Il vero colpo di scena? Che non si candidasse. Ma è difficile pensare che Jean-Luc Mélenchon, il leader de La France Insoumise, non presenti la propria candidatura per il 2022. Dovrebbe comunicarlo tra qualche settimana, secondo quanto riporta la stampa francese, e sarebbe la terza candidatura presidenziale. Una notizia che non dovrebbe essere una notizia se il leader dell’estrema sinistra francese non avesse avuto in questi anni dei problemi. Vicende politiche, ma anche giudiziarie, che ne avevano messo in discussione la presa sul partito che aveva creato.
Quella della candidatura di Mélenchon è soprattutto una notizia che arriva quando l’idea di una candidatura unica della sinistra francese aveva cominciato a farsi strada. Almeno per arrivare al ballottaggio. Contro Macron o contro Le Pen. Sempre che la leader del Rassemblement National riesca a ri-affermare la propria di leadership sul partito di estrema destra, tra le pressioni della nipote – Marion Maréchal – che vorrebbe prenderne il posto.
Mélenchon non fa l’unanimità. Da sempre. E questa volta non è molto diverso. I rapporti con i socialisti sono tesi da tempo. E anche con i Verdi – la forza politica in ascesa della sinistra francese – le relazioni non sono delle migliori. Inoltre esiste anche qualche problema interno a La France Insoumise. Dai sette milioni di voti ottenuti nel 2017, il partito di Mélenchon è sceso al milione e quattrocento mila voti delle elezioni europee del 2019. Qualche critica è arrivata ma sempre poche per un partito che parla di “popolo” ma ha un lider maximo indiscutibile. Risultati scarsi, nonostante le proteste dei sindacati per la riforma delle pensioni, che hanno bloccato per mesi i trasporti pubblici, e il movimento dei gilet gialli, entrambi cavalcati dal leader de La France Insoumise, senza grande successo.
Con i socialisti le probabilità d’intesa sono pari allo zero. È difficile che il partito di Mitterrand decida di abdicare alla leadership della sinistra francese e si adatti a seguire la via indicata dal “tribuno del popolo”. Soprattutto se vuole riconquistare una parte dei voti che ha perso nel 2017 a vantaggio di Macron, quando il candidato socialista Benoît Hamon – uno degli alleati di Mélenchon quand’era ancor iscritto al Ps – ottenne un misero 6,35 per cento (contro il 19,5 di Mélenchon).
Il segretario socialista Olivier Faure ha dichiarato di essere pronto a sostenere qualsiasi candidato unitario della sinistra. Un appello che è apparso da subito più rivolto agli ecologisti e ai comunisti che a Mélenchon. Come ha chiarito François Hollande, l’ex presidente della repubblica che spera di poter essere – ancora – il candidato della gauche: per vincere bisogna creare l’unità della sinistra e Mélenchon non è in grado di farlo, ha dichiarato. Una vecchia ruggine quella tra i due che data ai tempi del Partito socialista, durante il primo congresso in cui il segretario del partito era eletto a suffragio universale, nel lontano 1997. I candidati erano due – Hollande e Mélenchon – e le irregolarità furono moltissime. Così tante che alla fine non fu chiaro quale fosse il risultato. Hollande allora chiese a Mélenchon di ritirarsi e gli promise il 15% dei voti (e di posti negli organi del partito). Mélenchon accettò ma qualche giorno più tardi scoprì di avere ottenuto solo l’8%. Hollande rimarrà segretario per dieci anni, tra i marosi delle correnti socialiste. Mélenchon resterà nel partito ma prenderà sempre più la strada a sinistra, diventando uno dei leader dei socialisti ostili al trattato costituzionale europeo poi bocciato nel referendum del 2005. Nel 2008 infine Mélenchon lascerà i socialisti.
Ma al di là delle relazioni personali con i socialisti, Mélenchon è politico che non fa compromessi, radicale, collerico, certamente un oratore di talento e di cultura che manifesta spesso intolleranza per l’interlocutore. E anche un politico abile che sa adattarsi alle contingenze. Dopo la decapitazione dell’insegnante di storia ucciso da un diciottenne ceceno per avere mostrato in classe le vignette di Charlie Hebdo su Maometto, Mélenchon ha dichiarato durante la manifestazione in memoria dell’insegnante:
Credo che ci sia un problema con la comunità cecena in Francia. Dobbiamo raccogliere uno a uno tutti i fascicoli dei ceceni presenti in Francia e tutti coloro che hanno un’attività sui social network, come è avvenuto con l’assassino o altri che compiono attività legatre all’islamismo politico […], devono essere catturati ed espulsi.
