Se un rifiutologo s’aggira per Venezia

Le ragioni di un NO ponderato e articolato all’inceneritore di Fusina e alla prospettiva stessa all’incenerimento. Idee percorribili per una gestione sostenibile dei rifiuti.
MARIO SANTI
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Il viaggiatore che si trova a Venezia per visitarla è certamente ammaliato dalla sua bellezza. E se non viene solo per un selfie con i monumenti sullo sfondo, ma anche per capire la città, può essere anche “stupito”, non sempre positivamente, dal suo funzionamento.
Se è una persona che si occupa di rifiuti, certamente si troverà in una situazione non solo di stupore, ma di sconcerto.
Proviamo, per una po’, a immedesimarci con questo visitatore.

… sto visitando il Veneto, dove mi avevano detto esserci la migliore gestione dei rifiuti in Italia. E finora ho potuto ammirare la grandiosità delle sue montagne, la dolcezza delle sue colline, la vivace ospitalità del suo mare. Ma ho anche potuto vedere che in tutti questi bellissimi posti la raccolta differenzia è quasi sempre su buoni livelli, la produzione dei rifiuti è più bassa che nel resto del paese, in particolare lo è quella di quei rifiuti indifferenziati che chiamiamo “residui” perché, a differenza di quelli riutilizzabili o da avviare al riciclaggio, siamo costretti a “smaltirli”.

E ora eccomi a Venezia. La meta del mio viaggio.
La città e la sua bellezza mi hanno incantato.
Cammino per calli, campi e campielli, mi pare quasi di essere in un sogno.
Poi vedo qualche sacchetto a terra (è presto, l’operatore non è ancora passato) e questo mi riporta al mio mestiere di “rifiutologo”.

“Bene anche qui hanno il porta a porta” – è il mio primo soddisfatto pensiero. Seguito però da giudizi meno positivi a una osservazione più attenta.

I sacchetti sono due. Uno fa intravedere bottiglie di vetro, contenitori di plastica e lattine (ah, fanno il multimateriale). Accanto al primo ce n’è un altro. E un po’ trasparente e si intravedono resti di spazzatura, un pezzo di una tavoletta di legno rotta, una vecchia scarpa bucata (quindi oltre al multimateriale oggi si raccoglie il “residuo” indifferenziato).

Poi vedo qualcosa che mi fa sobbalzare. Come?! Vedo anche ossa e resti di pesce. Certamente questo utente si è sbagliato. Faccio qualche passo e vedo un altro sacchetto col residuo, dove chiaramente si nota la presenza di una cotica e di resti di salumi; poi più avanti un altro con dei resti di verdure e bucce di arancia, e un altro con resti di pasta…

Ma allora è il servizio a essere organizzato così… come può essere? Sono anni che non si vede più l’umido raccolto nel rifiuto indifferenziato…
[Nota: l’osservazione si basa sul fatto che la separazione tra le frazioni secche (meglio se suddivise per destinarle al riciclaggio dei rispettivi materiali) e quella umida e verde (che devono essere destinate al compostaggio) dei rifiuti è il primo elemento sui cui si basa la raccolta dei rifiuti. Una separazione di base che viene prima delle scelta se impostare le raccolte su base stradale (per cui il rifiuti va in contenitori) o domiciliari (per cui il rifiuto viene esposto – in sacchi o bidoncini riutilizzabili – sulla porta di casa).]

Raccolta differenziata a Venezia. Foto da Metropolitano su Twitter.

Stacco.
Il nostro rifiutologo è curioso e vuole capire di più.

Tornato in albergo fa un rapido giro in rete e scopre cose che aumentano il suo sconcerto per una gestione dei rifiuti dove gli elementi di arretratezza, se non addirittura involuzione, prevalgono su qualche dato positivo.

Vede che il servizio di raccolta nella Venezia insulare è effettivamente porta a porta, mentre nelle città di terra e al Lido (dove cioè passano i camion) tutte le frazioni (differenziate e non) sono conferite in contenitori stradali (anche di grandi dimensioni). Dove il servizio è su gomma si raccoglie anche l’umido (con bidoni stradali). È solo a Venezia che umido (e verde privato) finiscono con l’indifferenziato.

Il rifiutologo non può trattenere un moto di sconcerto quando vede che in città storica per ognuna delle due differenziate “secche” (vetro plastica lattine; carta e cartoni) ci sono tre giri di raccolta settimanali e neppure uno per l’umido!

