Rigenerazione urbana. Un’occasione per imparare ad abitare

ALBERTO MADRICARDO
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In discussione in questi giorni in parlamento c’è la questione della rigenerazione urbana, che si vorrebbe affrontare con il varo del decreto legge sulle semplificazioni. Ma per quanto ne posso sapere è posta in modo del tutto riduttivo, come se si trattasse solo di mantenere o allentare le norme che regolano gli interventi edilizi. Pare che si siano creati due fronti e un acceso contrasto tra loro. Da una parte i sostenitori della conservazione, dall’altra quelli, ANCE (l’associazione dei costruttori) in testa, che vorrebbero mani libere negli interventi di ristrutturazione del nostro patrimonio edilizio. 

La richiesta, come dice il presidente dell’associazione suddetta, Gabriele Buia in una dichiarazione riportata dal Sole 24 Ore del 1 settembre, è di avere la possibilità di

demolire edifici in disuso privi di valore storico-artistico, dando nuova vita a zone dismesse e insicure: la tutela dei centri storici che sta a cuore a tutti non si ottiene moltiplicando vincoli che di fatto bloccano ogni iniziativa di recupero e di trasformazione urbana.

La discussione sulla rigenerazione urbana riguarda uno degli assi fondamentali della strategia che dovrebbe iniziare, anche grazie all’impiego dei cospicui fondi europei, per rimettere in moto il paese su un binario nuovo, dopo la profondissima crisi provocata dalla pandemia.

È come se avessimo l’occasione di ridisegnare l’Italia dalle sue fondamenta, importante è perciò che la discussione sulle scelte strategiche, e quella della rigenerazione urbana è certo tra esse, avvenga liberamente, a partire dai principi, e non sia soffocata dall’angustia delle visioni e dagli interessi di lobby e categorie. Un conto è l’urgenza di puntellare – com’è necessario e giusto – la casa che minaccia di crollare, un altro è intervenire sulle cause che l’anno condotta vicinissimo al crollo. 

Dobbiamo essere consapevoli che questo è il momento in cui, per uno strano e imprevedibile convergere di situazioni ed eventi, ci è data l’occasione di rifondare il paese. 

Se vincesse ancora la logica del mero puntello dell’esistente, non faremmo altro che confermare quello che eravamo prima della cesura della pandemia: un paese rabbioso e ormai quasi rassegnato al suo declino.

Ma bisogna saper mettere in campo le cose nel modo giusto. E allora, riguardo alla questione della rigenerazione urbana, bisogna avere il coraggio di dire che essa rimanda a quella più originaria dell’abitare. 

Il nostro abitare deve urgentemente riformare se stesso, ridefinirsi nei suoi principi e nelle sue pratiche, altrimenti non potremo evitare, anche a breve, già oggi, conseguenze catastrofiche per tutti noi: il nuovo mondo che noi stessi abbiamo creato sembra rivoltarcisi contro. 

L’abitare è il nostro stare nel mondo, la nostra azione più totale. In esso comprende tutte le nostre azioni e tutti i loro effetti, diretti e indiretti, volontari e involontari. Tutto quello che facciamo e anche quello che non facciamo: le nostre omissioni. 

L’abitare, con tutte le sue manifestazioni, con tutti i suoi risvolti, è la nostra impronta. Questa, l’impronta ed effetto d’insieme del nostro abitare, si può chiamare “aura del luogo”. 

Pur essendo da noi prodotta, per questa complessità d’effetto, l’aura del luogo non è mai riflesso diretto delle nostre intenzioni. Ha una sua esistenza autonoma, come l’impronta dal piede che l’ha lasciata. Che ce ne rendiamo conto o no, essa avvolge e condiziona il nostro stato d’animo e le nostre azioni. 

Se si vuole aiutare la gente a imparare ad abitare, bisogna sensibilizzarla a cogliere l’aura in cui vive: le presenze, ma anche le assenze che in essa agiscono.   

La rigenerazione urbana nasce dall’interno, dalla sensibilizzazione sociale dell’importanza dell’aura ambientale per la qualità delle nostre vite. Ma anche – data la differenza tra l’agire che si concentra su un oggetto particolare e l’agire “ambientale” – dell’impossibilità di portarla direttamente alla condizione che vogliamo, come facciamo quando plasmiamo la creta. In questo caso vediamo direttamente l’effetto del nostro agire. Nell’agire ambientale (e l’abitare è questo) questo riconoscimento diretto dell’effetto dell‘agire raramente è possibile.  

