Un referendum per salvare gli animali

La proposta è stata lanciata in Francia e sta raccogliendo numerose adesioni. Per i sostenitori della causa, è il momento di dimostrare il proprio peso politico.
MATTEO ANGELI
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In Francia la questione ecologica continua a tenere banco, a riprova che l’onda verde delle elezioni municipali è tutt’altro che un fuoco di paglia. A fine giugno, infatti, i candidati EELV (acronimo del partito Europe Écologie Les Verts – Europa Ecologia I Verdi) si sono imposti in alcuni dei principali comuni, tra cui Lione, Bordeaux e Strasburgo. Ora, il dibattito sul benessere animale pone la maggioranza governativa di fronte a questioni sulle quali non può permettersi di tenere il piede in due scarpe.

La scintilla che ha innescato la discussione? La proposta di “referendum per gli animali”, lanciata lo scorso 2 luglio da una coalizione anomala, che ha come capifila il giornalista Hugo Clément – noto per il suo impegno a favore della causa animale – e tre imprenditori attivi nel settore tech – Xavier Niel, del gruppo Iliad, Marc Simoncini, fondatore del sito Meetic, e Antoine Granjon di Veepee. L’iniziativa gode del sostegno delle principali associazioni francesi per la difesa degli animali e la protezione dell’ambiente, come L214, Compassion in World Farming France, Welfarm, Rewild, la Fondazione Brigitte Bardot, GoodPlanet e la Fondation pour la nature et l’homme. Inoltre, da inizio luglio a oggi, più di 480mila cittadini francesi hanno espresso il loro supporto online.

La proposta di referendum, nota in Francia semplicemente come RIP (un altro acronimo, che sta per référendum d’initiative partagée), ambisce a introdurre sei misure forti:

1. L’abolizione dell’allevamento in gabbia

2. L’abolizione degli allevamenti di animali da pelliccia

3. La fine dell’allevamento intensivo

4. Il divieto alla caccia con i cani e di altre attività venatorie spesso definite come “tradizionali”

5. La fine degli spettacoli che vedono coinvolti gli animali selvatici

6. Il divieto alla sperimentazione animale (laddove esistono metodi di ricerca alternativi)

La strada è tutta in salita. Il RIP è uno strumento introdotto con la revisione costituzionale del 2008, quando Nicolas Sarkozy era presidente. Finora è stato utilizzato solo una volta, senza successo, in occasione del tentativo di privatizzazione del gruppo ADP (ex aeroporti di Parigi), che, comunque, è ancora in mano pubblica. 

La proposta di legge presentata da Clément e compagni dovrà innanzitutto ottenere il sostegno di centottantacinque deputati o senatori – ovvero un quinto dei parlamentari – per poi essere esaminata dal consiglio costituzionale. Se questo si esprimerà positivamente, ritenendo che il testo è conforme alla costituzione, si aprirà allora un periodo di nove mesi, durante il quale i promotori del referendum dovranno raccogliere 4,7 milioni di firme. Se ce la faranno, il testo verrà trasmesso al parlamento o sottoposto direttamente al voto dei francesi, tramite referendum. 

I tempi sembrano essere maturi, almeno stando al risultato di un sondaggio pubblicato il 28 luglio dall’Ifop (l’istituto francese di sondaggi d’opinione): il 73 per cento delle persone interrogate sono favorevoli al referendum per gli animali, l’89 per cento di loro pronto a votare la proposta di legge. Ancora più interessante, sempre secondo l’Ifop, coloro che abitano in un contesto rurale sarebbero ancora più favorevoli di chi abita in città. Quest’ultimo dato fa a pezzi la tesi secondo cui sarebbero soprattutto i cosiddetti “bobo” parigini – termine dispregiativo, simile a radical chic – a sostenere la causa. 

Ecco nel dettaglio le sei misure oggetto della proposta di legge:

Abolizione dell’allevamento in gabbia

In Francia sono purtroppo ancora allevati in gabbia: il 58 per cento delle galline ovaiole, il 99 per cento dei conigli e la maggioranza di tacchini, oche e anatre. Alcune grandi catene di distribuzione francesi, come Monoprix e Carrefour, hanno già smesso di commercializzare uova prodotte tramite l’allevamento in gabbia. Il gruppo Avril, leader francese nel mercato delle uova, si è invece impegnato a mettere fine all’allevamento in gabbia entro il 2025. 