Un’arretratezza sorprendente: da anni ormai la separazione tra le frazioni secche (meglio se suddivise per destinarle al riciclaggio dei rispettivi materiali) e quella umida e verde (che devono essere destinate al compostaggio) è il primo passo per organizzare basa la raccolta e la gestione dei rifiuti. Una separazione di base che viene ancora prima delle scelte se impostare le raccolte in modo “stradale” (per cui i rifiuti vanno nei contenitori posti sulla pubblica via) o domiciliare (per cui il rifiuto viene esposto, in sacchi o bidoncini riutilizzabili, sulla porta di casa).

Lo sconcerto deriva dal fatto che non può proprio capire il motivo per cui si va tre volte la settimana a casa delle gente e chiedere carta (e altrettante vetro, plastica e lattine). Sa per esperienza che una volta sarebbe più che sufficiente per le famiglie.

Ancora più inspiegabile gli risulta che si spinga a mettere l’umido con il residuo (una bestemmia per chiunque organizza un circuito di raccolta).

E pure come movimentazione di uomini e barche ci mette poco a pensare che la prima cosa che farebbe sarebbe sostituire i sei giri di raccolta settimanali delle barche che raccolgono sei volte a settimana il “residuo” e insieme le “differenziate” – tre volte vetro, plastica e lattine e tre volte carta e cartoni…

Sa bene che in una settimana bastano: un solo passaggio (due a farla grande) per il “residuo”, uno o due rispettivamente per vetro, plastica e lattine e per carta e cartoni, purché ci sia una raccolta differenziata, e a umido e verde domestico, dimensionabile sui tre (d’estate quattro) passaggi settimanali.

E nota che si potrebbe così mandare le barche, per i periodi nelle quali le si libererebbero rispetto al modello in essere, a raccogliere specifici flussi di rifiuti dai loro grandi produttori: vetro, platica e lattine da bar, alberghi e ristoranti; carta presso gli uffici, pubblici e privati; umido presso ristoranti e mercati; verde presso parchi e giardini.

Lascio il visitatore “rifiutologo” a cui ho affidato l’introduzione e passo ad analizzare cosa non va e come cambiare il sistema Veritas.

Rovesciare l’approccio alla gestione di materia e rifiuti: da “lineare” a “circolare”

Il concetto di economia circolare nasce come evoluzione del modello economico tradizionale dove l’economia opera in un sistema che è lineare, secondo un modello produzione-consumo-smaltimento, chiuso e indipendente dall’ambiente, in quanto basato sulla disponibilità di grandi quantità di materiali ed energia facilmente reperibili e a basso prezzo.

L’economia circolare vede il processo economico come sottosistema aperto dell’ecosistema da cui dipende totalmente per l’approvvigionamento di materia ed energia e come bacino ricettivo per lo scarico degli scarti e delle emissioni.

Un modello economico circolare prende in considerazione tutte le fasi del processo produttivo, dalla progettazione, alla produzione, al consumo, fino alla destinazione fine vita: si vogliono cogliere tutte le opportunità per limitare l’apporto di materia ed energia in ingresso e per minimizzare scarti e perdite. Bisogna cioè porre attenzione alla prevenzione delle esternalità ambientali negative e, insieme, alla realizzazione di nuovo valore sociale e territoriale.

Quella che Veritas ci propone è oggi la risposta “lineare” alla gestione della fase finale del ciclo, quella che dai beni immessi al consumo passa alla loro trasformazione in rifiuti e offre impianti e processi per il loro trattamento e smaltimento.

No a un inceneritore che attenta alla salute, immette nuovo calore in atmosfera e distrugge le risorse contenute nei “rifiuti”

L’attuale amministrazione comunale e Veritas, attraverso la controllata Ecoprogetto propongono (con l’avvallo della Regione) di “finalizzare” la gestione dei rifiuti del bacino veneziano al loro smaltimento in un “nuovo inceneritore” che triplichi le capacità produttive di quello esistente a Fusina.

Questo quando l’evoluzione delle gestione dei rifiuti e della stessa normativa comunitaria e nazionale considerano ormai l’incenerimento un modello vecchio, superato che preclude la strada alla chiusura definitiva del ciclo dei rifiuti. Proprio quando siamo a un passo da poter davvero raggiungere questo obiettivo.

Quella che propongo qui è la risposta “circolare” che va sotto il nome di “rifiuti zero”: prima si riduce la quantità di beni necessari, poi li si mantiene (anche nella fase post consumo) nel ciclo di utilità, prima attraverso il riutilizzo e poi avviandoli al recupero (con il compostaggio e il riciclaggio).

La logica è molto semplice: battere le strade che separano la prevenzione dei rifiuti e la gestione della loro raccolta dal business dello smaltimento.