La consapevolezza della discrepanza tra agire e le conseguenze ambientali dell’azione, è il principio etico dell’abitare. Il suo apprendimento, la sua elaborazione sociale, deve essere il fine di ogni progetto di rigenerazione. 

Non ci può essere rigenerazione urbana se viene attuata solo con interventi esteriori, sugli oggetti, sulle “pietre”. Certo ci deve essere anche questo, ma non basta: gli interventi sulle pietre devono essere inquadrati, appunto, in un progetto di apprendimento sociale dell’aura. L’educazione all’aura e educazione all’abitare sono la stessa cosa: senza di essa ogni rigenerazione urbana è impossibile. 

Un progetto di rigenerazione urbana deve presentare quindi due lati interconnessi: l’intervento fisico sulla città fisica deve andare di pari passo con l’attivazione, nei suoi cittadini, della maggior consapevolezza possibile dei suoi effetti d’insieme. 

Deve essere perciò anche – in primo luogo, anzi direi – un progetto culturale finalizzato ad aiutare i cittadini a comprendere che cosa vuol dire abitare oggi. Non in un tempo qualsiasi ma, appunto, oggi: nel tempo in cui, per aver superato i limiti impostile dal suo ambiente, l’umanità intera non sa più abitare ed è per questo in estremo pericolo. Sempre più numerosi sono gli effetti boomerang che il suo abitare inconsapevole sta producendo. 

Attualmente, i centri e le periferie sono entrambi spazi astratti, alienati. Nei centri avvengono cose apparentemente centrali, ma non riguardano i cittadini (ne sono stati espulsi): sono rivolte altrove, a creare immagini attrattive per l’altrove. Perciò non sono realmente centrali, bensì anch’essi marginali. 

Le periferie sono luoghi in cui i cittadini ci sono, ma hanno tra loro relazioni povere, di scarsa qualità e frustrate. Eppure sono queste – e non i centri – la verità della nostra condizione.  

Si tratta di riportare i cittadini nei centri e la centralità nelle periferie. Centrali realmente sono i luoghi in cui i cittadini ci sono e sviluppano tra loro un progetto di cittadinanza, cioè si educano insieme a cogliere l’aura del luogo che abitano. 

L’impresa è certo difficile, ma per inquadrarla correttamente bisogna partire dal riconoscimento del nesso inscindibile tra realtà fisica del luogo e la qualità delle relazioni interumane che in esso si attuano. 

Come la devastazione del territorio va di pari passo con la disgregazione delle relazioni sociali tra chi lo abita, così l’intervento risanatore sull’uno non può non andare di pari passo con la rigenerazione della qualità delle altre. Perciò vanno elaborati progetti bifronti, che sincronizzano la rigenerazione fisica del luogo con quella relazionale della cittadinanza che la abita, ma che anche prevedano accuratamente una stretta interazione, passo dopo passo, di questi due lati tra loro.  

Questo è possibile in primo luogo comprendendo nei progetti di rigenerazione l’informazione e la partecipazione delle comunità locali – secondo le modalità della cittadinanza attiva – alle decisioni sul riassetto urbano.  

Ma, di più, proprio dalla discussione di questo, si potrebbero attivare, creando con ciò un baricentro comune di memoria, riflessioni sulle scelte passate, una consapevolezza condivisa dei pensieri sbagliati e delle pratiche aberranti che stanno alla loro base.

La riflessione sociale sull’abitare potrebbe essere stimolata dalla diffusione tra le popolazioni locali di mappe concettuali che consentano loro di valutare la qualità dell’ambiente e di sentirsi protagoniste della città in cui vivono. 

Proprio per la sua complessità, tutti i linguaggi devono essere chiamati a cooperare a questa impresa. Ogni linguaggio è infatti in grado di afferrare e di riflettere a suo modo l’aura di un luogo. Tutto questo dovrebbe essere contenuto dai progetti. Dovrebbero essere previste le sue tappe, via via monitorate.

Alla fine potremmo avere luoghi e città veramente rigenerati, restaurati, come si dice, “nel corpo e nell’anima”: si può fare. 

Rigenerazione urbana. Un’occasione per imparare ad abitare ultima modifica: 2020-09-04T17:03:25+02:00 da ALBERTO MADRICARDO
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