Un ministro della difesa, e sulla carta co-premier, che evoca lo spettro di una “guerra civile”. Un primo ministro che pensa di far saltare il banco e giocarsi tutto in nuove elezioni anticipate. Mentre il vicino Libano sembra implodere dopo la terrificante esplosione di martedì scorso nel porto di Beirut, Israele fa i conti con una protesta sociale che non accenna a placarsi, e con un governo sempre più sull’orlo del baratro.
Il ministro della difesa Benny Gantz ha invitato il primo ministro Benjamin Netanyahu ad approvare un disegno di legge che ritarda la scadenza del bilancio statale, affermano che “chi ama Israele non lo conduce alle elezioni in questo momento”. Parlando alla riunione del gruppo alla Knesset di Kahol Lavan, Gantz ha detto che un’altra elezione porterebbe alla guerra civile, e ha invitato Netanyahu
a rimuovere la minaccia delle elezioni dall’agenda pubblica e, invece del panico, fornire al pubblico certezza, sicurezza e fiducia.
I cittadini di Israele ne hanno avuto abbastanza di trucchi politici “per i quali loro – e solo loro – ne pagano il prezzo”, ha affermato Gantz, tornando a chiedere a Netanyahu d’accettare una proroga di cento giorni della scadenza della coalizione per un bilancio statale, nel tentativo di evitare un’altra elezione – che sarebbe la quarta del paese in meno di due anni.
Rispondendo alla richiesta di Gantz, il destinatario ha tagliato corto, tra l’infastidito e l’irridente, e in una riunione del suo partito, ha risposto lapidario: “Non abbiamo bisogno di ventiquattr’ore e nemmeno di minuti. Abbiamo preparato un budget di un anno”. Se il bilancio non viene approvato entro il 24 agosto, cento giorni dopo l’insediamento dell’attuale governo, la Knesset si scioglierà e Israele andrà alle elezioni. La principale controversia che blocca l’approvazione di un budget per il 2020 è la richiesta di Gantz di approvare un documento biennale, come stabilito nell’accordo di coalizione del suo partito con il Likud di Netanyahu.
“Bibi” è invece determinato ad approvare un budget di un anno, che gli lascerebbe la possibilità di indire l’ennesimo voto anticipato, e nel giugno 2021, se il prossimo budget, per il 2021, non fosse approvato in primavera, prima che Gantz assuma la carica di primo ministro, secondo l’accordo di coalizione.
Il clima che regna all’interno del governo-monstre (per numero di ministri e vice) è quello della rissa. Che si è sfiorata domenica, quando invece della consueta seduta domenicale dell’esecutivo, che avrebbe dovuto discutere e decidere sulla legge di bilancio, si è svolta una riunione di gabinetto.
Apriti cielo. Narrano le cronache dei più diffusi giornali israeliani, che dopo una discussione infuocata tra il ministro dell’economia Amir Peretz (Labor) e il ministro delle finanze Yisrael Katz (Likud), il ministro della difesa Gantz ha alzato la voce ed è sbottato, rivolto a Netanyahu e ai suoi fedelissimi:
Dal primo giorno semplicemente non state rispettando gli accordi [della coalizione]. Avete firmato un accordo per un budget di due anni. Come si fa a firmare accordi e poi a lavorare su un budget di un solo anno? Fin dall’inizio avete lavorato su un budget di un solo anno.
Netanyahu ha risposto con un mortificante, per Gantz, “Non ti sento”. Sia la ministra dei trasporti Miri Regev (Likud) sia il ministro della giustizia Avi Nissenkorn (Blu e Bianco) sono apparsi nei telegiornali e si sono scagliati accuse l’uno contro l’altro.

