È una guerra santa per la carne rossa. Il vicepresidente americano, Mike Pence, l’ha dichiarata a colei che tra qualche mese potrebbe prendere il suo posto. Lei è Kamala Harris, senatrice democratica della California che farà da spalla a Joe Biden nella corsa alla Casa Bianca. Lo scorso 11 agosto Biden ha ufficializzato la scelta di Harris come candidata alla vicepresidenza. Pochi giorni dopo, durante un comizio in Iowa, Pence ha affermato davanti a un pubblico costituito principalmente da agricoltori e allevatori:
Joe Biden e Kamala Harris vogliono seppellire la nostra economia sotto una valanga di lungaggini burocratiche: più regolamentazioni, più burocrazia… La senatrice Harris ha detto di voler cambiare le linee guida federali in fatto di alimentazione, per ridurre la quantità di carne rossa che mangiano gli americani… Non lasceremo che Joe Biden e Kamala Harris riducano la carne americana.
Potrebbero sembrare dichiarazioni estemporanee, se non fosse altro che tanto somigliano a quelle di Donald Trump nel 2016, quando questo sosteneva che i democratici avevano lanciato una guerra al carbone. Allora Hillary Clinton cadde nella trappola, dichiarando di voler mettere fuori mercato molte compagnie che operano in questo settore e, soprattutto, molti minatori. Un commento tanto sfortunato quanto fatale, che spinse in seguito Clinton a dire che si trattava dell’errore delle sua campagna alla presidenza “di cui più si pentiva”.
L’allora candidata democratica fece il commento durante un comizio in Ohio, nel marzo 2016. Cercò poi di correggersi, aggiungendo a corto giro che “non avrebbe lasciato i minatori al loro destino”. Ma ormai la frittata era fatta. Trump approfittò dell’errore per dare forma al suo messaggio incentrato sulla difesa del ceto operaio, bianco, con un attenzione particolare ai minatori.
Per essere chiari, né Harris né Biden si sono mai espressi contro il consumo di carne. Harris ha fatto piuttosto un invito alla moderazione, durante un intervento dello scorso anno, quando era ancora in corsa per la nomination democratica. Più nel dettaglio, in occasione di un dibattito organizzato dalla Cnn, Kamala disse:
Non nego che ogni tanto mi piace mangiare un cheeseburger. Ma serve una maggiore considerazione rispetto a quanto facciamo al fine di creare gli incentivi giusti per mangiare in modo sano. Dobbiamo promuovere la moderazione ed essere consapevoli dell’impatto che le nostre abitudini alimentari hanno sull’ambiente… Il governo può fare molto di più a questo proposito.
Durante il dibattito le venne chiesto:
Se eletta presidente, prenderebbe in considerazione la possibilità di cambiare la piramide alimentare (ovvero, le linee guida federali in materia di alimentazione, ndr)? E nello specifico, ridurre la carne rossa?
Harris rispose con un doppio “sì”.