Posizioni che lo mettono in diffcioltà a sinistra e nel suo stesso partito. Mélenchon però non è nuovo a ri-posizionamenti di questo genere.
Anche i rapporti politici con i verdi non sono idilliaci. Se La France Insoumise dialoga con Eric Piolle, neo sindaco verde di Grenoble e uno dei nomi ecologisti per le presidenziali, i rapporti con l’uomo forte del partito ecologista – Yannick Jadot – sono pessimi. Inoltre i verdi, rafforzati dalle vittorie durante le elezioni amministrative di quest’anno, durante la pandemia di Covid-19, puntano ad esprimere la candidatura alle presidenziali. E non sembrano pronti a concedere come d’abitudine la guida ai socialisti. Tanto meno a Mélenchon.
Con i comunisti del Pcf la situazione non è molto diversa. Il Pcf guarda più a una soluzione unitaria con verdi e socialisti piuttosto che a un’alleanza con Mélenchon. Il leader de La France Insoumise alle legislative del 2017 ha preferito andare da solo piuttosto che in alleanza col Pcf dal quale però aveva ricevuto il sostegno per le presidenziali.
La forza di Mélenchon per ora sono i sondaggi. Secondo Le Journal du dimanche – che ha testato varie ipotesi di candidature – il solo a sinistra che sembra avere qualche speranza è proprio Mélenchon. Vaga speranza. A due anni distanza, i sondaggi infatti lo pongono in terza o quarta posizione col suo 12-13%. Il leader de La France Insoumise sa bene che non esistono però molti altri nomi a sinistra con il suo consenso elettorale. Almeno nei sondaggi. Vero è che i nomi nuovi e vecchi testati nelle ipotesi del Journal du dimanche non riescono a ottenere risultati migliori di Mélenchon. Ma un sostegno socialista a Mélenchon significherebbe la fine del Ps, che resiste nonostante la quasi sparizione di questi ultimi anni.
Il Ps pertanto non sembra avere molta alternativa a una candidatura diversa da quella di Mélenchon, salvo un’improbabile convergenza de La France Insoumise verso una candidatura del polo verde-socialdemocratico. Ma qui nascono i problemi per i socialisti.

Il polo socialista e verde è quello che interpreterebbe al meglio i desiderata di una parte della società francese. Almeno secondo l’inchiesta della Fondazione Jaurés sulle fratture francesi. Gli elettori del Ps e quelli di Europe Ecologie – Les Verts (Eelv) sono molto vicini sui temi: dall’integrazione europea al ruolo della donna nella società francese, alla violenza della polizia. Distanti entrambi da La France Insoumise soprattutto sull’atteggiamento verso l’Europa, i due partiti della gauche sono vicini sulle questioni sociali e sui diritti civili, sui diritti di cittadinanza e sull’espansione dei processi partecipativi alla democrazia.

Ma la convergenza tra verdi e socialisti non comporta necessariamente una candidatura unitaria. Se per i socialisti l’abbraccio di Mélenchon è mortale, quello con i verdi non sembra essere così immune da conseguenze. I socialisti infatti non vogliono rinunciare ad esprimere un proprio candidato. Ma gli aspiranti candidati non hanno la forza per unire tutta la sinistra “moderata”: l’ex presidente François Hollande, l’ex primo ministro Bernard Cazeneuve, Ségolène Royal, Arnaud Montebourg, Christiane Taubira. Sono tutti nomi del passato, un “usato” non troppo sicuro in merito alle performance elettorali. Il che espone i socialisti alle critiche dei verdi sulla mancanza di leadership nuove e in grado di mobilitare gli elettori.
Anche il nome che inizia a farsi strada, quello della sindaca di Parigi Anne Hidalgo, ha qualche problema. Le Journal du dimanche l’accreditava dietro a Mélenchon, nell’eventualità di una sua candidatura. Molti però guardano a Hidalgo come la personalità in grado di mettere d’accordo verdi e socialisti. Nella campagna elettorale per le comunali la politica socialista ha fatto sparire il rosa e il rosso del Ps e ha riempito Parigi di manifesti elettorali tutti verdi per segnalare l’impegno ambientalista. Ammesso che i socialisti trovino l’unanimità attorno a questo nome – ed è tutto da vedere per un partito che pure diminuito in dimensioni continua ad essere governato dalle correnti – anche Hidalgo non suscita la passione degli ecologisti.