Il progetto di nuovo inceneritore: tratto da un documento del Coordinamento comitati, firmato da Comitato Opzione Zero, Medicina Democratica, Assemblea contro il rischio chimico Marghera, Malacaigo, Ambiente Venezia, Ecoistituto Alex Langer, Eddyburg, Cobas autorganizzati Comune di Venezia, Laboratorio Venezia, Quartieri in Movimento, Mira 2030, FFF Venezia-Mestre, Forum dell’Aria, Comitato Difesa Ambiente e Territorio Spinea, Marghera libera e pensante, WWF Venezia, Comitato No Grandi Navi, Associazione Valore Ambiente, Associazione APIO onlus, Coordinamento associazioni ambientaliste Mares Mogliano, Associazione nascere meglio Mestre, Casa del Popolo Cà Luisa. 
In opposizione all’ampiamento dell’inceneritore queste associazioni hanno promosso la campagna ANDRÀ TUTTO IN FUMO.

Il progetto presentato da Ecoprogetto prevede 3 FORNI con una potenza complessiva di 67,9 MWt.

Ogni anno, a regime, l’impianto ipotizzato sarà autorizzato a produrre 300.000 tonnellate di rifiuti da incenerire, a partire dalla lavorazione di 450.000 tonnellate di rifiuto secco e altri materiali.

È evidente quindi che per approvvigionarlo bisognerebbe raccogliere rifiuti almeno da tutto il Veneto.

È stata chiesta l’autorizzazione a lavorare 450.000 t/a di secco (evidentemente non tutto del bacino veneziano) per recuperare 100.000 t di legna, 70.000 di carta, plastica, ferro, riciclabili e 258.000 di secco puro da inviare a impianto CSS per ottenere 150.000 t di CSS.       

Da bruciare ci sarebbero questi 150.000 t/a di RU, 100.000 di rifiuti di legno e 34.000 t di fanghi secchi di percolati e fanghi di depuratori (si parte da 90.000 t di fanghi di depuratori e 40.000 t di percolati di discariche (entrambi inquinati da PFAS), per circa 300.000 t.

Di questi ne verrebbero bruciati nelle tre linee solo 120.000 per ora, gli altri verrebbero venduti.

Potrebbero essere emessi fino a cinque miliardi di mc di fumi contenenti polveri sottili e ultra sottili, ossidi di azoto, diossine, PFAS e altre sostanze cancerogene.

Verrebbero scaricati 260.000 m3 di acqua contaminata e smaltite in discariche speciali 70.000 tonnellate di scarti, scorie e ceneri tossiche.

Il Comitato Opzione Zero ha lanciato una campagna per chiedere di fermare la costruzione del nouvo inceneritore.

La risposta sta in una gestione sostenibile e circolare dei rifiuti

Per realizzarla serve muoversi su alcune direttrici convergenti:

1 – Un piano comunale di prevenzione

La gestione dei rifiuti parte dalla loro prevenzione (esempio: se bevo acqua di rubinetto non produco il rifiuto da bottiglie di acqua minerale; se intercetto e distribuisco all’alimentazione sociale le eccedenza alimentari non produco rifiuto organico; e così via…).

Alla prevenzione possiamo integrare la preparazione per il riutilizzo e il riutilizzo di beni, che non vengono così abbandonati e trasformati in rifiuti (es. quando vado a far la spesa con la stessa borsa non accumulo sacchetti da smaltire. Quando aggiusto un elettrodomestico o compro un computer ricondizionato prolungo il ciclo di vita di un bene e ne ritardo la trasformazione in rifiuto).

Il Comune (meglio se l’intero bacino Venezia Ambiente) devono allora darsi un Programma di prevenzione e definire e rafforzare una rete di Centri di preparazione per il riutilizzo, magari abbinati ai centri per la raccolta differenziata.

Vanno identificati “contesti” nei quali intervenire: casa, ufficio, supermercato, mensa, sagra, albergo. In questo contesti (e in altri) vanno identificate le azioni che portano a prevenire o ridurre il rifiuto potenzialmente generato da specifici flussi di materia/rifiuto.
Si può partire dai flussi di maggiore peso per immaginare azioni da inserire nel programma, progettarle e stimarne gli effetti di riduzione del rifiuto.

In una situazione ad alta incidenza turistica l’intercettazione delle eccedenze alimentari prodotte presso ristoranti, mense, grande distribuzione organizzata, panifici e alimentari toglie umido dallo smaltimento e lo distribuisce alla fasce deboli.

In una città ad alta concentrazione terziaria e direzionale tutte le misure di prevenzione del rifiuto da ufficio si impongono.

