[ATENE]
Il 18 ottobre si è svolto a Cipro settentrionale il secondo turno delle elezioni cosiddette “presidenziali”. Poiché la condizione in cui si trova questa parte dell’isola non ha dato alla comunità internazionale la possibilità di riconoscere l’esistenza della presunta “Repubblica turco-cipriota” proclamata qualche decennio dopo l’invasione turca del 1974, si preferisce dare a queste elezioni il senso di un indirizzo politico prevalente presso la comunità turco-cipriota. Il risultato è che il candidato che vince è considerato il “leader” dei turco-ciprioti e l’unico legittimato a rappresentarli nei negoziati con la Repubblica di Cipro, stato membro delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea, in vista di una riunificazione dell’isola.
Nel caso delle elezioni del 18 ottobre il vincitore è stato Ersin Tatar, un nazionalista di estrema destra, ampiamente sostenuto da Erdoğan. Quindi Ersin Tatar, un economista ultraliberista già condannato a Londra a dieci anni di prigione per truffa finanziaria, sarà il nuovo rappresentante della comunità turco-cipriota.
Ma questa rapresentanza è davvero legittimata dal voto? Quanti sono i turco-ciprioti e quanti di loro si sono recati alle urne per regalare a Tatar quel 51,74 per cento della vittoria?
Per rispondere a questa domanda bisogna tornare al 1960, quanto Londra rinunciò al suo dominio su Cipro e fu proclamata l’indipendenza dell’isola. La nuova Costituzione, imposta dai britannici con l’assenso delle altre due “potenze garanti”, la Grecia e la Turchia, riconosceva l’esistenza nell’isola di una comunità maggioritaria greco-cipriota e una comunità minoritaria turco-cipriota che rappresentava il 18 per cento della popolazione. Il censimento britannico riportava che all’epoca gli abitanti di Cipro erano 577.615 e quel 18 per cento corrispondeva a circa 104.000 cittadini di lingua turca e religione islamica.

Dopo l’invasione di Ankara nel nord dell’isola, nell’estate del 1974, circa 165.000 abitanti greco-ciprioti furono forzati ad abbandonare le zone occupate dall’esercito turco. Alcune decine di migliaia se ne andarono già prima dell’arrivo delle truppe di Ankara, memori delle stragi dei cristiani in Anatolia. Nei mesi seguenti il governo turco ha esercitato enormi pressioni presso i turco-ciprioti perché lasciassero le loro case e si trasferissero nella parte occupata. Alla fine si spostarono in 45.000.
Ma non erano i soli che andavano a vivere nel cosiddetto “stato turco-cipriota”, fondato e governato con mano pesantissima da Rauf Denktaş, un nazionalista di estrema destra, che aveva collaborato con il regime coloniale britannico.
Dal 1974 fino a oggi c’è stato un fortissimo movimento migratorio dalla Turchia verso Cipro settentrionale. Le forze occupanti e i vari governi turchi distribuivano a piene mani ai loro “clientes” gli immobili abbandonati dai greco-ciprioti in fuga, in particolare gli impianti turistici, ma anche chiese e monumenti presto trasformati in bar, ristoranti e alberghi. Un paese da razziare senza fatica, nella migliore tradizione ottomana.
Sappiamo anche chi erano questi “clientes” dei governanti turchi: per la maggior parte ultranazionalisti del partito dei Lupi Grigi, ricompensati per le loro attività di provocazione contro i kurdi.
Quando non erano estremisti di destra, erano fanatici musulmani che hanno eretto moschee in ogni angolo. Nell’ultimo periodo, quello di Erdoğan, è stato avvistato dai servizi occidentali anche qualche jihadista arabo e caucasico, mettendo in allarme le ambasciate straniere a Nicosia. In questi 46 anni molti (ma non si sa quanti) di questi coloni turchi hanno preso la presunta “cittadinanza turco-cipriota” con tanto di diritto di voto.
Il flusso migrartorio non era in un unico senso. Ben presto i turco-ciprioti hanno capito che non era facile vivere in un piccolo stato-fantoccio, isolati dal mondo, con decine di migliaia di militari turchi e un numero imprecisato di criminali comuni, fascisti ultranazionalsti e fanatici islamisti che si comportano da padroni.
La risposta dei turco-ciprioti è stata che si sono messi a emigrare, di preferenza verso la Gran Bretagna. Il flusso ha preso dimensioni impressionanti dopo il 2004, quando Cipro ha aderito all’Unione Europea. Nel protocollo di adesione si specifica che aderisce tutta Cipro, anche i territori che non sono controllati dal legittimo governo di Nicosia. E anche i turco-ciprioti, cittadini legittimi della Repubblica di Cipro, sono cittadini europei e si possono spostare ovunque in Europa. Ora alcune migliaia di turco-ciprioti sono perfino tornati nelle loro case nel territorio libero di Cipro.

Quanti sono i turco-ciprioti rimasti nei territori occupati? Nessuno lo sa con precisione. Sicuramente però sono una minoranza di fronte alla fiumana proveniente dall’Anatolia. Non è un caso che nella presunta “repubblica” i censimenti sono avvenimenti rarissimi e molto avari nel fornire dati. L’unico censimento si è svolto nel 2011 e ha dato come risultato che nella parte occupata di Cipro vivono 160.207 persone, il dieci per cento della popolazione totale dell’isola. Non è specificato quanti sono i ciprioti e quanti i coloni, ma si riporta che ci sarebbero circa mezzo milione di turco-ciprioti in Turchia, duecentomila in Gran Bretagna, quarantamila in Australia, diecimila in Nord America e ottomila nell’Europa continentale, in particolare in Germania.
Il malessere dei turco-ciprioti è emerso anche in campo politico, in maniera indiretta e anche confusa tenendo conto delle condizioni di oppressione in vigore nello stato fantoccio: giornalisti assassinati, bombe contro redazioni di giornali e tv, manifestanti picchiati fino a provocare danni permanenti, partiti di sinistra impossibilitati a fare attività.

Malgrado il clima di terrore imposto dai militari e gli ultranzionalisti turchi, gli elettori turco-ciprioti hanno molto spesso favorito leader della sinistra che si dichiaravano pronti a negoziare con la comunità greca per riunificare l’isola. Tale era a suo modo Mustafa Akıncı, il leader sconfitto nelle elezioni del 18 ottobre, dopo aver denunciato minacce e intimidazioni da parte di Ankara. Il risultato è che non solo la comunità turco-cipriota è completamente in balia di Erdoğan ma si è concretizzato il pericolo che sia del tutto debellata e cancellata nelle sue particolarità e specificità dal piano di Tatar di “consolidare l’indipendenza” dello stato fantoccio e di turchizzare completamente il nord dell’isola. Tutto in nome dei turco-ciprioti, ovviamente.

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