Quando Van Basten s’arrese

Il 18 agosto del 1995 il “Cigno di Utrecht” fu applaudito per l’ultima volta dal pubblico che l’aveva esaltato per anni e uscì di scena, tradito dalle “fragili” caviglie.
ROBERTO BERTONI BERNARDI
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Marco Van Basten s’arrese alla fragilità delle sue caviglie di cristallo un maledetto venerdì di venticinque anni fa. Era il 18 agosto e a San Siro stava per iniziare il Trofeo Berlusconi fra Milan e Juventus. Il Cigno di Utrecht fece due giri di campo, fu applaudito per l’ultima volta dal pubblico che lo aveva esaltato per anni e uscì di scena, tragicamente come solo gli eroi sono in grado di fare. Sosteneva Menandro che “muore giovane chi è caro agli dei”. Van Basten è vivo e vegeto, ha da poco dato alle stampe un’autobiografia intitolata, giustamente, “Fragile”, l’aggettivo che più gli si addice, in campo e nella vita, ma è morto sportivamente a soli trent’anni, sconfitto dai troppi infortuni, dall’impossibilità di continuare, dal peso della sua classe infinita e dall’impossibilità di accettare il declino dopo aver ballato per anni sul tetto del mondo.

Si è già detto e scritto tutto ciò che andava detto e scritto in merito alla sua arte, al suo tocco inimitabile, alla poesia che sprigionava ogni sua giocata e alla bellezza della sua danza degna di Nureev. Ciò su cui si è sempre preferito, erroneamente, sorvolare è il dramma di un ragazzo messo al tappeto dal dolore, vinto dalla fatica, travolto da troppe sofferenze e costretto ad arrendersi a un’età nella quale molti giocatori, assai meno talentuosi di lui, si considerano all’apice della carriera. Chissà cosa avrebbe potuto fare ancora quel genio del calcio se Madre Natura lo avesse dotato, oltre che di una bravura prodigiosa, anche di un minimo di resistenza fisica!

Ho riflettuto spesso su quali sarebbero potute essere le sorti di alcuni miti dello sport se la sfortuna non si fosse frapposta come un ostacolo insormontabile lungo la loro marcia verso la gloria e sono giunto alla conclusione che se ancora ricordiamo Van Basten e altri idoli con le lacrime agli occhi è proprio perché sono stati effimeri come le rose di Atacama, alti e malinconici come un‘agave, perle rare e irripetibili che, proprio per questo, rubano l’occhio e ci rendono orgogliosi di poterli ammirare. Se n’è andato, calcisticamente parlando, troppo presto, lasciando non solo i tifosi rossoneri ma tutti gli sportivi con il magone per ciò che sarebbe potuto ancora essere e, purtroppo, non è stato.

Eppure è rimasto e rimarrà per sempre: nel cuore, negli sguardi, nei sorrisi, nei pensieri e nell’affetto di chiunque abbia assistito a meraviglie come i cinque gol rifilati dal Milan al Real Madrid o i quattro con cui, un mese dopo, i ragazzi di Sacchi avrebbero sommerso la Steaua Bucarest al Camp Nou di Barcellona, conquistando la terza Coppa dei Campioni della storia milanista. Van Basten è stato questo e molto altro ancora: un fuoriclasse, un Van Gogh moderno che, al posto del pennello, usava gli scarpini. Luminoso come i girasoli di Arles prima che un volo di corvi ne preannunciasse, calcisticamente, la fine.  

Quando Van Basten s’arrese ultima modifica: 2020-08-18T13:46:12+02:00 da ROBERTO BERTONI BERNARDI
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