L’urbanistica è oggetto di molte definizioni alcune delle quali riescono a dare un’idea di cosa significhi fare urbanistica e quali siano scopi e natura di questa disciplina. Senza volere qui tentare nuove definizioni, possiamo convenire che l’urbanistica è un’attività volta a progettare e governare le strategie e le modalità di sviluppo di un organismo urbano e del suo territorio di riferimento, avvalendosi del contributo di una pluralità di discipline e del concorso di molti e diversi attori: politici, economici culturali e sociali.
Possiamo anche convenire che i risultati di questa attività sono volti a garantire gli interessi dell’intera collettività: nessuna attività svolta da un’amministrazione ha paragonabili caratteri di universalità e, per questo, forse altrettanta necessità di trasparenza e di un’etica forte nella sua conduzione.
La procedura di approvazione degli strumenti urbanistici, che comprende la pubblicazione degli atti e l’osservazione da parte di tutti i cittadini, a cui è obbligatorio rispondere prima della definitiva approvazione, è la più chiara assunzione e la conferma per legge di queste caratteristiche.
Questi sono anche i motivi che rendono la realizzazione delle politiche urbanistiche un’attività complessa e spesso conflittuale, che diventa a volte oggetto di aspri dibattiti che coinvolgono la comunità cittadina, e che deve necessariamente sfociare in scelte trasparenti e condivise: nella consapevolezza che tali scelte possono essere continuamente verificate e sottoposte a modifica o a revoca.
È più o meno questo che è accaduto anche nella nostra città negli anni in cui “si faceva urbanistica”, quando venivano cioè elaborati quei piani – strategici, regolatori e attuativi – che, bene o male, conformano ancora oggi le trasformazioni possibili a Venezia, pur in presenza di tentativi di pesanti stravolgimenti fortunatamente spesso abortiti, e pur in mancanza di adeguati aggiornamenti per l’indebolimento progressivo di questo tipo di attività. Aggiornamenti che sarebbero stati necessari soprattutto a seguito dell’esplosione del fenomeno turistico (da nove milioni alla fine del secolo scorso a trenta milioni di presenze oggi) e delle due grandi crisi dei nostri tempi: quella economica strutturale avviata nel 2008 e quella sanitaria, economica e culturale, determinata dalla pandemia di Covid-19.
Oggi a cose drasticamente cambiate, è arrivato alle estreme conseguenze il processo di distruzione di un corretto modo di fare urbanistica: processo avviato da qualche anno, da quando cioè a procedure trasparenti e condivise si sono sostituiti accordi opachi o estemporanei.
La storia delle più o meno recenti “scelte” urbanistiche veneziane sta a dimostrarlo: dall’invenzione, vera e propria truffa mediatica, del megavaso da fiori di Cardin, ridicolo esteticamente, insostenibile economicamente e distruttivo dal punto di vista urbanistico; ai tentativi di spostare le centralità urbane con le varie cittadelle di Tessera; ai tentativi di lottizzazioni speculative ai Pili dove i piani prevedono verde e servizi pubblici; al nuovo garage a piazzale Roma, scandalo silenzioso, che distorce profondamente il disegno di mobilità discusso, approvato e vigente per legge, che impone di bloccare il traffico improprio ai terminal di Fusina e Tessera e di mitigare i pesi di traffico su piazzale Roma; ai compound per turisti low cost della stazione di Mestre e così via.

Tutte scelte, queste, fatte o tentate attraverso decisioni contrattate al di fuori di qualsiasi serio dibattito urbanistico e di qualsiasi considerazione degli effetti complessivi sugli assetti urbani, insomma al di fuori di qualsiasi decente procedura urbanistica.
L’indebolirsi, fino alla sostanziale pratica scomparsa, dei partiti e delle organizzazioni politiche e della dialettica che queste garantivano, e il progressivo venir meno di un vero dibattito allargato ai diversi strati della società veneziana sui destini di Venezia, per l’affievolirsi del corpo sociale stesso della città, hanno costituito segnali e cause di tale processo. E qui bisognerebbe aprire una lunga parentesi o rimandare ad analisi più approfondite.
Infine, dopo il crollo per i noti imbarazzanti motivi, dell’ultima giunta di centrosinistra, è subentrata una giunta priva di qualsiasi idea generale e di qualsiasi programma organico sulla città, che ha fatto della distruzione dell’urbanistica, sostituita con pratiche al limite della legalità e certamente fuori da ogni riferimento culturale, il proprio modo di procedere.
Un personale politico, a partire dall’assessore all’urbanistica, privo di qualsiasi cultura o esperienza della materia (tanto per esemplificare, ha affermato che la concentrazione di alberghi a Mestre voluta da questa giunta mitigherebbe il turismo a Venezia) che si caratterizza per non avere mai espresso un’idea sulla città e che si comporta di conseguenza; una maggioranza nel Consiglio comunale asservita; un’opposizione praticamente silente; le forme di decentramento amministrativo deprivate di qualsiasi potere: tutto ciò ha consentito al sindaco di dispiegare pienamente la propria visione e pratica populista e padronale senza nessuna forma di limitazione e controllo.
