento ai dati rilasciati da Eurostat sulla vendita di pesticidi e alla ridotta emissione di CO2 equivalente del comparto agricolo, le cose non stanno proprio così. 

Certamente nel nostro paese c’è stata una diminuzione della vendita di pesticidi tra il 2011 e il 2018, ed è una buona notizia (ma i dati non riguardano l’uso di tali prodotti, ma i dati sul venduto forniti dai rivenditori). Tuttavia i dati dovrebbero essere analizzati alla luce di differenti criteri, come il tipo di colture, il tipo di prodotti chimici utilizzati, la superficie agricola utilizzata (Sau), l’intensità per diverse aree geografiche (le medie possono essere fuorvianti). Non entreremo nei dettagli, ma ci sono due dati macroscopici che dobbiamo rilevare. 

Innanzi tutto, in termini assoluti (consumo complessivo di pesticidi), non è vero che, l’Italia sia il paese più verde. Come vediamo dalla figura 1, la Germania complessivamente consuma circa un quinto di pesticidi in meno dell’Italia (anche se consuma una esorbitante quantità di insetticidi, mentre l’Italia, con la Spagna, consumo una notevole quantità di “Altri prodotti per la protezione delle piante”).    

Comparazione della quantità di pesticidi venduti in alcuni paesi europei (elaborazione dell’autore su dati Eurostat) 

In secondo luogo, date le grandi differenze di superficie agricola tra i paesi europei, i dati andrebbero normalizzati per la superficie agricola utilizzata dei diversi paesi. Una volta normalizzato i dati, cioè espressi per kg di pesticidi per ettaro di Sau, vediamo che in Italia si usano un cinquanta-settanta per cento di pesticidi in più rispetto gli altri grandi paesi europei. 

Pesticidi per ettaro di superficie agricola utilizzata (Sau) per i maggiori paesi europei (elaborazione dell’autore dal database Eurostat; Sau dati disponibili al 2016, pesticidi dati disponibili al 2018).

Questo ci dice che la nostra agricoltura consuma ancora troppa chimica (nonostante l’adozione della difesa integrata, che forse non si attua in modo troppo rigoroso). Un problema che infatti si traduce in una sempre più alta contaminazione delle acque e in conflitti tra attività produttive e popolazione locale.  Anche sulle emissioni di gas serra si dovrebbero fare delle considerazioni, ma il tema è più complesso per cui tralasciamo la questione. Vale la pena riflettere sul fatto che un vasto lavoro di monitoraggio svolto da un gruppo di ricercatori francesi, pubblicato nel 2017 dalla rivista Nature Plants, ha portato a stimare che in Francia si potrebbe ridurre l’uso dei pesticidi almeno del trenta-quaranta per cento senza compromettere la produttività, anzi riducendo i costi di produzione per gli agricoltori. Il coordinatore del lavoro ha imputato l’eccessivo uso di pesticidi alle limitate conoscenze agroecologiche degli agricoltori francesi. Dati e considerazioni che probabilmente potrebbero valere anche per l’Italia.         

In merito alla citata virtuosità della bioenergia, cioè energia prodotta da colture dedicate (per esempio mais per la produzione di bioalcol o biogas), o biomassa legnosa per alimentare le centrali a biomassa, invitiamo la ministra ad informarsi meglio. Ci si vanta che l’Italia sia il quarto produttore mondiale di biogas, più che un vanto questo dato potrebbe essere visto piuttosto come un dramma per l’economia e l’ambiente italiano. Come poco sensato ci sembra il sostegno all’uso della biomassa forestale promosso dal nuovo Il Testo Unico in materia di Foreste e Filiere forestali (Tuff). Sono molti oramai gli esperti che chiedono urgentemente di rivedere le politiche europee in merito, e che indicano nelle bioenergie un mito pericoloso per i suoi deleteri effetti sull’economia e sull’ambiente

L’energia da biomassa non è per nulla un modello virtuoso, tutt’altro. Le bioenergie sono un vettore energetico estremamente inefficiente (a livello scientifico, che il vettore biomassa sia energeticamente inefficiente per alimentare la nostra società industriale è noto dagli anni ottanta), che si sostiene solo grazie agli ingenti sussidi pubblici (in Italia, circa un miliardo di euro all’anno di sussidi diretti, cioè sull’energia prodotta, si dovrebbero però contabilizzare anche i sussidi indiretti, per esempio sgravi fiscali etc.). I sussidi non sono altro che denaro generato dalla più efficiente energia fossile. Energia che viene quindi tassata per sostenere l’inefficiente biomassa, causando un aumento del costo dell’energia per le imprese e i cittadini. O, in alternativa, dalla generazione di debito pubblico. I sussidi alla biomassa, inoltre, sottraggono risorse ad alte attività più strategiche e sostenibili, per esempio a forme di agricoltura che riducono l’impatto ambiente, e alle attività di ricerca e sviluppo di vettori energetici più efficienti. 