2 – La domiciliarizzazione (porta e porta) della raccolta, a partire da quella dell’organico.

In tutto il Comune di Venezia va introdotta la raccolta porta a porta per tutte le frazioni dei rifiuti, con metodi e mezzi adeguati ai diversi contesti (d’acqua e di terra).

Quindi, in sintesi:

  1. introdurre la raccolta differenziata dell’umido in Città Storica e dovunque mancasse;
  2. domiciliarizzazione delle raccolte generalizzata;
  3. introduzione di un sistema di misurazione dei rifiuti prodotti da ogni singola utenza (in partenza: almeno residuo, poi umido e verde);
  4. definizione di una rete territoriale di eco stazioni, in cui avere centri per raccolta differenziata, e a essi contigui centri per la preparazione per il riutilizzo e il riutilizzo.

Il rinnovo dell’affidamento (che avverrà con l’elezione del nuovo consiglio comunale) in modo intrecciato alla conclusione del ciclo di ammortamento degli investimenti in contenitori e mezzi oggi in uso.

Ecco il momento buono per introdurre nuovi sistemi di raccolta, che implementino sistemi di misurazione del rifiuto conferito dalle singole utenze (almeno per le frazioni sul conferimento dalle quali applicare la tariffa puntuale).

3 – L’introduzione della tariffa puntuale

Far pagare la parte variabile della tariffa in proporzione al rifiuto prodotto (all’inizio al residuo indifferenziato, più avanti magari anche al rifiuto umido) si è rivelato il modo migliore per contenere la produzione di rifiuti e per avviarli al riciclaggio. Oggi sono pienamente mature ed economiche tutte le tecnologie (applicate ai sistemi di raccolta) e i processi che consentono misurazione, attribuzione all’utenza e trasmissione dei dati al sistema di elaborazione e riscossione della tariffa.

4 – L’utilizzo dell’impiantistica di Fusina per re-internalizzare il compostaggio industriale e smaltire il solo rifiuto indifferenziato prodotto dal bacino, escludendo di importarne dall’esterno.

Se si contesta l’inceneritore di Fusina non è solo per i suoi effetti perversi sul piano della salute (ben sottolineati dagli appelli dei pediatri) e del cambiamento climatico (si continuano a proporre emissioni climalteranti, dopo la tempesta Vaia del 2018 e l’aqua granda 2.0 del 2019!) ma anche per i limiti nella gestione dei rifiuti, che porta a produrre più di 150.000 tonnellate annue (dati ArpaV 2018) di rifiuti residui, da destinare cioè allo smaltimento.

Allora perché il rifiuto umido (da raccogliere di più e meglio) non viene trattato a Fusina, con processo accelerato nelle biocelle, cui far seguire la maturazione definitiva, come era nei progetti originali? Perché si ricorre a impianti di compostaggio esterni, guarda caso di proprietà di un privato entrato pesantemente nella gestione di Ecoprogetto?

Nella nuova amministrazione di Veritas e delle partecipate l’eliminazione di ogni conflitto di interessi dovrà essere un punto fondante.

Veritas fa notare che il combustibile solido secondario (CSS) oggi prodotto dall’impianto non potrà più essere destinato all’inceneritore gestito da Enel, perché quest’ultima dal 2021 non potrà più accettarlo.

Ma la soluzione potrebbe essere – una volta ridotta la frazione umida e il rifiuto indifferenziato da avviare a smaltimento – trattarlo come oggi nel forno 1 dell’impianto Ecoprogetto esistente (senza inutili ampliamenti) o smaltire questa minore quantità di residuo in discarica.

Il progetto del nuovo inceneritore è nocivo, alternativo a qualsiasi strategia di contenimento del cambiamento climatico e antitetico a una gestione sostenibile dei rifiuti.

È invece funzionale a chi lo vive come occasione di business, peraltro non del tutto trasparente.

Rovesciare la gestione di Veritas è un ineludibile punto di partenza: cambiare amministratori e cambiare dirigenza per renderne sostenibile la cultura d’impresa

Ma c’è un punto ineludibile per poter praticare l’alternativa all’ampliamento dell’impianto di incenerimento di Fusina e consentire il miglioramento dell’impatto ambientale e il contenimento dei costi a carico delle comunità.

In tempi di evidenza sempre più drammatica del cambiamento climatico, Comune di Venezia e Veritas dovrebbero orientarsi verso la strategia “rifiuti zero”: ridurre la quantità di beni necessari e mantenerli finché possibile nel ciclo di utilità (anche nella fase post consumo). Prima attraverso il riutilizzo e poi avviandoli al recupero (con il compostaggio e il riciclaggio).