E così, gli analisti politici a Tel Aviv, ritornano a cimentarsi sugli scenari possibili, individuandone quattro:
1 Un governo di destra stretta. Il Likud ha fatto trapelare l’indiscrezione che sta negoziando con due o tre potenziali “disertori” di Kahol Lavan che lasceranno quel partito, si uniranno a Netanyahu e contribuiranno a formare un governo ristretto. Il giornale Israel Hayom, vicino alla destra e a Netanyahu, ha persino pubblicato una storia che loda i presunti disertori, dicendo che, anche se sarebbero stati impiccati su Twitter, avrebbero salvato la patria. Ma il Likud non ha davvero interesse in un governo di questo tipo. Secondo le nuove regole di non fiducia, una lista di membri del gabinetto viene presentata alla Knesset, e se ottiene la maggioranza, viene formalizzato come nuovo governo.
Ma la legge stabilisce anche che né Netanyahu né Gantz possono guidare un governo che ha prestato giuramento come risultato di un tale voto di sfiducia. Perché Netanyahu guidi un governo di 61 persone, qualcun altro del Likud dovrebbe prestare giuramento come primo ministro, dopo di che quel governo dovrebbe essere immediatamente votato in un nuovo voto di sfiducia, e poi Netanyahu può sostituire il primo ministro titolare. Non c’è alcuna possibilità che Netanyahu lasci la residenza del primo ministro, lasciando il suo destino anche solo per qualche ora nelle mani di Naftali Bennett, Ayelet Shaked, Michal Shir e Gideon Sa’ar. Non correrà questo rischio.
2 Gantz si piegherà. Se un mese fa c’era la possibilità di un compromesso, ora Gantz non ha alcun interesse in questo. È stufo di Netanyahu. Con due mesi di ritardo, si rende conto che si possono appendere al muro le promesse di Netanyahu. Pensa che Netanyahu sia sulla buona strada per le elezioni, quindi non ha senso discutere del budget perché non è questo il vero problema. Anche se Gantz ripiega sul budget, non è chiaro come Netanyahu reagirà e quale nuova crisi artificiale potrà avviare.
3 Netanyahu fa marcia indietro. Netanyahu è quello che spinge per le elezioni ed è quello che può fare marcia indietro, accettando un budget di due anni e continuando come se la crisi non fosse mai accaduta. Al momento, però, Netanyahu sembra determinato ad andare alle elezioni.
Tutto questo nel vivo di una protesta sociale che si allarga a macchia d’olio.
Netanyahu reagisce alle proteste come ha sempre fatto: criminalizzando i manifestanti, scagliandosi contro i media indipendenti, gridando al complotto – dice a ytali Nitzan Horowitz, presidente del Meretz, la sinistra pacifista israeliana – ma stavolta è stato spiazzato dalla determinazione e dalla costanza con cui decine di migliaia di israeliani continuano a manifestare in difesa della legalità e contro un primo ministro che si ritiene al di sopra della legge e che ha dimostrato l’assoluta incapacità nel fronteggiare l’emergenza del coronavirus. In questo, ha seguito a ruota il suo amico americano: Donald Trump.
Ma c’è di più. E quel di più lo sottolinea Ayman Odeh, il leader della Joint List, la Lista araba unita, che con i suoi 15 parlamentari è la terza forza alla Knesset:
La destra – dichiara Odeh – era convinta di detenere il monopolio della piazza. Così non è. Quello che è nato è un movimento dal basso, che unisce generazioni diverse, che ha rotto vecchie barriere identitarie. Netanyahu è stato spiazzato da questo movimento – aggiunge Odeh – e lo si vede dalle sue reazioni scomposte. Ogni qual volta viene contestato, Netanyahu grida la complotto, al colpo di Stato, ma così facendo crea le condizioni per una ‘guerra’ delle piazze che può avere effetti devastanti per la tenuta democratica del paese.