Il referendum per gli animali propone di eliminare l’allevamento in gabbia o box di animali da reddito (galline ovaiole, conigli, oche, anatre, tacchini, maiali, vitelli, quaglie ecc.), a partire dal primo gennaio 2025. Il divieto punta a rinforzare una misura votata dai parlamentari francesi nel 2018, che vieta la produzione di ogni edificio nuovo o ammodernato per l’allevamento in gabbia di galline ovaiole, ma anche a estendere la volontà iniziale del legislatore ad altri animali d’allevamento. 

Secondo la nuova proposta, chi violerà il divieto rischiera un anno di prigione e una multa di 30mila euro. 

Fonte: https://referendumpourlesanimaux.fr

Abolizione degli allevamenti di animali da pelliccia

Nonostante alcuni importanti marchi del lusso, tra cui anche Chanel, Jean-Paul Gautier, Gucci e Versace, abbiano smesso da alcuni anni di utilizzare le pellicce di animale per i loro abiti, in Francia continuano a essere allevati visoni a tale scopo. Per questo, il referendum per gli animali contiene la proposta di uno stop a ogni forma di allevamento e abbattimento degli animali che contribuisce alla commercializzazione di pellicce. In questo modo, non vengono colpiti solo gli allevamenti che hanno come unico scopo la produzione di pellicce. 

Non è una proposta completamente nuova, in quanto riprende ed estende un testo depositato all’Assemblea nazionale nel 2019, mirato ad abolire l’allevamento di animali finalizzato esclusivamente a produrre capi d’abbigliamento con il loro mantello. 

I propositori del referendum sottolineano anche l’alto costo ecologico che si cela dietro a questa industria della morte. Secondo i loro dati, un chilogrammo di pelliccia di visone, che corrisponde a undici animali, verrebbe prodotto impiegando mille litri d’acqua e 563 chilogrammi di alimenti. Uno spreco di risorse naturali particolarmente inoculato. 

Fonte: https://referendumpourlesanimaux.fr

Fine dell’allevamento intensivo

In Francia il 95 per cento dei suini è allevato su pavimenti grigliati, senza alcun accesso all’esterno. Una sorte simile a quella dell’85 per cento dei polli da carne, imprigionati a migliaia in stabilimenti chiusi, con uno spazio per animale singolo che non supera le dimensioni di un foglio A4. Per questo, la proposta di referendum contiene il divieto di costruire nuovi edifici destinati all’allevamento che non garantiscano un accesso all’esterno, all’aria aperta. E non è tutto: i capannoni chiusi avranno tempo fino al 2040 per essere ammodernati, al fine di consentire agli animali di uscire all’aperto. Anche in questo caso, la proposta s’iscrive nel solco del lavoro fatto dai parlamentari francesi, ricalcando il testo “per un allevamento etico, socialmente giusto e rispetto del benessere animale”, depositato in senato lo scorso 21 gennaio. 

Fonte: https://referendumpourlesanimaux.fr

Il divieto alla caccia con i cani

La chasse à courre è un tipo di attività venatoria che consiste nell’inseguire un animale (spesso un cervo) fino al suo sfinimento, con l’aiuto di una muta di cani e di cacciatori a cavallo. Si tratta di una pratica che era tipica dell’aristocrazia e che risulta particolarmente violenta per l’animale che ne è vittima, perché può durare varie ore e provocare uno stress intenso. Già vietata in altri paesi europei, come la Germania, il Belgio, la Scozia, l’Inghilterra e il Galles, questa pratica, peraltro, non ha alcuna utilità sociale e non contribuisce alla gestione e alla regolazione delle specie.
I propositori del referendum chiedono anche la fine di altri tipi di caccia, spesso definiti come “tradizionali”. È il caso della caccia sotto terra a volpi e tassi, che viene fatta con l’aiuto di cani e di pinze specifiche. O ancora, della caccia con la colla, che consiste nel catturare uccelli, nello specifico “solo” tordi e merli, usando rami e bastoncini di legno ricoperti di colla e posizionati su alberi e cespugli. Una volta che il malcapitato resta incollato al ramo, viene messo in gabbia per attirare i suoi simili attraverso il canto. È a quel punto che i cacciatori cominciano a sparare. 

