No, non è stato inutile votare no

Sfruttiamo la voglia di chi ha votato No di rimediare al bicameralismo perfetto diventato imperfetto con il taglio. E la voglia di cambiamento che in qualche modo è riconoscibile nel Sì e finalmente facciamo un passo serio verso un po’ di efficienza italiana.
ADRIANA VIGNERI
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Se la campagna referendaria 2020 – quel po’ di campagna che si è svolta – è stata più complessa di quel che poteva sembrare a prima vista – un quesito così semplice! – anche la lettura del risultato a favore del “Sì” (di cui non ho i dati definitivi) si presta a punti di vista diversi. Si ricorderà che soltanto in un primo periodo si è riusciti a parlare del contenuto della modifica costituzionale e dei suoi effetti. Ben presto è subentrato un posizionamento puramente politico dei vari attori. Nel senso che le dichiarazioni di voto dei diversi esponenti, trascurando del tutto gli effetti costituzionali, hanno mirato a produrre conseguenze sugli attori politici e soprattutto sull’esistenza e la durata del governo.

Un uso politico del referendum che abbiamo già visto nel 2016 con Renzi. Significativo ad esempio che il numero due della Lega, fin lì schierata per il “Sì”, abbia capito ad un certo punto che – politicamente parlando – conveniva rafforzare il “No”. Questo ha certamente prodotto un disorientamento negli elettori, di destra in questo caso, ma anche ancor più negli elettori di sinistra, posto che il primo partito della sinistra, così come Italia Viva e gli altri di sinistra, hanno votato “No” per tre volte lungo la procedura di revisione costituzionale, e poi hanno dato un voto positivo alla fine, un voto decisivo per varare la legge costituzionale. Non occorre aggiungere che non si dovrebbero perseguire obiettivi di breve respiro quando è in gioco una modifica costituzionale (e non una soltanto, in realtà).

In questo contesto vi è da dire che è stato imprevisto e interessante che l’orientamento degli elettori si sia rivelato da subito, quando il silenzio sul referendum regnava ancora sovrano, niente affatto compatto per il “Sì”, come tutti pensavano, prevedendo un voto per il “Sì” dell’ordine dell’ottanta per cento, novanta per cento. Così come è interessante che l’affluenza al voto sia stata alta, 51,7 per cento. Amore per la Costituzione, la più bella del mondo? Diffidenza per chi quella modifica costituzionale aveva proposto e sostenuto? Timore per la riduzione della rappresentanza? Oggi possiamo valutare – con buona approssimazione – che il “Sì” ha vinto con quasi il settanta per cento. Il “No” ha perso con poco più del trenta per cento. Ma, aggiungo subito, in realtà entrambi hanno vinto, e spiego subito perché. 

Non c’era persona ragionevole, in Italia, che pensasse possibile una vittoria del “No”, neppure coloro che si sono spesi, come si dice, per convincere a votare no. Perché era ovvia la vittoria del “Sì”? Perché gli italiani sono dei costituzionalisti riformatori? Certo che no. Bensì perché negli ultimi anni o decenni è molto cresciuto il discredito per la Casta – diventato ben presto discredito per la politica personificata nei rappresentanti del popolo (non – si noti – per i governi). Così la pensa la maggior parte degli elettori: un taglio dei parlamentari è vissuto come una meritata punizione, una piccola vendetta. Un sentimento che l’autocontrollo del M5S, che nell’ultimo periodo ha sostituito il risparmio di spesa con una maggiore efficienza, non ha certo modificato. 

Il voto di chi, pur consapevole di non poter vincere, ha sostenuto e votato il “No”, è stato un voto “civile”, per la difesa della democrazia costituzionale, un patrimonio che l’Italia deve tenersi caro. In quelle condizioni meglio sarebbe stato un quaranta per cento di “No”, ma un trenta per cento e poco più di media nazionale è comunque un fatto molto positivo. Meno male che nelle sue prime dichiarazioni anche il segretario Zingaretti l’ha riconosciuto.

Resta da valutare il “No” del Nordest. In Veneto il “No” ha raggiunto il 37,56 per cento (a Treviso, il mio Comune, il 43,4), in Friuli-Venezia Giulia il 40,43 per cento, ma nelle altre regioni del Nord soltanto la Liguria supera la media nazionale (36,22). Il voto infatti è stato sostanzialmente omogeneo nel paese. Il risultato del Veneto e del Friuli si spiega naturalmente con un forte contributo del “No” leghista. Si è sommato un “conservatorismo costituzionale” – così si dice – con l’intento di far cadere il governo, o con una volontà di riaffermazione della propria autonomia?

Bisognerà capire meglio. Ora conta soprattutto sapere quali iniziative verranno prese per reagire alla modificazione del numero dei parlamentari. ll ministro degli esteri Luigi Di Maio – che resta il vero leader politico del Movimento – commenta così il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari:

Quello raggiunto oggi è un risultato storico. Torniamo ad avere un Parlamento normale, con 345 poltrone e privilegi di meno. Ora riduciamo lo stipendio dei parlamentari.

E ha aggiunto:

Il prossimo step dovrà necessariamente essere l’approvazione di una nuova legge elettorale proporzionale che sia in grado di favorire la governabilità di un’Italia che ora più che mai ha bisogno di risposte rapide ed efficaci.

Mentre Salvini dice di sperare che l’Italia non torni alla palude del proporzionale e scelga il presidenzialismo regionale.

Dal canto suo Zingaretti dice:

Ora si apre una stagione di riforme. E faremo di tutto affinché questa stagione di riforme vada avanti spedita. 

Il quadro è dunque chiaro: Di Maio vuole una legge proporzionale (che anche il Pd ha chiesto) oltre al taglio dello stipendio dei parlamentari e, aggiungo io, oltre alle riforme costituzionali già in lavorazione alla Camera: il referendum propositivo, l’iniziativa legislativa popolare con rischi seri di conflitti con i lavori parlamentari. Per ridurre lo spazio della rappresentanza. Salvini e Meloni vogliono un qualche presidenzialismo. 

E il Pd? Il Pd vuole le riforme. Nulla di più e nulla di meno, potremmo dire per ridere. Di che si tratta? Della sfiducia costruttiva. Della valorizzazione del Parlamento in seduta comune, fatta per evitare la riforma delle funzioni delle due Camere. Della legge proporzionale, considerata “indispensabile” per convivere con i nuovi numeri dei parlamentari? 

L’effetto della vittoria referendaria sarebbe dunque la condanna al proporzionale?

Quanto a riforme, acqua fresca, per dirla in gergo. Proponiamo invece subito il monocameralismo. E lasciamo alle Regioni l’onore e l’onere di chiedere per sé una seconda Camera, il famoso Senato delle regioni.

Sfruttiamo la voglia di chi ha votato No di rimediare al bicameralismo perfetto diventato imperfetto con il taglio. E la voglia di cambiamento che in qualche modo è riconoscibile nel Sì e finalmente facciamo un passo serio verso un po’ di efficienza italiana.

No, non è stato inutile votare no ultima modifica: 2020-09-22T12:43:45+02:00 da ADRIANA VIGNERI
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