Utopie? Progetti realizzabili in qualche comune a bassa intensità abitativa, incompatibili con un comune turistico?

Allora perché il Veneto nel suo complesso è la prima regione italiana per percentuale di raccolta differenziata, tra le ultime per produzione di rifiuti e soprattutto di rifiuti indifferenziati? Perché oggi questo modello si applica in molti capoluoghi o in comuni turistici (ad esempio Cortina)?

E perché Comune di Venezia e Veritas, anziché preoccuparsi di recuperare i ritardi rispetto al “modello Veneto” e a pensare di ridurre e riciclare i rifiuti (più di quanto avvenga oggi) si stanno battendo con tutte le loro forze per riuscire a costruire un nuovo inceneritore?

Perché Veritas ci propone ancora una risposta “lineare”, quella che dai beni immessi al consumo passa alla loro trasformazione in rifiuti e offre impianti e processi per il loro trattamento e smaltimento?

Ritengo che in questa situazione ci siano vie di mezzo. Serve un rivoluzionamento della sua cultura di impresa che non può che passare per cambi radicali.

Andrea Razzini è un uomo dalle indubbie capacità professionali (dimostrate fin dal suo impegno col Porto di Venezia e poi in questa gestione “all’antica” di Veritas). Ma è il primo che se ne deve andare, perché non è adatto alla svolta che serve. Ad operarla deve essere chiamata una figura nuova: riconversioni personali di chi propone un inceneritore (in un territorio dove il cambiamento climatico ha parlato forte e chiaro) non appaiono credibili.

Veritas ha bisogno di uno scossone che può arrivare solo da chi sia in grado di portare un corpo di alto livello professionale, ma culturalmente e gestionalmente “sonnolento”, sulla strada della sostenibilità ambientale e della gestione circolare dei rifiuti.

Una via già praticata e neanche tanto lontano da noi.

Ad esempio a Forlì, nella Romagna dove a lungo si era considerata “moderna” una gestione dei rifiuti fatta di aumento del volume dei cassonetti e risparmio sul costo del lavoro utilizzando camion a operatore unico. Dopo l’approvazione della legge regionale sull’economia circolare, il Comune voleva passare a un modello ambientalmente ed economicamente più virtuoso: raccolta porta a porta (con maggior contenuto di lavoro), introduzione della tariffa puntuale e risparmi ottenuti sul trattamento dei rifiuti. Questo perché in questo modo sarebbero aumentate le raccolte differenziate e diminuiti i rifiuti residui indifferenziati da smaltire in discarica o inceneritore.

Ebbene, il Comune non ha fatto altro che chiamare a dirigere la sua azienda Alea ambiente spa il direttore del consorzio Priula (uno dei consorzi virtuosi della Provincia di Treviso). I risultati si sono visti rapidamente e ora il “modello Forlì” (che si ispirava a precedenti esperienze di collaborazione tra gestioni virtuose del Veneto e strutture extra regionali – si veda ad esempio il caso di Fiemme servizi di Trento) sta per così dire facendo scuola.

Bene: importiamolo anche qui.

Il Comune affidi la direzione tecnica e gestionale di Veritas a chi ha maturato esperienze virtuose in aziende che possano vantare risultati ed eccellenze consolidate. Ce n’è tante in Italia, da quelle trevigiane e quelle lombarde e piemontesi e ormai anche quelle toscane e laziali. Bisogna saper scegliere le risorse giuste.

In conclusione, perché la svolta sia netta e sostanziale, leggibile nei programmi e nelle persone, servono tre condizioni per la “nuova Veritas”:

  1. gli indirizzi comunali devono chiedere che la società implementi una vera gestione circolare rifiuti;
  2. il Comune deve scegliere amministratori adeguati a perseguirla (cambio testa politica);
  3. ancor più radicali devono essere le modifiche degli assetti dirigenziali (cambio testa tecnica).


Copertina: foto da Vvox su Twitter.

Se un rifiutologo s’aggira per Venezia ultima modifica: 2020-09-15T20:07:04+02:00 da MARIO SANTI
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1 commento

maria 16 Settembre 2020 a 12:14

e la questione rifiuti è solo uno dei mega problemi che affligge Venezia
Se a monte si riuscisse a far produrre confezioni per cibo e prodotti solidi, ridotte al minimo e tutte compostabili forse un piccolo passao in avanti potrebbe essere fatto con maggior facilità.
Ma vallo a dire ai compagnucci di Brugnaro produttori di plastica infinita e indistruttibile.

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