“Non avete capito la gravità della situazione”. Così, tra l’imbarazzante e l’offensivo, il ministro Franceschini in risposta alla moltitudine di proteste levatesi contro la chiusura di sale cinematografiche e teatrali. Parole imbarazzanti perché pronunciate da chi conosce bene quel settore e la credibilità di chi ora protesta; offensive perché non tengono minimamente conto del contagio zero legittimamente rivendicato da un settore attenutosi scrupolosamente ai protocolli di sicurezza impartiti in precedenza dallo stesso governo. Arduo provare il contrario.
Ma se proprio doveva dirla, quella frase, caro Franceschini poteva riservarla alla collega dell’istruzione Azzolina, che in questi giorni sta caparbiamente insistendo sui concorsi a distanza per oltre sessantamila docenti precari. Distanza geografica, non digitale, di centinaia di chilometri per i sardi che devono sostenere l’esame in Lazio o Campania (tremila concorrenti, s’è letto). O dei veneti che per talune classi di concorso devono raggiungere Milano, cluster per eccellenza in questa seconda fase di Covid, già quasi zona rossa. Si badi bene: stiamo parlando di esami in via di espletamento in questi giorni, telematici, sul pc, senza commissari in presenza, fattibili anche da casa (ma lì si può copiare, certo) o in aule multimediali di Cagliari o Sassari per i sardi, di Padova o Mestre per i veneti.
E invece no, centinaia di chilometri e mano al portafoglio (i viaggi e gli alberghi costano, signora ministra) per aspiranti che la docenza se la sono sudata sul campo, con almeno tre anni di insegnamento pregresso. I sindacati della scuola, inascoltati, proponevano selezioni per titoli e anzianità, a tavolino, giuridicamente fattibili. Ma nel paese della “supplentite” cronica, agli atti un passato di “sanatorie” variamente condite (corsi abilitanti, corsi-concorsi, idoneità parauniversitarie), l’imperativo della Azzolina si è fatto più categorico di quello kantiano: si sacrifichino, qui e adesso, sull’altare della Meritocrazia i furbacchioni che sinora l’hanno fatta franca, salvo tornare in classe il giorno dopo da supplenti. Non più furbacchioni, c’è da credere, ma ancora utili. E sempre che non si siano beccati qualche virus strada facendo.
E ancora, se proprio doveva pronunciarla quell’infelice frase, caro Franceschini poteva suggerirla alla collega dei trasporti De Micheli, visto che nelle solite ore di punta gli intasamenti di autobus e metrò, treni e qui da noi vaporetti, continuano ad essere all’ordine del giorno. Materia in buona parte regionale, certo, ma con fondi statali, e tutto il tempo – la scorsa estate – per rimodulare le corse potenziando le fasce dei pendolari. Che quegli assembramenti non siano meno pericolosi della movida è sotto gli occhi di tutti, ma nel caso dei trasporti pubblici si sta a disquisire sulla durata delle percorrenze e sui tempi medi del contagio, in assenza di qualsiasi plausibilità scientifica: basta una bollicina, un refolo, ci hanno spiegato illustri virologi. Infine, visto che mentre chiudeva cinema e teatri il governo decideva di tenere aperti i musei, con visite contingentate e guidate, perché non far valere l’apodittica veridicità dell’assunto (la famosa gravità) anche in quel caso? E che dire delle messe nelle chiese? Magari anche cantate, forse automaticamente emendate dal contagio per cause di forza superiore.
Proprio perché la situazione è grave, caro Ministro, bisognerebbe fare maggiore attenzione a quel che si dice e si fa. Distinguendo piuttosto che ammassando, intervenendo dove necessario piuttosto che ricorrere a decretazioni general-generiche che fanno soltanto il gioco degli sfascisti. O proprio dei fascisti, sempre più pericolosamente nelle piazze. Che cinema, teatro, musica e spettacoli dal vivo non siano solo “canzonette” lo sappiamo da tempo, senza dover riesumare certe buonanime (Eco, per dire).
Che occorra mostrarsi all’altezza di tanta gravità è altrettanto indispensabile, ma pare che questa altezza cominci a mancare a un governo pur apprezzato dai più nei mesi andati. Il rigore è d’obbligo, intendiamoci, ma mandare la palla in curva fa infuriare i tifosi. Quanto al rigor mortis, per sale cinematografiche e teatrali, specie piccole e indipendenti, ancora un po’ e ci siamo. Diciamo: morti innaturali per effetti collaterali indesiderati.
Copertina: @osamustea

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