Italia, un paese svuotato

Gli ultimi dati Istat disegnano un paesaggio demografico che si va desertificando, con vaste aree disabitate, soprattutto all’interno appenninico.
VITTORIO FILIPPI
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Partiamo da un semplice dato appena fornito dall’Istat e riferito ai primi due mesi di quest’anno (il coronavirus quindi non c’entra): nel primo bimestre l’Italia si riduce di 46mila abitanti, seguendo una contrazione – chiamiamolo spopolamento – che corre ormai ininterrottamente da sei anni. Per cui dal 2015 a oggi l’Italia s’è “alleggerita” di circa 600mila abitanti. Per il futuro, cioè per la fine di questo secolo, le previsioni sembrano disegnare un’incredibile Italia composta solo da trenta o quaranta milioni di abitanti (contro i sessanta attuali), i numeri che si ebbero ai primi del Novecento (quando però al regno d’Italia mancavano Trento e Trieste). In pratica si sta configurando un paese svuotato, con vaste aree disabitate, soprattutto all’interno appenninico.

Il perché è tecnicamente semplice: il paese perde abitanti a causa di “entrate” demografiche (nascite e immigrati) inferiori alle “uscite” (morti ed emigrazioni). Il discorso sullo spopolamento non è recente, trova origine nella grave sconfitta francese di Sedan (1870) imputata alla natalità decrescente fin dai tempi della Rivoluzione. Da quel momento in Francia la parola spopolamento (dépopulation) entrò con vivacità nel dibattito e nelle ricerche e si intrecciò con il nazionalismo (così fu anche nell’Italia fascista, in cui per vincere sembrava sufficiente la “foresta di otto milioni di baionette bene affilate e impugnate da giovani intrepidi e forti”) e con il femminismo. Ma rimane anche, un secolo e mezzo dopo, l’eredità positiva del valore sociale che nella sensibilità francese viene dato ai figli, con conseguenti politiche di sostegno alla natalità (il tasso di fecondità è qui il più alto d’Europa).

In realtà, il discorso sullo spopolamento italiano – che potrebbe far contrarre drasticamente gli abitanti di un terzo se non del cinquanta per cento rispetto al livello attuale – non solo tocca la corda emotiva della paura dell’estinzione, ma già oggi nasconde squilibri profondi dovuti all’insostenibile divario tra denatalità ed invecchiamento.

Sono ormai numerosi i dati che quantificano tale squilibrio: a esempio oggi abbiamo 33 ultrasessantacinquenni ogni cento soggetti in età attiva: tra trenta o quarant’anni questo numero raddoppierà e quindi raddoppierà anche il peso delle pensioni sul prodotto interno lordo, con soluzioni che in qualche modo andranno trovate e che difficilmente saranno indolori. Già oggi, fa sapere l’Ufficio studi della Confartigianato di Mestre, il numero delle pensioni (non dei pensionati) erogate in Italia ha superato quello degli occupati. È una situazione facilitata dalla pandemia che ha ridotto gli occupati e dall’introduzione della “quota cento”; ma è anche la profonda traiettoria demografica e previdenziale su cui ormai sta correndo il paese.

L’Italia non è certo sola nel suo depopolamento: i paesi che perdono abitanti sono già più di venti; a metà secolo saranno oltre trentacinque. Addirittura è possibile che la popolazione del pianeta raggiunga il suo picco storico di nove miliardi tra il 2040 e il 2060 per poi cominciare a flettere, dopo una corsa millenaria acceleratasi con la rivoluzione industriale. Scrivono Darrell Bricker e John Ibbitson, gli autori canadesi del Pianeta vuoto (add editore, 2020):

In passato sono state le carestie e le epidemie a decimare il genere umano. Ora lo facciamo da soli: stiamo decidendo consapevolmente di ridurre il nostro numero. Sarà una scelta permanente? Forse sì. Sebbene in certi casi i governi siano stati in grado di aumentare il numero dei figli che le coppie sono disposte a fare attraverso generosi aiuti alle famiglie e altri incentivi, non sono mai riusciti a riportare la fecondità alla soglia di sostituzione generazionale: 2,1 figli per donna. Queste misure sono inoltre assai dispendiose e tendono a subire tagli durante le crisi economiche, senza contare il fatto che uno Stato che tenta di convincere una coppia ad avere un figlio che in altre circostanze non avrebbe avuto può essere ritenuto poco etico. A mano a mano che la popolazione diminuirà, accoglieremo con gioia o con dolore questo calo? Ci sforzeremo di mantenere la crescita o accetteremo serenamente un mondo in cui le persone prospereranno e soffriranno di meno? Non ci è dato saperlo. Ma un poeta potrebbe osservare che, per la prima volta nella storia della nostra specie, “l’umanità si sente vecchia”. 

Insomma sarà la decrescita, di cui paesi come l’Italia sono oggi pionieri. Non sappiamo se sarà una decrescita felice o infelice. Potrà avere aspetti positivi come il minor impatto ambientale, ma anche negativi come lo squilibrio generazionale citato (con tutto ciò che comporta, ed è molto). Dire che il problema sono gli anziani, come banalmente si fa, significa non aver capito che invece il vero problema è quello delle nascite, o meglio delle non nascite. È la denatalità (il cosiddetto baby bust) che fa diventare un problema gli anziani, spopola lo Stivale – soprattutto nel Mezzogiorno – e rischia di rendere la demografia una vera e propria “scienza della miseria” (per usare l’immagine del giovane Marx del 1844: ma lui si riferiva all’economia politica).

Italia, un paese svuotato ultima modifica: 2020-09-07T20:07:11+02:00 da VITTORIO FILIPPI
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