All’inefficienza energetica si aggiunge l’impatto ambientale dell’energia da biomassa. Nel caso di agro-biocombustibili abbiamo tutti i problemi causati dall’agricoltura intensiva e super intensiva, vista anche l’estrema scarsità di terreno agricolo nel nostro paese, che vanta una quantità di terra arabile di soli 0,11 ha per capita (incluse aree collinari che sono di difficile gestione), in India siamo sullo 0,12 ha/capita, mentre in Francia il valore è di 0,28, e per gli USA di 0,47 ha/capita (database Banca Mondiale). 

Ciò comporta un inevitabile conflitto tra produzione di alimenti e produzione energetica. E in quest’ultimo caso un intenso uso di agrochimica col conseguente effetto di esacerbare l’inquinamento ambientale, la degradazione del suolo, la perdita di biodiversità e i rischi per la salute dei cittadini. Nel caso delle centrali a biomassa, a fronte di una insignificante produzione di energia netta (energia fornita alla società al netto dei costi energetici per la sua produzione), energia che può essere prodotta solo grazie a un consistente flusso di sussidi pubblici, queste comportano la degradazione degli ecosistemi boschivi, con relativo danno alle risorse naturali, ai servizi ecosistemici e alla biodiversità in generale, e la messa in pericolo del già precario assetto idrogeologico del paese. 

Da anni associazioni ambientaliste e accademici denunciano i danni causati dall’insensata politica europea sull’energia da biomassa. Tra le recenti iniziative, nel marzo del 2019 un gruppo di attivisti e scienziati hanno denunciato l’UE presso la Corte di Giustizia Europea in merito alla nuova direttiva sulle energie rinnovabili, facendo presente che la direttiva  porterebbe alla deforestazione delle foreste europee e a un aumento delle emissioni di gas serra. Dello scorso 15 maggio un aumento del tasso di deforestazione delle foreste europee (in perdita di biomassa) tra il 2016 e il 2018 di quasi il settanta per cento (per un riassunto del lavoro accessibile online si veda Euroactiv). Nel contesto europeo, l’Italia si aggiudica il secondo posto dopo il Portogallo, con un aumento della biomassa estratta dai boschi del 125 per cento. Secondo i ricercatori, le cause di questo rapido incremento di perdita di biomassa forestale, sono da riferire proprio alla politica europea di incentivi alla bioenergia, che si traduce in incentivi al disboscamento (banalmente, più legna si brucia più sussidi di ottengono).  

Qualche speranza di una revisione della politica europea in merito alla bioenergia sembra delinearsi all’orizzonte, forse anche grazie alla recente emergenza economica causata dal covid, che ha ridotto le risorse sprecabili a sostegno di attività inefficienti. È di pochi giorni fa la notizia che l’Olanda ha messo in discussione la sostenibilità dell’energia da biomassa, e quindi l’opportunità di finanziare questo settore. Gli olandesi, popolo notoriamente super efficiente, pragmatico e organizzato, ora che le risorse scarseggiano per tutti (crisi da epidemia), sembrano aver improvvisamente capito che sussidiare l’energia da biomassa è uno spreco di denaro pubblico, e dichiarano di voler mettere al bando la produzione di bioenergia il più presto possibile.

