Referendum, regionali, caso Roma. Zingaretti sulla graticola

Non è cambiato granché nel Pd con la sua segreteria. E intanto cresce l’incertezza nel rapporto con i 5 Stelle.
ALDO GARZIA
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Siamo al capolinea del Pd formato Nicola Zingaretti? Alcuni segnali farebbero capire di sì, a poco più di un anno dalla sua elezione a segretario (17 marzo 2019). Lo scontento infatti cresce nei confronti di chi doveva rivitalizzare il Pd dopo la parentesi della segreteria di Matteo Renzi ricollocandolo con più sicurezza a sinistra e invece non ha risolto nessun problema del partito, riuscendo però nel miracolo di collocarlo al governo grazie all’intesa con i 5 Stelle. Anzi, proprio il rapporto con i grillini è la croce e delizia del segretario Zingaretti.

Ultimo caso dell’impasse politico piddino è quello del referendum dei prossimi 20 e 21 settembre sulla riduzione del numero dei parlamentari. A poche settimane dal voto il Pd è diviso e non ha una posizione ufficiale. Zingaretti, in una intervista al Corriere della Sera del 26 agosto, ha preso una posizione dal sapore fuori tempo massimo:

Sosteniamo da sempre la riduzione del numero dei parlamentari e per anni abbiamo presentato proposte di legge in questo senso. Tuttavia per votare Sì e far nascere il governo abbiamo chiesto modifiche circa i regolamenti parlamentari e una nuova legge elettorale, per scongiurare rischi di distorsioni nella rappresentanza e tutelare adeguatamente i territori, il pluralismo e le minoranze. Tutta la maggioranza ha sottoscritto questo accordo, ora faccio un appello affinché sia onorato.

Il segretario del Pd non nasconde nel corso dell’intervista i suoi dubbi sulla “campagna in atto all’insegna dell’antipolitica” pur sembrando imbrigliato nella contraddizione. 

Approvare una bozza di riforma elettorale in uno dei rami del Parlamento prima del referendum, come chiede Zingaretti, appare compito assai difficile, degno di un miracolo politico difficile da realizzarsi. A crederci tra i pochi è Graziano Del Rio, capogruppo alla Camera del Pd. Ecco così che le correnti e i singoli si sentono autorizzati a muoversi per proprio conto con una minoranza di No (Cuperlo, Orfini, quel che resta della sinistra interna) e una maggioranza di Sì (Bonaccini, Martina, Orlando, Marcucci, Ceccanti, Areadem, Base riformista). Del resto, il Pd ha votato tre volte contro il disegno di legge che ora è sottoposto a referendum: si è espresso a favore solo quando il via libera è diventata una delle condizioni poste dai 5 Stelle per l’intesa di governo. Saltato l’accordo su una nuova legge elettorale causa l’impuntatura di Italia Viva contro il proporzionale e la soglia di sbarramento, il taglio dei parlamentari appare un provvedimento isolato e senza un contorno di riforme adeguate. Da qui l’incertezza dell’elettorato piddino. I No potrebbero essere molti di più del previsto.

È il rapporto con i 5 Stelle il cruccio di Zingaretti. Nonostante l’assenso dei grillini a cercare alleanze nei territori venuto di recente dal voto della Piattaforma Rousseau, nulla si è smosso in previsione delle prossime elezioni regionali che si terranno in concomitanza con il referendum del 20 e 21 settembre: solo in Liguria c’è stata intensa. Nelle altre sei regioni si corre divisi. Il Pd potrebbe farcela solo in Campania e con molto affanno in Toscana (la Puglia è in bilico). In quel caso, il bilancio per il segretario Pd e il governo sarebbe disastroso.

Zingaretti, come si ricorderà, era all’inizio scettico sul governo con i populisti grillini. Poi ne ha fatto l’asse strategico del suo Pd. Goffredo Bettini, playmaker del segretario, recentemente ha un po’ corretto il tiro: Renzi aggreghi il “centro” (Italia viva, Calenda, Emma Bonino) mentre Pd e 5 Stelle sarebbero l’altra gamba di una nuova coalizione che può arrivare fino alla sinistra di Liberi e uguali. Questa impostazione, pur con poche realistiche alternative sul piano delle alleanze possibili nell’immediato, ha tuttavia molti oppositori dentro e fuori il Pd. E su questa graticola rischia di arrostirsi proprio la segreteria di Zingaretti che ha infine nel “caso Roma” (le elezioni in Campidoglio del 2021 con la candidatura di Virginia Raggi per i grillini) un’ulteriore grana e nodo da affrontare.

Finita l’era di Walter Veltroni segretario del Pd, l’elenco dei successori è stato lungo fino a Zingaretti: Franceschini, Bersani, Renzi, Martina più le “reggenze” di Epifani e Orfini. Forse, a questo punto, è proprio il contenitore Pd a essere irriformabile. All’orizzonte tuttavia, per ora, non ci sono alternative credibili. Che succederà se salterà pure la segreteria di Zingaretti?

Referendum, regionali, caso Roma. Zingaretti sulla graticola ultima modifica: 2020-08-27T16:09:45+02:00 da ALDO GARZIA
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