Presso la Galleria Visioni Altre, nel Campo del Ghetto Novo, è in corso, aperta lo scorso 17 ottobre, la mostra Luce e colore, con le più recenti opere di Maggie Siner. La mostra resta aperta fino all’8 novembre.

Ci trovavamo a discutere, Maggie Siner e io, della scrittura di William Faulkner. Ed eravamo in disaccordo. Netto e assoluto. Io sostenevo che il potere fondamentale dell’arte risiede in un trucco: costringere chi guarda a crearla lui, la realtà, come in Luce d’agosto, nel passaggio in cui William Faulkner, descrivendo la torre di un tribunale, scrive: volandoci intorno, (cito a memoria) “i piccioni sono come sbavature di pittura.”
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Faulkner tenta il lettore a fondere insieme due cose completamente diverse – piccioni e sbavature di pittura. Faulkner seduce il cervello perché compia un impossibile salto sinaptico trasversale tra un piccione e una sbavatura di pittura. Non crea lui il piccione, lo fa il lettore. È una dolce epifania. Eccolo – un piccione, vivo, che vola sfrecciando intorno a quella torre, tratteggiato da piccoli segni neri sulla carta.
Funzionano così, era il mio ragionamento, le metafore e le similitudini. E Maggie di rimando: ”Io penso che un piccione sembra proprio una sbavatura di pittura!!! Prova a mettere un po’ di pittura nera su un dito e schiacciala in un certo verso. Ecco che hai la forma perfetta di un piccione”.
Be’, certo, tranne per il fatto che la similitudine di Faulkner implica un piccione in movimento. Ma è un piccione o una sbavatura di pittura?
La domanda si fa molto rapidamente metafisica. Da qualche parte, nella mia giovinezza, ricordo di aver letto di una donna che dice a Matisse che il braccio della sua modella è troppo lungo. Matisse risponde qualcosa come “Signora, lei confonde un dipinto con una donna.”
E poi c’è il tanto citato aforisma Zen: quando indichi la luna, non confondere il dito con la luna.
Ecco cosa emoziona in Siner, come in Faulkner e Matisse. Non c’è confusione tra il dito e la luna, tra il piccione e la sbavatura di pittura, tra il quadro e la donna. Non sono la stessa cosa ma neppure diversi. Ci fanno vibrare la mente tra due lati di un paradosso irrisolvibile. È una felice confusione.
Siner sa confondere ed è paradossale in un modo particolare. È questa la gioia nel suo lavoro. La tovaglia, la sedia, i calici sono poggiati lì con sbavature di pittura, con gesti spessi e veloci. La pittura non nasconde, non cerca d’ingannarti, come succede con il trompe l’oeil. D’altronde lei si rifiuta di rendere l’esistenza fisica della pittura il punto dei suoi quadri. È pittorica, ma il suo non è espressionismo astratto.
Ha un talento nel mescolare colori che si autodefiniscono, come se i suoi rossi e i suoi blu dovessero essere chiamati rosso Siner e blu Siner. A volte li mette accanto a un colore complementare che li anima, è un suo trucco mescolare il colore in modo che sia abbastanza lontano dalla ruota dei colori sicché chi guarda dovrà faticare per vederlo come complemento.
Ci fa faticare, Maggie. Questo è il suo segreto. E in qualche modo il lavoro non finisce mai, il suo e il nostro.
Copertina: Cakebox, 2019, 48x80cm, olio sul lino

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