Fonte: https://referendumpourlesanimaux.fr

La fine degli spettacoli con animali selvatici

In Francia, leoni, tigri, delfini, elefanti e scimmie sono ancora utilizzati come oggetti di divertimento nei circhi e nei delfinari. Per questo, il referendum per gli animali si pone come obiettivo l’abolizione degli spettacoli che coinvolgono specie animali non domestiche. Quando? Cinque anni dopo la pubblicazione della proposta di legge, in modo tale che gli animali che sono tuttora utilizzati per questi spettacoli possano essere affidati ad associazioni per la protezione degli animali, responsabili di trovare loro una nuova casa, in strutture adeguate. Chi non rispetterà la nuova legge sarà costretto a pagare 50mila euro per animale. 

Fonte: https://referendumpourlesanimaux.fr

Il divieto alla sperimentazione sugli animali

La sperimentazione animale in Francia interessa più di 2 milioni di animali, una cifra che sale a quattro milioni, se aggiungiamo gli animali geneticamente modificati (quasi sempre topi o ratti, utilizzati per scoprire o sperimentare nuovi farmaci). Inoltre, a livello europeo, la Francia si piazza addirittura al primo posto per quanto riguarda il numero di cani e di primati che sono oggetto di esperimenti scientifici. Per questo, laddove la sperimentazione animale non è necessaria in virtù dell’esistenza di un metodo di ricerca alternativo, il referendum per gli animali propone di bandire questa pratica. 

Fonte: https://referendumpourlesanimaux.fr

Un sussulto dopo tre anni di immobilismo.

Così le associazioni per i diritti degli animali giudicano l’iniziativa lanciata da Clément e i tre imprenditori. La delusione per la mancata nomina di un segretario di stato alla condizione animale, in occasione del recente rimpasto di governo, è ancora forte. 

Di fronte all’assenza di un segnale politico chiaro, è probabile che la maggioranza governativa si spacchi. Da un lato, il gruppo “Ecologia, Democrazia e Solidarietà”, ala sinistra della maggioranza – composto da diciassette deputati, alcuni dei quali fuoriusciti da La Republique En Marche, il partito del presidente Emmanuel Macron –  ha fatto del miglioramento della condizione animale una della proprie priorità. In questo senso, il co-presidente del gruppo, Matthieu Orphelin, ha annunciato che a ottobre presenterà in Assemblea nazionale una proposta di legge che ricalca i contenuti del referendum, ma, rispetto a esso, politicamente meno divisiva.

Dall’altro lato, non va sottovaluta l’influenza dei cacciatori sul gruppo politico legato a Emmanuel Macron. A questo proposito, il deputato de La République En Marche Alain Perea ha già annunciato la sua ostilità al referendum. Inoltre, nel marzo 2019, l’ex segretaria di stato alla Transizione ecologica, Emmanuelle Wargon, aveva rassicurato i cacciatori, dicendo che il presidente Macron li sostiene con passione. Si tratta infatti di una categoria che, tradizionalmente, gode di un certo peso politico, anche grazie alla sua capacità di mobilitarsi in maniera compatta in occasione delle tornate elettorali. 

Lo si è visto di nuovo qualche settimana fa, quando la nuova ministra della Transizione ecologica, Barbara Pompili, ha rifiutato di rinnovare la quota 2020 relativa alla caccia con la colla (nel 2019, la Francia aveva autorizzato la cattura di 42mila uccelli attraverso questa pratica, consentita solo in cinque dipartimenti della regione Provence-Alpes-Côte d’Azur).

Dato che la caccia con la colla avviene in deroga alla direttiva europea sugli uccelli, già a inizio luglio la Commissione europea ha inviato al governo francese la richiesta di un parere motivato per giustificarne la continuazione. Tuttavia, i cacciatori sperano ancora di poter ricevere per quest’anno una “quota ridotta”, che gli consenta in ottobre di tornare a nascondersi nelle loro capanne in attesa delle malcapitate prede. Tanto hanno fatto, che una delegazione di cacciatori è stata ricevuta a inizio agosto dal primo ministro Jean Castex, il quale avrebbe promesso loro un rinnovo delle quota per la stagione a venire. 

I segnali che giungono dalla maggioranza sembrano pertanto a dir poco discordanti. Il partito di Macron tentenna. Ha paura di perdere il sostegno di una parte del mondo rurale, ma, in questo modo, rischia di allontanare una quota di elettorato sempre più influente e organizzata, che ha l’occasione, con il referendum sugli animali, di dimostrare tutto il suo peso politico. Sperando che la montagna non partorisca un topolino. 

Nell’immagine di copertina, il logo della campagna del referendum per gli animali.

Un referendum per salvare gli animali ultima modifica: 2020-08-17T09:14:07+02:00 da MATTEO ANGELI
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