Luigi Brugnaro. Ti xe ’na crose

Il sindaco è “una croce” per la città che ha guidato in questi cinque anni, con stile “trumpista” e con un linguaggio che ne ha fatto una macchietta nazionale. Ecco alcune perle del suo repertorio.
ENZO BON
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Sembra quasi una pena del contrappasso quella che tocca a Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia da cinque anni e candidato alle prossime elezioni per il secondo mandato: il suo parlare vorrebbe disperatamente imitare il veneziano, ma proprio non gli viene. Non gli riesce, lui nato a Mirano e residente a Mogliano Veneto, in provincia di Treviso, di essere spigliato nella lingua di Goldoni, alla quale ambisce anche sforzandosi. Perché è idioma dolce per eccellenza, cantilenato e non urlato, che non si addice a un uomo che spesso mostra, proprio attraverso le sue parole, pronunciate appunto in uno strano linguaggio creolo, un carattere indubitabilmente complicato e scarsa lungimiranza politica. E se le parole sono importanti per tutti, lo sono ancor di più per chi ha responsabilità di governo di una delle città più famose e complesse al mondo. 

Il dubbio sulla capacità di Brugnaro di comprendere tutta l’importanza delle sue parole, ci viene da una lunga infilata di gaffe (ma forse sarebbe riduttivo chiamarle tali), spesso pronunciate cercando di imitare il dialetto veneziano, che il nostro ha inanellato nel corso della sua carriera politica che, lo ricordiamo, è iniziata proprio cinque anni or sono con la sua candidatura a sindaco della città lagunare, lui che prima era un imprenditore di successo, e che adesso lo è ancora, protetto da un blind-trust che i più critici dicono vederci benissimo. 

Le vogliamo analizzare, noi di ytali, queste infelici espressioni, che hanno accompagnato fin dall’inizio il mandato di uno dei sindaci più in vista d’Italia. 

È il 24 giugno 2015, nove giorni dopo che Brugnaro si è insediato sullo scranno più importante di Ca’ Farsetti. Prendendo spunto da una conferenza stampa sulle commemorazioni per il cinquecentesimo anniversario della morte del celebre stampatore Aldo Manuzio, il primo cittadino firma una circolare nella quale dispone il ritiro dalle scuole comunali di 49 testi che affrontano il tema della discriminazione e che definisce “libri gender”, concepiti con l’intento di insegnare ai bambini a rispettare chi è diverso da loro.

Il vizio di fondo – dice – è stata l’arroganza culturale con cui una visione personalistica della società è stata introdotta nei nidi e nelle scuole dell’infanzia del Comune di Venezia, senza chiedere niente a nessuno, neanche alle famiglie.

Seguirà uno scontro verbale con Elton John, che ha da tempo casa a Venezia e che ritiene il primo cittadino “bigotto e cafone”, cui Brugnaro risponderà “Caro Elton John, fora i schei”, intendendo il fatto che prima di parlare il baronetto debba fare materialmente qualcosa per la città. Schei = soldi, e questo termine ricorrerà spesso nell’oratoria brugnariana. E rincara la dose in un collegamento nella trasmissione L’aria che tira su La7, dove afferma:

Il gay pride mi fa schifo, è una carnevalata

È il 3 agosto 2015. A Venezia ricorre la commemorazione dei 7 martiri, un eccidio nazista ancora oggi molto ricordato in città. Il sindaco interviene per la prima volta in pubblico e parla ai partigiani e ai cittadini presenti. Il suo è un discorso in un misto di italiano e dialetto che tocca l’apoteosi oratoria quando afferma che

credere che dopo settant’anni non si possa superare quella che è stata di fatto una guerra civile è un errore che rischiamo di trasferire sui nostri figli.

Mugugni malcelati dei presenti, imbarazzo dei funzionari comunali, qualche fischio, bandiere che si arrotolano e che mestamente vengono riposte, tanto che ne parlerà anche Corrado Augias su Repubblica, riportando parte del discorso scritto così come pronunciato… 

Passa qualche mese e il sindaco di Venezia torna alla ribalta delle cronache a causa di un’intervista sulla sicurezza rilasciata all’emittente locale Televenezia dove afferma:

i nostri ragazzi vanno educati, serve una differenza con gente che vive sugli alberi di banane.

Siamo nel 2016, precisamente a gennaio, quando le performance comunicative di Luigi Brugnaro si scatenano contro Vittorio Zucconi, durante una trasmissione su Radio Capital. Il noto giornalista, infatti, afferma che il comportamento del primo cittadino lagunare in merito al tema dell’utero in affitto è quantomeno grottesco e ciò causa una vera e propria bordata di offese:

Cosa ne sapete voi, non si può comprare tutto. Arroganti siete. Mi avete dato del grottesco, ma lo dica a suo padre e a sua madre. Non potete rompere i coglioni così, ignobili siete. Stronzi. Coglioni. Fate soltanto gli interessi di chi ha i soldi [si sa che lui è povero in canna…]. Non mi faccia più parlare con lo stronzo che ha parlato prima, cazzo se mi incazzo.

