Secondo il sondaggio di Ilvo Diamanti per Repubblica, il presidente leghista del Veneto è più apprezzato di Matteo Salvini dagli elettori dei due alleati di centrodestra del Carroccio, Fratelli d’Italia e Forza Italia. Come presidente del Veneto, rispetto al 50,1 per cento ottenuto nel 2015, Zaia balzerebbe al settanta per cento (nota). Il Sole 24 Ore ha pubblicato anche i risultati di un sondaggio dell’istituto Noto sui presidenti di regione. Secondo questo sondaggio, Luca Zaia è il più popolare tra i suoi concittadini e il suo consenso è aumentato durante l’emergenza coronavirus.
A che cosa si deve tanto consenso, come governa Luca Zaia?
Ecco, forse si può cominciare con il dire una cosa: Luca Zaia non governa, amministra. Ed è, evidentemente, una scelta.
Governare significa infatti individuare una meta e reggere il timone per raggiungerla, traslato nelle somme cariche pubbliche significa individuare degli obiettivi di politiche pubbliche e i mezzi per raggiungerli. Significa pianificare l’attività, obiettivi, piani, programmi. Ma se si va a vedere l’attività regionale di programmazione ci si accorge che – iniziando dal governo del territorio – il PTRC, piano territoriale regionale di coordinamento, fino a poche settimane fa era ancora quello degli anni Novanta, e quello testé finalmente approvato è “vuoto”, nel senso che si riprende un piano datato 2010, senza collegarvi il piano paesaggistico, che rimane nel cassetto, un piano quindi di fatto monco e tardivo, già vecchio.
Il piano cave, in una regione come la nostra sforacchiata in lungo e in largo, è stato finalmente adottato nel 2018, e mancava dal 1982, quasi quarant’anni. Il nuovo PRT, piano regionale trasporti 2020-2030, mancava dagli anni Novanta (dall’epoca di Lia Sartori) ed è stato approvato – e meno male – a fine mandato, nel giugno di quest’anno. Ma chissà se e quando sarà attuato: il Veneto è la regione che ha affossato il piano di trasporti metropolitano, di cui non si parla nemmeno più, e in cui il biglietto unico elettronico è sconosciuto. Il PRTRA, piano regionale di tutela e risanamento dell’atmosfera, invece esiste, sostanzialmente non finanziato (il Veneto quattro milioni, la Lombardia seicento milioni). I bravi funzionari della Regione hanno redatto il piano dello sviluppo sostenibile, documento strategico in attuazione dell’Agenda 2030 dell’ONU per lo Sviluppo sostenibile.
Ma i piani non debbono essere – quando va bene – degli adempimenti burocratici. Debbono essere indirizzo e vincolo all’azione, e scontentano necessariamente qualcuno.
Applicare le riforme? Meglio di no, si disturba. Così le IPAB in Veneto hanno ancora lo statuto del 1890.
Amministrare l’esistente invece, con un’accorta distribuzione delle risorse ordinarie, comprese quelle europee, che rientrano anch’esse nell’ordinaria amministrazione, non scontenta quasi nessuno. Così è possibile distribuire le risorse su tanti progetti minori, minori ma numerosi, numerosissimi, associazioni, proloco, club sportivi.

L’amministrazione Zaia si spinge anche più in là. Non riformare, e va bene, ma neppure investire: pochi fondi per le infrastrutture, nulla per la fibra ottica prevista già nel 2002, e per la montagna devastata dal ciclone Vaia.
Uno, di grandi progetti, è in via di realizzazione – la strada cosiddetta Pedemontana – ereditata da amministrazioni precedenti, che avrebbe dovuto essere realizzata su sedimi stradali esistenti, e che poi come sappiamo è andata realizzandosi diversamente, sia come localizzazione, sia come regime finanziario: l’unica autostrada interamente a carico della finanza pubblica, con rendita garantita al privato. Autostrada che per fortuna sua – con grande sollievo del presidente – ha superato la fase delle “rogne”. Mentre il sostegno al prosecco, quello dà soltanto gioie e soddisfazioni. E poco importa se i rischi idrogeologici aumentano.

