L’imminente pubblicazione dell’enciclica Fratelli tutti pone già oggi il mondo laico davanti al problema del confermarsi in una qualche vita. Il bel libro che Francesco e Carlo Pertini, agnostico e fondatore dello Slow Food, hanno pubblicato in questi giorni, Terra Futura, in un certo senso l’anticipa: i laici, nel senso di agnostici, esistono? Come possono rispondere alla domanda e all’offerta di fratellanza di Francesco?
Prima di tutto si pone il punto della figliolanza: chi accetta la domanda e l’offerta di fratellanza di Francesco accetta di appartenere alla famiglia umana dei figli. Solo riconoscendosi figli, sebbene diversi, si potrà accettare la comune condizione di fratelli. Gli agnostici che seguono i figli dei lumi non dovrebbero avere problemi, visto che la carta dei diritti dell’uomo del 1789 è firmata al cospetto dell’Essere Supremo. Chi sarà, se non il padre comune? Ma Carlo Petrini, ad esempio, pur rientrando in questa categoria di persona non è un figlio dei lumi, quanto un figlio dell’umanesimo laico.
Ma procediamo con ordine: avere un padre stabilisce una prima appartenenza: siamo figli diversi dello stesso padre, abbiamo il diritto alle nostre idee e alla nostra coscienza. Questo non è più un problema nel rapporto con la Chiesa cattolica – grazie a Dio dal Concilio Vaticano II essa ha accettato la libertà di coscienza, la libertà religiosa, facendone non più un problema ma un tratto distintivo. Dunque anche gli agnostici, come Carlo Petrini ad esempio, hanno diritto a sedere al tavolo dei figli del padre comune con la loro coscienza. “Agnostico pio”, così lo definisce Francesco, archiviando finalmente la categoria assai diversa, se non opposta, degli atei devoti. Gli agnostici pii, con quel riferimento alla pietà così proprio dell’umanesimo, pongono dunque rispetto ai più algidi illuministi, tipo Voltaire, un secondo tassello indennitario alla loro ricerca di un’appartenenza che li definisca: cioè sono liberi di coscienza e conoscono la pietas.

Dunque c’è l’umanesimo nella possibile definizione di questo agnostico libero e pio, che può appartenere alla stessa famiglia dei credenti, che non ha difficoltà a immaginarsi figlio dello stesso padre. Il problema per lui, ovviamente, è un altro: è quello di non accettare che ci sia qualcuno in terra che può imporre i propri principi nel nome della difesa dei diritti del padre. Questo è il punto.
Questo punto con Francesco può essere discusso, può essere dibattuto. La sua Chiesa infatti ha posto alla base di tutto il discernimento: non siamo più al tempo in cui ci si riteneva depositari di un ordine eterno e immodificabile. Piuttosto grazie al discernimento si capisce che il bene e il male vivono in noi, dentro di noi, e che quindi il compito dei figli è quello di discernere il suggerimento buono dal consiglio fuorviante, perfido, cattivo. Qui sono i laici, gli agnostici, a dover fare il salto di qualità. Un fondamentalismo tanto laico quanto manicheo li ha convinti da tempo che i diritti esistano nell’io, in quell’io sovrano che non può e non deve conoscere limitazioni al suo libero volere. È questo il punto.
Non può esserci fratellanza, non può esserci amore per la natura, per il mondo vegetale, o animale, o minerale se si parte da questo paradosso individualista spacciato per libertario. La libertà di ognuno dei figli è limitata da quella degli altri, e l’amore per la cosa comune, la casa comune, consegue. Se invece l’individuo è una monade che non ha limiti, non ha obblighi, non avrà neanche remore, o qualcosa da discernere: il bene sarà quel che gli appare soddisfare i suoi impulsi.
L’universo dei laici, degli agnostici, è dunque un universo senza fratelli, senza responsabilità, senza discernimento possibile tra bene e male al di là di quanto appare tornare comodo? Non può esserci comunità, visione, fratellanza in questo laicismo senza principi. Non può esserci altro che un ordine consumistico, privo di cultura contadina, dato che non ci sono più contadini nell’ordine consumistico, privo di cultura operaia, dato che non ci sono più operai nell’ordine consumistico. Ci sono soltanto consumatori.

Ecco allora che il 4 ottobre prossimo, quando Francesco firmerà l’enciclica Fratelli tutti, i laici e gli agnostici saranno i primi a essere chiamati a rispondere innanzitutto a una domanda: a cosa apparteniamo? A chi apparteniamo? Apparteniamo come fratelli, diversi dagli altri, alla famiglia umana dei figli di Dio, magari il Dio della misericordia, o apparteniamo a noi stessi, senza fratelli, senza sorelle, senza amici? Siamo cioè individui non appartenenti ad altro che all’associazione dei consumatori? Le nostre città sono come aeroporti con i loro banchi lost and found e i loro banchi dove possiamo trovare la carta dei diritti dei viaggiatori? Queste città, dove si accede ai servizi solo se si ha un titolo di viaggio, meglio se di prima di classe, peggio se di seconda o di turistica, sono le città degli spiriti liberi? Sono queste città senza volto, senza storia, la proposta culturale e identitaria del mondo laico, del mondo agnostico? O sono le città dei cittadini, tutti uguali nei loro diritti, tutti diversi nel loro sogni e nei loro bisogni?
Il 4 ottobre sarà un giorno importante per la cultura laica, la cultura agnostica. Si potrà scegliere di continuare a far finta di nulla, certamente, si potrà continuare a negare che esista la necessità di discernere e che l’interesse individuale e privato sia l’unica bussola. Ma se si vorrà vedere che abbiamo un destino comune, come gli stessi passeggeri di un aeroporto, o di una stazione, sarà il caso di cominciare a domandarsi se non apparteniamo tutti alla famiglia dei figli, diversi dagli altri, certo, senza certezze, ovviamente, ma con quell’umanesimo pio nel cuore che può far sentire parte di una storia più grande.

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