L’intervista, ovviamente, è ancora online, a disposizione di quanti vogliono apprezzare dal vivo il forbito eloquio. 

Due mesi dopo, a marzo 2016, si festeggia un accordo cultural-turistico tra Venezia e la città di Chiusi, in Toscana, nel cuore dell’Etruria. Qui, in pompa magna, il sindaco, che guarda caso possiede in quei territori una mega azienda agricola con pregiata produzione di chianina e di cinta senese, propone e ottiene una sorta di gemellaggio, la chiama

una dorsale culturale tra ricerche, borse di studio, mostre e gran battage, perché nel passato – osserva – tra i nostri antichi popoli (Venezia e gli Etruschi) ci sono stati tanti contatti commerciali e pacifici che vorremmo raccontare in una logica di riscoperta dell’Italia. Vogliamo raccontare ai trenta milioni di turisti che vengono a Venezia la storia d’Italia, fatta di agricoltura, artigianato, manifattura e tradizione.

E siccome le parole sono importanti, come abbiamo detto, immaginiamo l’imbarazzo di quanti, funzionari di Venezia e di Chiusi, direttori dei musei, altri, hanno assistito all’evento. Perché Brugnaro, che in questo caso diventa eclettico storico, non ci sembra sia riuscito a spiegare bene quali fossero questi contatti tra gli Etruschi, popolo che visse prima della civiltà romana, e Venezia, che nacque ben qualche secolo dopo. Misteri della storia che, forse, solo Indiana Jones potrebbe svelare. E accordi che, ovviamente, non ebbero alcun seguito. 

A novembre, durante un incontro pubblico, Brugnaro se la prende con uno studente, reo di aver fatto una domanda scomoda. La risposta è allucinante: ”Tu sei quello del fumogeno, vero? – allude a una foto dove si vedeva uno studente con un fumogeno in mano – Vieni fuori dai che ne parliamo”. Il ragazzo si alza, quasi ad accettare la sfida; lui continua a invitarlo fuori con tono poco amichevole; alla fine lo studente si ricompone e protesta perché quello dovrebbe essere un incontro pubblico, e non un match privato. Ai più, la frase ricorda due contendenti che si prendono a parole in un bar, per poi prendersi a botte fuori. Un atteggiamento del sindaco che verrà definito, da molti consiglieri dell’opposizione, istintivo e inqualificabile. 

Altra perla il Nostro la espone a dicembre sempre del 2016. Parlando delle mense per i poveri, Brugnaro, a pochi giorni dal Natale, propone di costruire una “cittadella della povertà”, dove convogliare barboni, clochard, immigrati e quanti hanno bisogno di aiuto.

L’idea – spiega – è quella di concentrare i servizi per avere più risultati,

liberando quindi la Mestre bene da presenze fastidiose. L’espressione usata non ha bisogno di ulteriori commenti. 

E solo qualche giorno dopo, ecco il sindaco che, a margine di un consiglio comunale, se la prende con alcuni consiglieri. A uno di questi, in particolare, urla:

Disastro de omo, porta sfiga. Va fora, cori. Va via. Dentro chel serveo c’è il nulla, il nulla;

e, rivolto a una consigliera: “Ti xe ’na crose”. 

In agosto del 2017 Brugnaro se la prende con i musulmani, non ci è dato sapere per quale motivo preciso. Sta di fatto che dal palco del meeting di Rimini di Comunione e Liberazione afferma, con piglio violento inaudito:

Se tu vieni in Piazza San Marco e gridi Allah Akbar, fai quattro passi e ti abbattiamo, abbiamo i cecchini e ti abbattiamo. Ghe sparemo. Meglio, se ce lo dice prima gli spariamo ancora prima. Il buonismo è finito!

E poi propone un blocco navale in mare, per impedire l’arrivo degli immigrati, non sapendo che il blocco navale corrisponde a un vero e proprio atto di guerra. 

Siamo a novembre del 2017 e questa volta l’ineffabile sindaco ce l’ha con alcuni turisti che si lamentano per aver pagato un conto di 526 euro per le poche cose che hanno mangiato.