Bravissimo nella sanità? La sanità nel Veneto è stata sempre gestita con attenzione all’integrazione con il territorio. Il Veneto ha deciso di tenere gli ospedali dentro le Ulss (sociale e sanitario insieme) e di avere pochissimi ospedali privati convenzionati. In quasi trent’anni si è creato un modello di collaborazione e di comunicazione tra tutte le componenti del sistema, in modo che con l’epidemia i medici di medicina generale sono riusciti a tenere a casa più pazienti, non scaricandoli tutti in ospedale. È stato ereditato un sistema che nella situazione del Covid ha funzionato forse meglio di altri.
Il tentativo di smantellare il sistema veneto c’è stato, Zaia qualche tentazione l’ha avuta. Negli ultimi cinque anni, sono stati tagliati molti posti letto (il venti per cento del sistema ospedaliero pubblico, mentre sono aumentati del 18 per cento quelli del privato convenzionato) e la parte territoriale è stata trascurata in modo decisivo: personale andato in pensione e mai sostituito, riduzione dei primariati delle funzioni territoriali, depauperamento generale costante e silenzioso dei dipartimenti di prevenzione. Il modello “aggregativo avanzato” dei medici di medicina generale è stato accantonato: i medici non gradivano.
Ma l’essere amministratore, e non riformatore e innovatore, lo ha almeno in parte preservato; le previsioni più discutibili (far gestire gli anziani cronici a équipe del privato convenzionato) non sono state attuate. Si è salvato dalla tentazione di copiare il sistema sanitario lombardo.

Se i fatti sono questi, e sono difficilmente contestabili, perché un così vasto consenso per Zaia?
Persona gradevole e garbata, conosce bene i veneti, è probabilmente convinto che i veneti amano fare da sé, non vogliono essere assistiti o peggio guidati, tanto meno disturbati. Bravissimo nel decantare le eccellenze del Veneto – che sarebbe azzardato attribuire a suo merito – cura soprattutto il contatto con i suoi amministrati. Il periodo del lockdown l’ha trascorso a Marghera, nel centro della protezione civile, “in prima linea” per i suoi veneti. I veneti con la loro laboriosità, la loro voglia di autonomia, di cui ha sempre evidenziato la contrapposizione con lo Stato inefficiente e nemico. Ha fortissimamente voluto – previo referendum/plebiscito – un programma assurdo di autonomia regionale, disinteressandosi totalmente non soltanto della sua coerenza costituzionale, ma anche e soprattutto della sua realizzabilità. Tutto sulla carta.
Quindi il presidente non è gravato, appesantito da grandi progetti, sempre faticosi da realizzare, dà una mano garbatamente, può frequentare tutte le occasioni di ritrovo, inaugurazioni, e soprattutto sagre.

Basta questo per spiegare tutto? Certo spiega molto la provenienza della persona – che poi ha studiato, si è laureato – da una famiglia contadina ma anche artigiana: conoscenza profonda dello strato medio basso della popolazione, della loro lettura dell’ambiente circostante e delle strutture sociali e pubbliche. Ne è derivato un consenso “ideologico”, un idem sentire pro regione e pro territorio, che genera riconoscimento e fiducia.
Quello che noi consideriamo immobilismo, centralismo regionale e clientelismo, appare loro come vicinanza e sostegno.
Ma è tutto e necessariamente così?

Il Veneto è anche luogo di produzioni di eccellenza, e non soltanto agricole e agroindustriali. Possibile che non interessi la carenza di infrastrutture, l’inquinamento dell’aria, la fragilità del suolo, l’assenza di investimenti nei trasporti, nell’economia circolare, nelle fonti energetiche, nel risanamento ambientale?
Ai giovani interessa di certo, dato che se ne vanno (nel periodo 2009-2018 hanno lasciato la regione 23.300 giovani dai 15 ai 34 anni) alla ricerca di percorsi professionali più gratificanti, ma noi crediamo che ci sia un’importante parte dei veneti che non s’accontenta dello statu quo. Se finora molto dello sviluppo del Veneto è stato “fai da te”, ora per continuare a crescere occorre creare le condizioni che ci colleghino con le parti più innovative dell’Europa; occorre una buona e lungimirante politica. L’amministrazione non basta.
(nota) Nelle elezioni del 2015 Zaia è stato eletto con il 50,08 per cento del 57,15 che si è recato alle urne.

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