Il neo-cinquantenne Gianluca Pessotto è uno dei pochi a poter dire di essere nato due volte. La prima, quella che celebriamo in quest’articolo, l’11 agosto 1970; la seconda, nell’estate del 2006, quando sopravvisse per miracolo al tentato suicidio del 27 giugno. Ricordo tutto di quell’estate: l’emozione per l’Italia che si apprestava a diventare campione del mondo, lo sgomento degli Azzurri in ritiro quando appresero la notizia, lo strazio degli ex compagni di squadra della Juventus, Cannavaro che abbandona la conferenza stampa, i bianconeri che, dopo aver battuto 3 a 0 l’Ucraina ai quarti, espongono una bandiera tricolore con su scritto: “Pessottino siamo con te”, Montero che si reca in ospedale a vegliare l’amico di una vita, riscattando la propria immagine da duro attraverso gesti di infinita dolcezza, e poi il risveglio, il ritorno, la felicità di un uomo ritrovato.
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Mi è capitato di incontrarlo per caso, a Parigi, mentre passeggiava per le vie della città insieme a Lilian Thuram. Abbiamo parlato per pochi secondi, della Juve e dei campioni francesi che ovviamente fanno sognare ogni juventino e ogni appassionato di calcio che si rispetti, e ho compreso al volo la sua competenza, il suo carattere schivo, la sua capacità di mettere a proprio agio l’interlocutore con una battuta. Del resto, non si gioca per oltre dieci anni nella Juve se non si possiedono qualità superiori: tecniche, tattiche ma, soprattutto, mentali.
Pessotto era e resta un uomo speciale, un lottatore che non si è mai arreso, un personaggio singolare, profondo, dotato di un’umanità fuori dal comune e che per questo deve aver patito le pene dell’inferno nei giorni di Calciopoli, quando stavano venendo meno le sue poche certezze e si stava sgretolando tutto ciò che, professionalmente parlando, aveva costruito. Forse anche per questo, quel maledetto martedì di fine giugno, salì sul tetto della sede della Juventus, in Corso Galileo Ferraris, e si lanciò nel vuoto, salvandosi non si sa come e vedendosi costretto a compiere un percorso di riabilitazione durato mesi.
Ora è un uomo sereno, circondato dall’affetto dei suoi cari e dalla stima unanime di tutti coloro che capiscono di calcio e amano la vita, delle persone vere, di quelli come lui, insomma, non disposti ad accantonare determinati princìpi in nome del successo e del profitto. Pessotto è stato una delle vittime illustri di Calciopoli e delle sue conseguenze, del clima fetido che si era creato in quei giorni intorno alla Juventus, di troppe scelte sbagliate e inaccettabili compiute da personaggi sulla cui spregiudicatezza è opportuno sorvolare e del senso di vuoto che gli si era venuto a creare dentro.
Ora quel vuoto è stato colmato non solo da nuove e formidabili vittorie quanto, più che mai, dal recupero di determinati valori, di determinate prospettive, del punto di vista sull’uomo e sul mondo che ha sempre caratterizzato la filosofia di vita di uno dei calciatori più umili che si siano mai visti. Umile e indispensabile, protagonista di innumerevoli battaglie e di molti significativi trionfi, tra cui il più importante: aver ritrovato se stesso dopo essere sprofondato nell’abisso.

Pallone, e non solo.
Gli eroi del calcio e dello sport
raccontati da Roberto Bertoni

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