Da Clerici a Tuttosport. Quando il racconto è arte

Novant’anni per Clerici, settantacinque per Tuttosport e la splendida sensazione che queste due leggende del giornalismo sportivo italiano abbiano ancora tanto da raccontare.
ROBERTO BERTONI BERNARDI
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Gianni Clerici può essere considerato non solo il cantore della racchetta ma un vero e proprio intenditore, oltre che un ex giocatore di discreto livello, al punto che una volta venne definito, in dialetto lombardo, “quello del tennis” da un oste che l’aveva riconosciuto e che, per questo, gli aprì le porte del ristorante benché fosse ormai chiuso. Ne seguì, ha raccontato Clerici nella sua autobiografia, una cena pre-natalizia degna di Pantagruel.

Leggere Clerici per quanto riguarda il tennis è come leggere Brera per quanto concerne il calcio: non ha senso essere più o meno d’accordo, non bisogna per forza concordare per apprezzarne la classe, la grandezza, la proprietà di linguaggio, il garbo e il gusto con cui sceglie i termini, affresca i vari personaggi, dipinge immaginari e ne crea di nuovi. Gianni Clerici, senza ombra di dubbio e senza scadere nella retorica, è l’Omero della pallina gialla, uno spartiacque fra due mondi, prima e dopo di lui, che più diversi non potrebbero essere.

In un’intensa, interminabile attività professionale, il nostro ha narrato vicende d’ogni sorta, incontrando campioni e brocchi, fenomeni e fuoriclasse, promesse tradite, galantuomini ed emeriti cialtroni e ogni volta ne è uscito giganteggiando, non solo grazie alla sua penna fuori al comune ma anche per via di una tempra e di una concezione del mondo cui le nuove generazioni di giornalisti farebbero bene a ispirarsi.

Quanto a Tuttosport, la sua parabola ebbe inizio il 30 luglio 1945 grazie a una felice intuizione di Renato Casalbore e a un’altra felice intuizione del suo successore Carlin Bergoglio che, essendo anche un grande disegnatore, inventò il carattere ondulato che da allora rende inimitabile la testata. La vicenda di Tuttosport si lega, purtroppo a filo doppio con la tragedia del Grande Torino, sul cui aereo viaggiava anche Casalbore, oltre a Tosatti e Cavallero, e il cui drammatico schianto contro il muraglione del terrapieno posteriore della basilica di Superga avrebbe segnato, anche in questo caso, un prima e un dopo nella storia dello sport italiano.

Per comprendere il livello di questo giornale, basti pensare che fra i suoi direttori ha annoverato personaggi come Ghirelli, poi portavoce di Sandro Pertini al Quirinale e di Bettino Craxi a Palazzo Chigi, Piero Dardanello e Gianni Minà, giusto per citare tre nomi, a dimostrazione di uno stile e di una tradizione inimitabili.

Di Tuttosport, proprio come di Clerici, da lettore prim’ancora che da collega, ho sempre apprezzato l’obiettività: la capacità di spiegare ed esprimere un punto di vista, talvolta anche corrosivo, senza mai scadere nella tifoseria o nell’eccesso. Penne caustiche, aspre, poetiche, infernali e colme d’affetto, a seconda delle circostanze, senza quasi mai sbagliare atteggiamento nei confronti dei soggetti descritti.

Due anniversari di tutto rispetto, due belle avventure che continuano. E noi, come ogni giorno, anche oggi siamo andati in edicola.

Da Clerici a Tuttosport. Quando il racconto è arte ultima modifica: 2020-08-02T11:57:11+02:00 da ROBERTO BERTONI BERNARDI
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