Un numero compreso tra seicentomila e un milione sono gli italiani affetti da patologie ad alta complessità, e che restano fuori dagli ospedali in attesa di trattamenti sanitari adeguati. Molti di questi rientrano tra gli interventi chirurgici. I tumori, la degenerazione cellulare, i meccanismi ad alta complessità funzionale come quelli cardiovascolari o metabolici, non s’arrestano in attesa che si trovi una cura efficace contro il Covid. Quindi sono molte le persone che, pur avendo diverse e migliori prospettive di vita per la tempestività di interventi sanitari utili e possibili, oggi vedono drasticamente diminuire le percentuali delle loro personali sopravvivenze.
L’impegno delle strategie sanitarie governative resta innegabile, seppure quanto mai confuso. Come operatori sanitari coinvolti nella rete assistenziale veniamo sottoposti a un impegno giornaliero continuo e faticosissimo volto a tamponare le paure e le attese di ricovero dei pazienti che, al di là delle cure telefono mediate, trasmettono messaggi, referti via telefono, email, whatsapp, eccetera, un tutto che si porta appresso responsabilità medico-legali enormi. E nessun provvedimento governativo ha depenalizzato l’attività medica esercitata in tempo di Covid.
Quasi tutti i pazienti hanno la coscienza e la responsabilità di comprendere quello che sta accadendo, quasi sempre tolleranti nel mentre aspettano da casa, soffrendo, il loro turno in attesa di ricovero. Tempi di ricovero dilatati dalla riduzione dei posti letto negli ospedali dovuti all’obbligo di attuare il distanziamento personale, con il rischio terribile della sospensione dell’attività di ricovero in caso di un altro travolgente periodo di alta contagiosità sintomatica. Ascoltando i principali canali di informazione mediatica, sembra che la soluzione in positivo sia solo una questione di soldi, quasi una partita di tennis senza fine tra Recovery Fund e Mes con le varie postille politiche del perché e del come.
Blocchi decisionali dannosissimi che pesano gravemente sulla salute dei cittadini. Ecco quindi che ogni Regione, su richiesta del governo centrale, prepara ciclopici programmi di investimento, di implementazione tecnologica, di nuovi percorsi formativi, di centri ospedalieri ad alte complessità di cura. E la rete scientifica e della solidarietà, che in questi casi ha un forte valore col generare risposte sensibili ed etiche, finisce per diventare una triste e penosa rete competitiva fra Regioni o presidenti di Regioni per un federalismo sanitario che ha nelle sue corde il male del “turismo sanitario”.

Di qui i viaggi di tanti pazienti spinti verso Regioni tecnologicamente più attrezzate. Così parole come telemedicina, teleassistenza, sanità digitale e dibattiti mediatici continui su logiche innovative per grandi orizzonti sembrano le soluzioni primarie per la cura delle persone in tempo di Covid. Non dobbiamo di certo tornare alla bussola o alla stella polare per orientarci, ma ritengo che quanto sopra esposto delinei una folle corsa che va in senso opposto alla soluzione del problema.
Se la mascherina, la distanza personale e l’igiene delle mani sono cose da ritenersi fondamentali, parimenti urgente e indispensabile dovrebbe essere la svolta organizzativa per un vero cambiamento: la separazione netta, immediata, delle strutture ospedaliere in ospedali-Covid per l’isolamento dei pazienti infetti e ospedali non-Covid, dando in tal modo la possibilità di curare quei pazienti che stanno soccombendo.
Bisogna uscire al più presto dalla “misticanza” del tutto insieme pur di non cambiare mai.
È bene si sappia che una quantità rilevante di personale sanitario resta a casa pur di non infettarsi proprio in ospedale: chiusi in casa dovendo osservare le quarantene. Insomma, siamo sempre più a rischio se non si protegge il personale sanitario. Eppure la storia della medicina ha conosciuto tante cose virtuose nel passato, e non disponendo allora di grandi solidità economiche. Per esempio, la differenza istituzionalizzata dei sanatori dagli ospedali normali per una più efficace cura della tubercolosi rappresenta un ricordo non trascurabile.
In conclusione, in attesa dei sacrosanti vaccini per l’oggi e per i prossimi domani assolutamente non c’è altro tempo da perdere. A Napoli c’era un vecchio detto, “chiacchiere e tabacchere ’e ligno, ’o banco ’e napule nun se ’mpegna”, ossia chiacchiere e tabacchiere di legno il Banco di Napoli non ne impegna. Per chi ancora non avesse capito, dal punto di vista strutturale riguardo a un futuro realmente sostenibile del sistema sanitario nazionale, purtroppo le chiacchiere stanno a zero.

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