La paura del Covid Fase 2 comincia a essere reale. Basti osservare l’aumento non solo dei nuovi infetti, ma anche dei casi giornalieri di morte. L’Italia presto sarà alle stessa stregua degli altri paesi europei. La ripartenza Covid in sicurezza di contagio, dopo la giusta voglia di libertà post lockdown, è aggrappata in ognuno di noi all’idea che saremmo oggi più pronti ad affrontare una Fase 2.
C’è del vero soprattutto nei percorsi di cura, perché conosciamo meglio le fasi cliniche della malattia, ma va ricordato che la Fase 1 ha messo in ginocchio i grandi ospedali non solo da un punto di vista organizzativo, per essere diventati Centri Covid, ma anche per la necessità di aver dovuto dimezzare in ognuno di essi il numero dei posti letto (causa il distanziamento personale) e quindi nell’aver ridotto le potenzialità di cura al cinquanta per cento, con l’esclusione dai percorsi di cura di pazienti importanti quali gli oncologici, i cardiopatici, i vascolari, i metabolici e altri. E ancora, la ridotta attività di cura ha creato una crisi economica di sostenibilità agli ospedali, dato che alle mancate entrate per la riduzione dei posti letto s’aggiungono i costi enormi della gestione dei percorsi Covid.
La riorganizzazione assistenziale a tutto tondo, che comprenda in un tutt’uno ospedali e territorio purtroppo è ancora lontana da venire e mancano finanziamenti adeguati alla copertura di tali fabbisogni.
Per adeguarsi alla media europea in materia di spesa sanitaria pubblica, l’Italia dovrebbe spendere per il Servizio sanitario nazionale il 9,9 per cento del suo Prodotto interno lordo, ossia circa 175 miliardi in base ai numeri del 2019. Il Fondo sanitario nazionale, previsto nella Legge di Bilancio per quell’anno era di 114, ed è stato incrementato di soli due miliardi per il 2020. Essendo questa voce di bilancio la principale fonte di finanziamento del Servizio sanitario nazionale, si può comprendere quale abisso ci separi dai nostri partner continentali, pur senza ambire all’11,5 per cento della Francia o all’11,2 per cento della Germania.
Queste mortificanti situazioni, già inaccettabili in tempi normali, diventano inconcepibili al tempo del Covid, quando cresce in modo esponenziale non solo la richiesta di una maggiore quantità, ma anche e soprattutto di una migliore qualità dell’assistenza. Questa migliore qualità va ricercata, per dirla con gli economisti, sia con una “innovazione di processo” sia con una “innovazione di prodotto”.
Detto in altre parole, abbiamo bisogno di fare in modo diverso (più celere, più ergonomico, più efficiente) le cose che facciamo adesso, ma anche di farne di nuove, per esempio affrontando la sfida epocale delle cronicità, dell’adeguamento tecnologico, delle biotecnologie e della robotica.
In questa colossale transizione, la ventilata rinuncia ai 37 miliardi di euro che arriverebbero ricorrendo al Meccanismo europeo salvastati (Mes) può essere definita solo come follia criminale. Perché si tratta di prestiti a tassi d’interesse inferiori a un decimo di quelli correnti e perché sarebbero risorse dedicate e vincolate, che non potrebbero essere stornate in altre direzioni.
Risorse – ed è conditio sine qua non – che non dovranno essere abbandonate alla “fantasia creativa” delle Regioni: andranno allocate e destinate in modo sincrono e preciso attraverso un doveroso confronto fra Stato centrale e autonomie territoriali. Non un generico riparto di fondi, ma un finanziamento mirato su progetti specifici, provvisti di valore e di senso, scientificamente motivati (e per questo sarà più che mai necessario il contributo dei competenti).

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!