La senatrice californiana non è certo la prima a cercare d’intervenire sulle abitudini alimentari degli americani. Le sue affermazioni fanno pensare all’impegno di Michelle Obama contro l’obesità infantile, che si manifestò attraverso una serie di azioni focalizzate soprattutto a fare presa sulla responsabilità dei singoli individui e non a cambiare le leggi in quanto tali. Perché le lobby del settore alimentare sono fortissime. Ma anche perché, un tale messaggio, se vuole avere successo, deve mettere in luce anche le opportunità che porta con sé e non presentarsi solo come una mera rinuncia. È in tal senso che Biden e Harris non devono ripetere l’errore di Clinton.
In America, secondo i sondaggi, solo il cinque per cento della popolazione è vegetariano o vegano. Il consumo di carne pro capita è decisamente il più alto al mondo. Il Forum mondiale dell’economia parla di quasi cento chili di carne per americano all’anno, il che equivale a circa il cinquanta per cento in più di quanto consuma in media un cittadino europeo.
Ciononostante, l’industria della carne è al centro di una trasformazione epocale, che è stata per molti versi accelerata dalla crisi di coronavirus. In questi mesi infatti, non sono solo venuti alla ribalta, con veemenza, problemi di lunga data, come le violenze che subiscono gli animali nei macelli, o le condizioni non sicure in cui si trovano ad operare i lavoratori negli impianti di “trasformazione” della carne.
Il settore ha mostrato tutta la sua inefficienza. Gli stabilimenti americani di lavorazione della carne – in mano a poche grandi aziende (Tyson, Cargill, JBS, Smithfield, ecc…) – hanno dovuto chiudere per alcune settimane o hanno riscontrato un calo della produzione, dovuto alla necessità di garantire il distanziamento sociale tra i lavoratori o a fare i conti con la loro assenza. Questo ha inceppato il sistema. Ci si è trovati in una situazione paradossale. Da un lato gli animali negli allevamenti non potevano essere destinati al macello e sono stati comunque uccisi, nei modi più orrendi e a migliaia, per evitare il sovraffollamento. Dall’altro lato, l’offerta di carne bovina e suina ha subito una contrazione.
Questo ha portato molti americani, che vegetariani non sono, a inserire nella propria dieta le alternative vegetali alla carne. Stiamo parlando della “carne vegetale”, prodotto alimentare che ha il sapore e l’aspetto di carne, ma è a base di vegetali come fagioli, soia o piselli. Per farsi un’idea della portata del fenomeno, basta guardare l’andamento esaltante di due marchi leader del settore, Impossible Foods e Beyond Meat Inc.
Beyond Meat Inc. ha dichiarato un aumento dei ricavi netti del 141 per cento durante i primi mesi del 2020, pari a oltre 97 milioni di dollari, rispetto ai circa quaranta milioni registrati nello stesso periodo dello scorso anno. Impossible Foods, invece, società che distribuisce i suoi hamburger vegetariani a Walmart, Kroger, Starbucks and Burger King, ha ampliato la sua rete di distribuzione fornendo i suoi prodotti a 777 nuovi punti vendita in California, Nevada e a Chicago. Questo aumenterà del cinquecento per cento la quantità di negozi alimentari che offrono Impossible Burger. Un dato importante: secondo le stime della compagnia, nove clienti su dieci non sono vegetariani.

Potrebbe essere l’inizio di una rivoluzione. Fedeli al vecchio detto “se non puoi battere il tuo nemico, alleati con lui” anche colossi americani della produzione della carne, come Tyson, JBS e Smithfield hanno cominciato a investire nel mercato delle “proteine alternative” – che include hamburger, salsicce, polpette e nugget vegetariani. Del resto, se è possibile produrre la carne senza far soffrire gli animali, perché non farlo?
A guadagnarci potrebbero essere in molti. Innanzitutto, gli agricoltori, che di fronte a un aumento di domanda di carne vegetale, si troverebbero a dover gestire un incremento della richiesta delle materie prime. Poi, i consumatori, che, in seguito a una riduzione del consumo eccessivo di carne, vedrebbero probabilmente scendere il loro peso, i livelli di colesterolo e soprattutto la possibilità di avere problemi di cuore. Infine, l’ambiente: secondo uno studio dell’università del Michigan, produrre un etto di hamburger vegetariano richiede il 99 per cento in meno di acqua, il 93 per cento in meno di terra e il cinquanta per cento di energia di un hamburger di origine animale.
Sono questi gli incentivi sui quali Harris e Biden possono puntare per evitare di farsi intrappolare in una guerra santa per la carne rossa. Questa altrimenti rischia di trasformarsi in un remake del 2016, che vide Donald Trump vittorioso anche grazie all’argomento della guerra per il carbone.
Va aggiunta una considerazione finale. Le causa profonde che hanno spinto Pence ad attaccare Harris su questo fronte probabilmente hanno poco a che vedere con l’economia. Come fa notare Carol J. Adams – femminista americana nota per i suoi studi che mettono in evidenza il legame tra l’oppressione delle donne e quella degli animali – l’alimentazione a base di carne, per vari motivi, contribuisce a perpetrare una cultura misogina, reazionaria e razzista.
Secondo Adams, “i veri uomini mangiano la carne” è un refrain radicato nel nostro modo di pensare e rispolverato ogni volta in cui la componente maschile si sente in pericolo. Come nel caso di Pence, che rischia di farsi rimpiazzare da una donna di colore. Una minaccia esistenziale per il maschio bianco, che corre ai ripari sventolando la bandiera sgualcita della dieta carnivora. Ma, ormai, è fuori tempo massimo.

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