La conseguenza è stata una pratica urbanistica volta a una visione puramente mercantilistica dell’uso del territorio e delle trasformazioni urbane invece che a garantire gli interessi dell’intera collettività.
Faccio quattro esempi.
1Mentre si facevano i ridicoli e soprattutto inutili tornelli a piazzale Roma e i concerti di massa a piazza San Marco, si autorizzava una concentrazione di caserme per pendolari (circa due milioni all’anno di pendolari su Venezia in più) senza nessuna qualità né urbana né architettonica alla stazione di Mestre, chiamandola riqualificazione urbana.
2Mentre si dichiarava il blocco delle trasformazioni d’uso, veniva fatta una delibera sui “cambi d’uso” a Venezia priva di incidenza sull’utilizzo turistico degli appartamenti che continueranno ad essere sottratti a funzioni residenziali senza bisogno di alcun cambio d’uso, ma volta a raggiungere obiettivi opposti a quelli dichiarati.
Infatti mentre le norme urbanistiche consentivano solo ad alcune tipologie edilizie (che non arrivano a riguardare il 20 per cento del patrimonio edilizio veneziano) di essere trasformate in albergo, quelle che per la loro dimensione (grandi palazzi) o per la loro configurazione (conventi, caserme) difficilmente potrebbero essere utilizzate per l’edilizia abitativa, la delibera approvata elimina tale vincolo consentendo le trasformazioni d’uso in tutti i casi in cui “si ravvisi il pubblico interesse”, mettendo nelle mani della contrattazione tra il comune e i privati ogni nuova attrezzatura alberghiera: e abbiamo visto l’uso che ne è stato fatto.
E infatti mai tante stanze di albergo sono state progettate o realizzate come negli ultimi cinque anni: il compound di Mestre, destinato ad aumentare con nuovi interventi; l’hotel di cinquecento stanze al Tronchetto (che era nato per essere il luogo di interscambio merci e persone per Venezia); la trasformazione in alberghi dei gasometri (che i piani destinavano a servizi pubblici); la trasformazione alberghiera dell’ex Orto Botanico a Santa Lucia (destinato dai piani a residenza e servizi); oltre a una miriade di interventi sparsi concessi per “interesse pubblico” come la trasformazione di appartamenti di proprietà di una consigliera di maggioranza in strutture ricettive.
3Naturalmente il vertice di questo modo di fare urbanistica rischia di essere raggiunto nell’interesse diretto del sindaco. E qui bisogna spendere qualche parola di più. Il Piano regolatore, vale a dire l’ultimo strumento urbanistico, elaborato, discusso nelle commissioni consiliari e nei quartieri, adottato, pubblicato, osservato dai cittadini, controdedotto, riapprovato in Consiglio comunale, confermato con le intese tra gli organismi pubblici (soprintendenza, CdS, ecc.) e infine definitivamente approvato dalla Regione, il tutto tra il 1995 e il 2001, prevedeva per i Pili un parco pubblico in continuità con il parco di San Giuliano. Il Piano prevedeva inoltre che tutto il traffico improprio (cioè quello prevalentemente turistico e non connesso agli spostamenti urbani) venisse intercettato a Tessera e a Fusina liberando la rete urbana e soprattutto il ponte della Libertà.
L’area dei Pili è un’area verde alla radice del ponte della Libertà, che si affaccia verso Venezia sulla laguna, proteggendola in parte dalle aree industriali. Non è mai stata oggetto di edificazioni ed è fortemente inquinata. Si tratta di un’area di particolare importanza sia per la sua collocazione, sia in quanto area libera in un contesto ambientalmente compromesso dagli insediamenti industriali. Per questo motivo a partire dal progetto Di Mambro vincitore del concorso del Parco di San Giuliano che prevedeva per quell’area una estensione del parco e la realizzazione di un acquario; poi con il PRG della terraferma che destinava l’area a “verde urbano attrezzato”; infine con il PAT che prevede per i Pili “attività di servizio pubblico o di uso pubblico con funzioni di verde urbano attrezzato…”, tutto quanto deciso negli ultimi venti anni destinava l’area dei Pili a funzioni pubbliche, con interventi che “non comportino alterazioni dell’equilibrio ambientale (PAT)”, e ad arricchire e integrare il sistema di verde urbano e di protezione della laguna.
Il sindaco di Venezia, che per tutta la durata del suo mandato dovrebbe rigidamente astenersi dal fare alcunché che possa gettare un’ombra sul suo operato e, sopratutto, dovrebbe stare lontano da ogni operazione economica che riguardasse nello stesso tempo lui e il comune che amministra, ha deciso di fare di quell’area l’oggetto della più colossale speculazione immobiliare nel comune di Venezia degli ultimi decenni. E l’ha dichiarato come programma per la prossima amministrazione, se verrà eletto.