Anche la Commissione Europea sembra intenzionata a rivedere rapidamente (per il 2021, speriamo…) la sostenibilità della biomassa, e a eliminare i sussidi pubblici che tengono in piedi questo settore “produttivo”. Purtroppo, sembra essere servita una epidemia per fermare la distruzione delle foreste europee (e non solo di quelle europee, la politica europea sulla energia da biomassa sta ha portato alla distruzione anche delle foreste tropicali e nord americane) e lo spreco di denaro pubblico, immolato a un “green deal” che sa poco di verde e tanto di affari. Questo improvviso cambio di rotta meriterebbe una analisi per capire bene come l’apparato tecnocratico dell’UE possa aver preso un tale abbaglio circa la biomassa, e arrivi a questa conclusione solo ora, nonostante la quantità di lavori scientifici che da decenni rimarcano il fatto che finanziare l’energia da biomassa non ha senso. 

Ci auguriamo che la ministra Bellanova prenda atto delle nuove direzioni della politica europea in merito alle bioenergie, e approfondisca le ragioni delle critiche a questo vettore energetico. L’estrema criticità della presente situazione socioeconomica non ci consente di sprecare risorse pubbliche, tantomeno per contribuire al deterioramento della già critica situazione dell’ambiente italiano. È inoltre importante puntare a formare agricoltori con maggiori competenze agroecologiche. In questo senso è quindi necessario promuovere lo sviluppo di centri di assistenza, all’interno delle università o di preposte istituzioni pubbliche, che supportino le aziende nell’adozione di pratiche agroecologiche. Siamo convinti che reindirizzare i sussidi alle agro-bioenergie verso lo sviluppo dell’agroecologia possa essere un investimento molto più razionale ed efficiente per il paese, in termini economici, ambientali e di salute pubblica.               

Bioenergie. Appello a Teresa Bellanova ultima modifica: 2020-07-26T19:17:06+02:00 da TIZIANO GOMIERO
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2 commenti

fausto 31 Luglio 2020 a 15:07

PERCHE METTERE INSIEME L’ENERGIA DA CIPPATO O LEGNAME CON I PESTICIDI–VAI A FARE CONFUSIONE ALL’ESTERO–PRODURRE BIOGAS DAI REFLUI DEGLI ALLEVAMENTI E’ STRATEGICO PER LA TUTELA DELL’AMBIENTE E DELLE ACQUE POTABILI–ABBIAMO LA POSSIBILITA’ DI RENDERCI AUTONOMI

Reply
Tiziano Gomiero 6 Agosto 2020 a 3:17

Gentile Fausto, l’articolo tratta insieme energia da biomassa e pesticidi-agricoltura perché biomassa legnosa/cippato e agroenergie soffrono dei medesimi problemi tecnici, cioè:
1) inutili come vettore energetico per un paese industrializzato come l’Italia (ma magari quando diventeremo un paese sottosviluppato, con un reddito di 500€/anno per capita, andare a raccogliere la legna in giro potrebbe essere una attività economicamente interessante),
2) a grande impatto ambientale,
3) a grande impatto economico, cioè uno spreco di sussidi pubblici,
e perché queste risorse pubbliche (sussidi) potrebbero essere usate più efficientemente, per esempio per ridurre l’impatto ambientale dell’agricoltura, magari investendo in assistenza ed educazione a pratiche agroecologiche.

Ovviamente vi possono essere casi in cui usare la biomassa ha senso, per esempio usare gli scarti di falegnameria, la legna della siepe o del bosco per le stufe dei locali proprietari (ma importare cippato dall’estero no), o anche il biogas da reflui di allevamento, ma non ha senso coltivare mais per produrre biogas.

Ricordiamoci che i sussidi pubblici sono prodotti via fossile o debito pubblico o maggiore tassazione (e una maggiore tassazione dell’energia è una tassa regressiva che impoverisce i più poveri… e comunque è un danno anche per le nostre aziende che chiudono e se ne vanno all’estero).
Se l’energia da biomassa fosse efficiente non avrebbe bisogno si sussidi, invece ha bisogno del petrolio/debito/tasse per stare sul mercato, non producendo nulla di buono, anzi causando danni all’ambiente, un caso di sussidi perversi (sussidi che causa solo danni).

Renderci autonomi in cosa? 60 milioni di persone con 0,1 ha/capita di terra arabile (e una parte in zone collinari – solo il 20% del territorio italiano è pianura e lo stiamo urbanizzando sempre di più), senza risorse naturali (a parte un po’ di idroelettrico), debito pubblico in autunno al 150% del PIL, economia per la maggior parte controllata da stati (p.es. Cina) e multinazionali straniere … autonomi? 🙂

Cordiali saluti
Tiziano Gomiero

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