Sono dei pezzenti – dice – e se vieni in Italia devi imparare l’italiano e anche un po’ di veneziano non farebbe male. Ho chiesto al cameriere se gli hanno lasciato la mancia. Neanche quella. Se venite a Venezia, siate i benvenuti, ma dovete spendere

Il 2017 si chiude per Brugnaro con la conferenza stampa di fine anno, dove attacca le Municipalità, organi elettivi che nel territorio veneziano rivestono particolare importanza. Lui non le vuole e toglie tutte le deleghe ai presidenti, lasciando praticamente solo il contenitore vuoto. Alle proteste, risponde: “Volevano fare il Vietnam e noi siamo intervenuti con napalm”. La frase ovviamente fa scalpore ricordando, almeno ai più attempati, le terribili immagini dei bambini arsi dalle bombe incendiarie sganciate in quella sporca guerra, che corrono disperati con i brandelli di pelle ancora attaccati al corpo. Ma a lui non importa: ripeterà il paragone più volte. 

Gennaio 2018 si apre con una frase del sindaco rivolta ai giovani in occasione di un evento a Marghera. Aveva detto: “Il lavoro rende liberi”, forse non sapendo, lo speriamo, che quella frase era tristemente nota a chi varcava il cancello di Auschwitz. Le polemiche, in quel caso, furono accese e qualcuno mise proprio in relazione quelle parole con la foto del famigerato campo di concentramento. Poca sensibilità o poca cultura. Scelga il lettore. 

E a febbraio, durante gli affollamenti causati dal Carnevale, dice stizzito:

Non ho visto confusione, chi non vuole la folla e non ha voglia di divertirsi vada a vivere in campagna e non a Rialto o nelle zone centrali di Venezia.

Parole molto dure e non comprese da chi a Venezia c’è nato, e ora magari abita nella casa ereditata dai nonni, ora incoraggiato dal primo cittadino a lasciare la sua città. Proprio da lui, dicono in molti, che già vive in campagna. 

E arriviamo ai giorni nostri, tempo di coronavirus, purtroppo. Alle critiche di chi accusava Brugnaro di non aver fatto nulla per proteggere il Comune dal contagio, arrivando persino a non bloccare il Carnevale anche in presenza di due positivi all’ospedale civile di Venezia, il primo cittadino, dopo giorni di assoluto silenzio, risponde con una diretta Facebook giornaliera dove, con piglio da anchorman, cerca di fare il punto della situazione. Solo che, quando l’Italia sta per uscire dal lockdown in mezzo a mille dubbi, lui afferma:

Siamo stanchi di stare a casa, ordinanze, mascherine. Questa cosa sta prendendo un aspetto kafkiano. Aprite tutto: scuole, asili. Faremo sto numero di morti, conteremo quanti morti sono successi l’anno scorso e quest’anno, perché speriamo che non sia tutto un bluff sta roba qua.

E ospite del TG2 attacca il viceministro Misiani sulle politiche di contenimento del virus: “Incapaci e pazzi, lei e tutto il Governo”. 

Ora, come detto, Luigi Brugnaro ha ufficializzato la sua candidatura per il secondo mandato a sindaco di Venezia. Noi di ytali abbiamo voluto analizzare punto per punto i passaggi più emblematici della comunicazione brugnariana, anche per capire se questa fosse, almeno all’inizio, causata dall’inesperienza al mondo della politica, lui che vi è entrato da parvenu. Ma non ci sembra, in tutta onestà, che questo linguaggio usato dal primo cittadino veneziano abbia subito, nel corso di questi cinque anni di incarico, importanti cambiamenti.

Alcuni diranno che, seppur spigoloso, è diretto e senza quella diplomazia che attanaglia e falsifica i rapporti tra le persone che fanno politica. Potrà essere. Ma noi crediamo che una comunicazione seria ed efficace debba sempre essere prima di tutto priva di qualsivoglia offesa a chicchessia, sgombra da pregiudizi, intellettualmente onesta. E proprio perché le parole sono importanti, e possono cambiare il significato della storia, vorremmo che il sindaco di Venezia avesse parlato e, se sarà rieletto, parlasse, con un linguaggio consono a chi assurge a una carica così importante e unica, e magari, anche, non imitando il veneziano. Perché le parole fanno esistere le cose e le rendono reali, e una volta pronunciate, non godono del diritto all’oblio. 

Luigi Brugnaro. L’abito fa il sindaco

Luigi Brugnaro. Ti xe ’na crose ultima modifica: 2020-08-11T13:36:34+02:00 da ENZO BON
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3 commenti

Lorenzo 23 Agosto 2020 a 17:09

Un sindaco disastroso

Reply
Lorenzo 23 Agosto 2020 a 17:11

Un sindaco che non si preoccupa molto del bene comune

Reply
Fiorella 23 Agosto 2020 a 17:13

Questo sindaco è una vergogna

Reply

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