Insieme al suo palazzo dello sport per fare giocare la sua squadra di basket, sono previsti uno o più grandi alberghi, centri commerciali, ville private, un terminal, darsene. E tutto ciò dovrebbe essere approvato dal Consiglio comunale.
Il conflitto di interessi e, di più, l’illegittimità stessa di questo comportamento e delle procedure adottate è talmente palese che può essere giustificata solo dalla totale mancanza di un’etica elementare da parte di chi ci amministra e di chi si presta professionalmente a operazioni del genere e dalla cecità o dall’ignoranza di chi le sostiene pubblicamente.
In questo caso la mancanza di un dibattito pubblico e allargato sulla decisione di stravolgere le scelte urbanistiche fatte negli anni dalla città, occupando con destinazioni di carattere alberghiero, residenziale e commerciale aree libere sulla laguna, portando nuovi importanti flussi turistici, addirittura un nuovo terminal turistico, a ridosso del centro storico, e altro ancora, passa addirittura in secondo ordine rispetto al vulnus della manipolazione di regole e leggi a esclusivo vantaggio privato: e di chi ci governa.
Queste procedure negli anni Ottanta venivano praticate da Ligresti e soci (tutti finiti regolarmente in galera) quando si facevano cambiare le aree a verde pubblico di Milano in centri direzionali dopo averle acquistate. Ma in quel caso almeno politici e funzionari del comune erano pagati per avere i necessari cambi d’uso. Nel nostro caso non c’è neppure questo problema perché i piani se li approva direttamente chi avrà i vantaggi economici dell’operazione.
4Infine, a Venezia le scelte sul territorio non vengono più fatte sulla base di una visione condivisa della città e sulle strategie e azioni da mettere in campo per conseguirla, ma sulla base delle proposte dei cittadini, ognuno dei quali non può che avere legittimamente di mira il proprio personale interesse, a cui l’amministrazione ha chiesto di fare pervenire proposte di intervento.
Di queste proposte un certo numero sono state ritenute meritevoli di accettazione, altre sono state recepite come semplici idee, altre ancora sono state respinte.
Dove, da chi, secondo quali criteri tutto ciò è avvenuto?
Si tratta di un’invenzione talmente opaca, dietro la facciata di una grande apertura democratica e partecipativa, e di un’invenzione destinata a modificare così radicalmente ogni pratica urbanistica, che mancano qui, per difetto di conoscenza specifica di come si sono svolte le cose, gli strumenti per giudicarla a fondo.

In conclusione si può affermare che l’urbanistica veneziana è diventata uno straordinario mercato delle vacche che vedrà certamente guadagnare di più chi ha più vacche da vendere o da scambiare. D’altra parte è questa la filosofia di chi regge la città. Il supremo interesse pubblico è la riduzione della città a merce e la sua vendita a chi offre di più. Per chi non ha tanti soldi bastano tre euro per entrare e vedere.
È a questo punto inutile fare rilevare come la cultura urbanistica di questa amministrazione sia completamente e beatamente all’oscuro di tutto quanto si ragiona intorno alle vere ragioni dell’autentica crisi delle esperienze di governo del territorio degli ultimi anni. Di quali siano le ricadute sulla città e anche sulla nostra città, del periodo di prolungata stagnazione che attraversa il paese. Del fatto di trovarci entro un ciclo urbano di lungo periodo a bassa intensità. Di quali politiche possano essere messe in campo a livello generale e nello specifico veneziano per affrontare queste e altre tematiche.
Ed è soprattutto sideralmente lontana da quanto si va dicendo sul nuovo ruolo delle città nell’epoca post-Covid e sulla necessità di modificare strutturalmente le streghe economiche e culturali di Venezia seguite alla fine di un modello di sviluppo tutto incentrato sul turismo.
Concludendo.
La ripresa di una corretta pratica urbanistica nella nostra città passa da molti fattori: culturali, disciplinari, metodologici, politici e così via.
Certamente passa anche dall’aver ben chiare alcune specificità della città che debbono e possono essere utilizzate come leve potenti per impedire che Venezia venga travolta, come sta accadendo, dagli effetti perversi della globalizzazione, e che anzi da questa possa trarre i vantaggi che il suo ruolo internazionale, storico e attuale, può procuragli.
Le specificità di cui parliamo sono l’eccellenza del suo patrimonio e le potenzialità degli assetti culturali che la città è in grado di generare; il suo sistema ambientale e la secolare capacità di Venezia di gestire gli equilibri ambientali; l’enorme attrattività turistica che significa avere un ruolo preminente all’interno del settore economico in maggiore espansione nel mondo.
Intorno alle politiche che la città saprà costruire su questi temi si gioca il futuro della città e vanno costruite le strategie urbane conseguenti.

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