L’irresistibile richiamo del noir. Specie di questi tempi. Non vi si sottrae neppure Javier Cercas, l’affermato romanziere spagnolo autore di capi d’opera come Soldati di Salamina, Anatomia di un istante, L’impostore, dove la storia martoriata del Novecento iberico veniva sezionata e scandagliata nei suoi risvolti più reconditi e spesso imprevedibili. E dunque pur sempre detection, che ora si appalesa in maniera ancora più evidente e, per così dire, di genere in Terra Alta (Guanda, traduzione come sempre eccellente di Bruno Arpaia), Premio Planeta lo scorso anno e buon successo nelle librerie, anche di casa nostra.
Terra Alta, ovvero nel sud della Catalogna, fra montagne non impervie ma spesso impenetrabili dove Alicia Giménez Bartlett aveva ambientato Dove nessuno ti troverà, alla ricerca della Pastora, uomo/donna, partigiano e bandito, personaggio realmente esistito e divenuto leggenda di resistenza negli anni del post franchismo. Di sotto, l’Ebro, che andrà a sfociare dalle parti di Tortosa, teatro della più lunga e sanguinosa battaglia della guerra civile spagnola, ultimo baluardo repubblicano caduto nel novembre del 1938. Un evento così drammatico ed epocale che ai giardinetti di Gandesa i vecchi ancora ne parlano, sacrificio eroico di una guerra maledettamente perduta.

Non succede mai niente a Gandesa ma un brutto giorno succede qualcosa di orrendo e di irreparabile: l’assassinio, con abbondanti torture, di due anziani del posto, i coniugi Adell, trovati morti straziati nella loro villetta alla periferia del borgo. Di domenica, dopo aver imbandito con parenti e collaboratori il consueto banchetto aziendale del venerdì sera. Con loro, anche la domestica, peraltro risparmiata dalle sevizie. E non si pensi a due vecchietti qualsiasi: lui, in particolare, era il titolare delle Gráficas Adell, una cartiera con filiali in mezzo mondo, vero padrone della Terra Alta e – si scoprirà – tipo cocciutissimo, dittatoriale, capace di farsi più di un nemico nonostante l’apparente bonomia e la tradizionale sobrietà.
L’efferato e apparentemente inspiegabile triplice delitto irrompe nelle prime righe del romanzo, mette in subbuglio la locale stazione di polizia, conquista rapidamente le copertine della stampa e delle televisioni nazionali, reclamando un’attenzione che va naturalmente al di là dei mezzi e delle risorse dei locali mossos d’esquadra, fra cui Melchor, un barcellonese capitato da quelle parti non proprio per caso. A Gandesa ben pochi ne conoscono i precedenti e il suo profilo noi stessi lo andremo scoprendo poco per volta: una madre prostituta morta malamente, padre ignoto (quasi sicuramente uno dei “clienti” di cui sentiva i passi di notte, ma chi?), adolescenza turbolenta, in carcere quasi subito e lì, in biblioteca, lui che non aveva mai letto un libro, la folgorazione di un romanzo poi riletto mille volte e mandato quasi a memoria: I miserabili di Victor Hugo, con quel lungo, quasi interminabile duello che oppone Javert a Jean Valjean, il poliziotto cattivo e il ladro buono, il persecutore che opera pur sempre in nome della giustizia e il perseguitato che nonostante le buone azioni non riesce a smarcarsi dal passato, a cambiare davvero vita. Difficile scegliere.

Melchor ne esce trasformato e vuole entrare in polizia. Un amico della madre, forse uno di quei passeggeri della notte di cui s’è detto, avvocato capace e disinvolto, volentieri borderline, lo aiuta dapprima nelle riduzioni di pena e poi nella cancellazione dei precedenti penali. Ora può “concorrere” ed entrare in polizia. Non è tipo da tirarsi indietro, del resto, e destino vuole che di ritorno da un viaggio in Andalusia, alla ricerca delle memorie materne, sia proprio lui a dover fronteggiare un gruppo di jidaisti pronti all’ennesimo attentato dalle parti di Terragona, dopo aver messo a soqquadro le Ramblas. Melchor interviene, spara, lascia stecchiti un bel po’ di terroristi, diventa un eroe nazionale, notorietà persino ingombrante, tanto da suggerire ai suoi superiori un trasferimento. In Terra Alta, appunto, un altro mondo, dove peraltro il poliziotto irrequieto ha modo di pacificarsi e metter su famiglia, con un’adorabile bambina che non potrà che chiamare Cosette.
E l’indagine? Tanto sanguinoso quanto discreto, senza nessuna effrazione ad allarme spento, il triplice delitto fa propendere per qualcuno che la coppia conosceva bene. E visto che coi suoi modi autoritari il vecchio Adell di nemici se n’era fatto più di uno, non resta che cercare: l’anziano direttore delle Gráficas, maltrattato per una vita, o il giovane genero apertamente disprezzato pur se cooptato in azienda. E chissà quanti altri. Ma senza prove si rischia di andare a sbattere. O di archiviare in fretta, giusto per riportare calma e normalità. Non staremo a raccontare di più, aggiungendo soltanto, ancora una volta, che certe storie non finiscono mai, specie in Spagna dove i ricordi della guerra civile, e di quell’Ebro che scorre non lontano da Gandesa, restano ferite eternamente aperte.

Prima di Terra Alta m’ero imbattuto nel bel saggio-reportage di Sergio del Molino La Spagna vuota. Viaggio in un paese che non c’è mai stato (Sellerio, traduzione di Maria Nicola), dove geografia e antropologia, letteratura, cinema e politica (in senso lato, naturalmente) concorrono a spiegare, se non a decifrare, il fascino di paesaggi vuoti e al contempo pieni. Buona parte della Spagna ha conosciuto nel corso del tempo uno spopolamento spaventoso, reso ancora più marcato nel Novecento dalle migrazioni verso le città, Madrid e Barcellona, ma non solo. Abbandono dell’agricoltura e della pastorizia, paesaggi restituiti alla natura, in un contesto dove il succedersi degli altopiani segnala quasi un oceano di terre emerse ma disabitate. Un fenomeno occorso anche altrove ma qui ingigantito dalla vastità delle superfici. E allora il viaggio che l’autore va intraprendendo è alla scoperta della “pienezza” storica, culturale o forse soltanto mitica di quelle distese: la pienezza della Spagna vuota, per accettarne l’ossimoro.
Straniero nella Terra Alta, partecipe di quella stessa strana pienezza, Melchor scoprirà amaramente la verità. Gli costerà parecchio. E non parliamo soltanto dell’opinione dei superiori, che non capiscono e condividono la sua caparbietà nel proseguire le indagini. O di colleghi di cui va scoprendo la doppiezza. Gli costerà un lutto insopportabile, si sentirà non meno martire di Jean Valjean e certamente meno propenso a difendere Javert. Scoprirà che quel posto che non faceva per lui, la Terra Alta, con i suoi misteri e i suoi dolori, diverrà la sua casa. Per scelta, stavolta, e non più per necessità.

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