Innanzitutto, ancora, perché i rapporti di forza sono cambiati e oggi i leader più rilevanti del partito ecologista – Yannick Jadot e Eric Piolle – aspirano alla candidatura unitaria delle sinistra e alla presidenza della repubblica. Qualche messaggio politico in questo senso l’hanno già inviato. A partire dalle regionali. In Ile-de- France, la regione di Parigi, la segretaria nazionale dei Verdi ha già annunciato la propria candidatura alla presidenza della regione, in barba a qualsiasi accordo coi socialisti.
Inoltre i socialisti hanno qualche problema con l’ala più radicale e chiassosa dei verdi. E temono che un’accusa di radicalismo possa costare, a ragione, molti voti. Di queste difficoltà ne ha avuto esperienza proprio a Parigi Anne Hidalgo. La sindaca ha dovuto prendere le distanze da Alice Coffin, eletta ecologista nel comune di Parigi e militante femminista. In un pamphlet dedicato al dominio maschile, Coffin ha dichiarato che non basta più che le donne si aiutino tra di loro ma che “bisogna eliminare a nostra volta gli uomini, dalla nostra anima, dalle nostre immagini, dalle nostre rappresentazioni”. Dichiarazioni che hanno costretto Hidalgo ad esprimere la propria contrarietà a proposte di questo tipo. La sindaca socialista a giugno aveva già escluso Coffin e un altro consigliere comunale dei verdi dalla maggioranza dopo che i due avevano protestato in maniera molto dura contro l’allora assessore alla cultura, oggetto di un’inchiesta preliminare per stupro.
Non che per i Verdi la situazione interna sia delle più rosee. Nonostante i risultati elettorali – o forse proprio a causa di questi – sono due le candidature che aspirano a raccogliere attorno a sé tutta la sinistra francese. Eric Piolle, sindaco di Grenoble, e Yannick Jadot, il politico ecologista che ha guidato i verdi al successo delle elezioni europee del 2019. Uno scontro quello tra i due politici verdi che sarà duro e che è già cominciato. Piolle non perde occasione di segnalare che Jadot dialoga con il Medef – la Confindustria francese – e che cambia spesso idea a seconda dell’interlocutore. Jadot punta proprio sul suo essere politicamente eclettico. E pertanto in grado di attirare voti al di là dell’ambito prettamente di sinistra.
Difficile dunque che si trovi un accordo per una candidatura unitaria. Anche in nell’ipotesi di accordo tra verdi e socialisti, la più probabile, non ci sono al momento personalità in grado di conquistare unire i due partiti e soprattutto attirare un numero elevato di elettori (almeno per arrivare al ballottaggio). E l’unica personalità che a detta dei sondaggi è quella che potrebbe farcela è proprio la più improponibile. Appunto Mélenchon. Che anche riuscisse a passare ad un eventuale secondo turno, avrebbe qualche difficoltà a riunire attorno a sé un ampio consenso. Anche nell’ambito della sinistra.
Una presenza ingombrante quella di Mélenchon che però non dispiace al presidente delle repubblica. Macron sa che finché Mélenchon è forte, difficilmente riunirà attorno a sé gli altri partiti di sinistra. E così facendo impedisce una candidatura unitaria che potrebbe forse – e sottolineiamo forse – arrivare al ballottaggio. Macron infatti ha vinto nel 2017 grazie a una parte constente di elettorato di centrosinistra che nel tempo però si è progressivamente allontanato. oggi però, se manca un’offerta “vincente” di sinistra “moderata”, Macron potrebbe rappresentare la sola alternativa per coloro che vogliono impedire al Rn di vincere le presidenziali e alla sinistra di Mélenchon di fagocitare quel che resta del Ps.
Quel che per ora è certo è che allo stato attuale la sinistra francese si dirige verso un’altra disastrosa elezione presidenziale. A due anni di distanza non c’è una soluzione vincente con le “carte” a disposizione. A Macron basta sperare che l’avversario sia ancora Marine Le Pen. E che non ci siano colpi di scena.


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