Maurizio Sarri ha pagato per tutti, scontando anche colpe non sue e venendo travolto da un turbine di polemiche e da una miriade di critiche, molte delle quali infondate. Diciamo che non si è mai adattato allo stile Juve e che forse la società, lo scorso anno, al termine dell’epopea allegriana giunta ormai ai titoli di coda, è stata un po’ precipitosa nello sconvolgere mentalità, credo e identità di una vita per affidarsi a un azzardo che, purtroppo, non ha dato i frutti sperati.
Intendiamoci: Sarri ha vinto, con pieno merito, uno scudetto tutt’altro che scontato ma onestamente, specie nel finale di stagione, ha deluso. Del sarrismo non si è vista traccia, e ha sbagliato di grosso a rinunciarvi a priori per ingessarsi in un modello di gioco che nulla aveva a che spartire con le sue convinzioni. Il pragmatismo alla Allegri non è cosa per lui, e infatti ha finito col non essere né carne né pesce, pur avendo avuto il merito di rivitalizzare Dybala, che grazie a lui rinnoverà praticamente a vita con la Juve, di condurre Ronaldo a segnare una caterva di gol e di aiutare De Ligt a inserirsi rapidamente in un ambiente non facile e in un campionato assai diverso e ben più complicato rispetto a quello olandese. Non è poco e guai a chi svaluta lo scudetto, dando per scontato ciò che scontato non è, senza rendersi conto che la concorrenza con cui se l’è dovuta vedere Sarri era la più agguerrita dai tempi in cui Allegri allenava ancora il Milan (stagione 2011-2012).

Sarri non è Maifredi, non è arrivato settimo e non ha ottenuto risultati poi tanto inferiori rispetto all’ultimo Allegri. Purtroppo per lui è arrivato alla Juve nel momento peggiore: squadra vecchia, logora e ancora provata dai troppi errori di Marotta e da un mercato non pienamente convincente, specie se si considera che da quando è stato preso Ronaldo sembra quasi che qualcuno si sia convinto che basti il portoghese per battere chiunque, non considerando, ahinoi, quali e quanti fuoriclasse lo accompagnassero nei trionfi di Madrid.
Ciò premesso, ormai l’era Sarri si è conclusa. L’eliminazione con il Lione ne ha decretato l’esonero, anche se nulla mi toglie dalla testa che il suo addio fosse stato già deciso dopo la finale di Coppa Italia persa con il Napoli o, tutt’al più a luglio, dopo il trittico della morte con Milan, Atalanta e Sassuolo.
Andrea Pirlo non arriva in un momento facile, ma ha dalla sua il fatto di essere Pirlo, con la speranza del popolo juventino che possa trasferire in panchina la sapienza tecnica e tattica che era solito dispensare in campo. È, a sua volta, un grosso azzardo ma può comunque permettersi scelte e decisioni che, purtroppo, l’onesto Sarri non era in grado di compiere, non possedendo i quarti di nobiltà pallonari di cui dispone il successore.
Uno come Pirlo, tanto per fare un esempio, può forse riuscire a convincere Ronaldo che è sì un fenomeno ma non sulle punizioni, dunque meglio lasciarne tirare qualcuna allo specialista Dybala, mentre Sarri non poteva certo vantare il piedino fatato che spediva in rete “la Maledetta”, così come Benitez non poteva impartire lezioni a CR7, a differenza di Zidane che gli ha insegnato ad accettare qualche salutare panchina e a dosare meglio le forze.

Questa mossa, nella storia bianconera, ricorda in parte l’azzardo dell’Avvocato quando, nell’estate del ’76, dopo la sconfitta nella fatal Perugia che costò ai bianconeri lo scudetto, decise di sostituire la bandiera Parola con il giovane Trapattoni, ottenendo in cambio sei scudetti e tutte le coppe internazionali nel decennio più intenso e vincente della storia juventina, prima degli anni che abbiamo alle spalle.
Anche Pirlo, proprio come il Trap, ha molto Milan nei suoi trascorsi calcistici ma, a differenza del Trap, può vantare una meritata fama da campione e un Mondiale conquistato in azzurro nel 2006. Si configura, pertanto, come un azzardo razionale, benché dettato più dalla disperazione e dal bisogno di andare sul sicuro dopo troppe avventure andate male che da un effettivo progetto basato sulla programmazione.
La squadra deve essere ringiovanita, forse rifondata, e decisivo sarà il ruolo dei senatori, di cui Pirlo è stato amico e compagno per tanti anni, con l’auspicio che questo non lo condizioni troppo quando si tratterà di schierare la formazione più adatta a vincere la partita anziché quella dettata dal comprensibile amarcord che ciascuno di noi reca con sé.
Pirlo può diventare il nuovo Zidane o fallire miseramente. Anche Paratici e Nedved, alfieri del post-Marotta e simboli di una generazione rampante con il piede sempre premuto sull’acceleratore, si giocano buona parte del proprio futuro. Dalla scelta del vice di Pirlo, del nuovo tecnico dell’Under 23 e, soprattutto, dagli acquisti che verranno operati nelle prossime settimane “si parrà la nobilitate” della società e dei suoi esponenti più rappresentativi. È gente che sa di campo e sa bene quello che vuole: c’è da essere fiduciosi.
Copertina: immagine dal tweet del’account officiale JuventusFC

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