Annota Chemi Shalev, firma storica di Haaretz:
Israele sta lottando per contenere un’allarmante rinascita della pandemia di coronavirus. La sua economia è in contrazione, con quasi il venti per cento di disoccupazione. Il movimento di protesta antigovernativo sta prendendo piede. La polarizzazione politica si sta approfondendo. La fiducia nel governo si sta erodendo. La minaccia di violenza politica e di spargimento di sangue pende pesantemente nell’aria. L’ultima cosa di cui il paese ha bisogno adesso è una nuova elezione. Una campagna elettorale paralizzerebbe gli sforzi di soccorso medico e finanziario, scatenerebbe il caos politico e infiammerebbe le divisioni interne. Dato che gli israeliani sono andati alle urne meno di sei mesi fa a votare per la terza volta in un anno e che il voto ha prodotto un governo teoricamente forte e stabile, non c’è da stupirsi che la stragrande maggioranza degli israeliani di tutti gli orientamenti politici consideri un’elezione a sorpresa come distruttiva e persino squilibrata.
Forse a pensarla così saranno in tanti, ma non quello che conta più di tutti: “King Bibi”.
Rileva Yossi Verter, tra i più pungenti analisti politici israeliani:
Come se Israele fosse un gigantesco focus group, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha lanciato gli slogan della campagna durante un incontro speciale del gruppo parlamentare del Likud, mercoledì scorso alla Knesset. ‘Mentre noi combattiamo una malattia, la sinistra combatte il governo’. Ha anche continuato ad affinare la sua rete di menzogne e distorsioni contro il determinato e crescente numero di manifestanti che chiedono le sue dimissioni. Ha descritto l’autentica rabbia che si accumulava fuori dalla sua casa sulla Balfour Street di Gerusalemme come “manifestazioni organizzate in alberghi e grattacieli di lusso”. E naturalmente non tralasciamo le lamentele e le vittimizzazioni, che cominciano a battere i record del narcisismo, anche considerando che Netanyahu e la sua famiglia sono noti per vedere sempre e solo se stessi. Parlando con i giornalisti in televisione negli ultimi giorni, Netanyahu ha lamentato le offese rivolte a sua moglie Sara. Ha chiesto più volte di identificarci con il suo disagio, con le difficoltà della sua famiglia. Cieco, come al solito, ai milioni di persone che vengono schiacciate e soffocate dalla crisi del coronavirus. Non abbiamo sentito una parola sulle donne che soffrono veramente, sulle madri single che non possono comprare da mangiare ai loro figli, sui proprietari di piccole imprese fallite, sulle centinaia di migliaia di disoccupati, che vivono alla giornata senza alcuna garanzia di tornare al lavoro. È sua moglie che ha bisogno di protezione da alcuni palloncini rosa. Se conta sulla simpatia per la sua famiglia edonistica e irritante come messaggio primario, è probabile che scopra che questa volta il pubblico avrà difficoltà a identificarsi con il pianto e il lamento.
E così Israele si scopre sempre più dipendente se non “ostaggio” del premier più longevo della storia dello stato ebraico. Un uomo solo al comando. Così si concludeva un recente editoriale di Haaretz:
Gantz ha ragione ad insistere su un budget di due anni. Anche lui ha capito che se non è il budget, Netanyahu troverà qualche altro problema che potrà usare per infrangere le regole e violare l’accordo. Netanyahu ha già trascinato Israele alle urne tre volte nel corso di un anno e non esiterà a trascinarlo ancora una volta – anche se il paese è all’apice di una crisi economica e sanitaria senza precedenti, anche se ha promesso al pubblico “niente trucchi e niente bastoni”, anche se ha firmato un accordo, ha stretto la mano a Gantz e si è impegnato con il presidente. Per Netanyahu, niente conta, se non la propria fuga dalla giustizia e la propria sopravvivenza politica. Chiunque gli creda sarà bruciato. E chiunque collabori con lui sarà un partito che inquina la nostra politica e aumenta la sfiducia dell’opinione pubblica nei confronti dei suoi rappresentanti eletti.
Forse Benny Gantz ha davvero imparato la lezione. Ma forse lo ha fatto troppo tardi. Ed è poco credibile che possa tornare a vestire i panni, dopo averli dismessi per dar vita all’attuale governo, dell’anti-Bibi. Israele non ha una memoria corta.


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