Non c’è stata l’onda blu che ci si attendeva. Anzi, da oggi la carta elettorale americana è un po’ più rossa. Mentre nella lunga notte la corsa presidenziale avanzava al ritmo di una guerra di trincea, nelle partite parallele, quelle per il rinnovo dei Camera dei Rappresentanti e del Senato, i candidati repubblicani hanno dimostrato la stessa resistenza coriacea, per certi versi inaspettata, del loro leader. Ed è così che dal voto emerge una serie di dinamiche, che promettono di influenzare il corso della politica americana nei prossimi anni.
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Il primo dato, il più macroscopico, è che il Partito democratico non riesce a sfondare. Alla Camera, i sondaggi della vigilia prospettavano la conquista di un numero tra cinque e venti seggi in più, scenario che avrebbe permesso di consolidare la maggioranza di cui i Dem hanno goduto negli ultimi due anni. Dei quattrocentotrentacinque seggi della Camera, infatti, duecentotrentadue sono democratici e centonovantasette repubblicani. Invece, è andata diversamente. Sono i repubblicani che hanno avuto leggermente la meglio, scalzando almeno sei deputati democratici in carica. I Dem, invece, per ora non sono riusciti a fare lo stesso con nessun repubblicano.
Dei sei deputati democratici che hanno perso il loro posto, cinque sono stati battuti da candidate repubblicane donne. Si tratta di un dato importante, tanto più se si considera che il partito di Donald Trump contava fino a ieri solo su solo tredici donne alla Camera, contro le centodue dei democratici. Le cinque eroine repubblicane sono: Maria Elvira Salazar in Florida, Michelle Fischbach in Minnesota, Stephanie Bice in Oklahoma, Nancy Mace in Carolina del Sud e Yvette Herrell nel New Mexico. Il loro successo è la prova che il Grand Old Party (GOP) ha finalmente capito che per recuperare posizioni deve puntare di più sulle donne.
Nonostante l’exploit dei candidati repubblicani, la Camera dei rappresentanti resta comunque in mano ai democratici. Tra loro, ci sarà ancora Nancy Pelosi, ottant’anni, che ha staccato il ticket per un altro mandato, conquistando il dodicesimo distretto della California. Pelosi ha già detto di puntare di nuovo a essere eletta speaker della Camera. Comunque vada, per lei si prospettano margini di manovra sempre più risicati, non solo a causa dell’avanzata degli avversari. A influenzare gli equilibri sarà anche il consolidamento del fronte liberal, che ha nella deputata newyorchese Alexandria Ocasio-Cortez (nota più semplicemente come AOC) la sua figura di punta.
L’eroina dei progressisti ha riconquistato con facilità il suo seggio nel quattordicesimo distretto nello stato di New York, in quella che è stata una delle corse più costose di tutta la tornata elettorale. Godendo di un’enorme visibilità a livello nazionale, AOC è infatti uno dei principali bersagli del GOP, che ha fatto di tutto, anche dal punto di vista finanziario, per sbarrarle la strada. A questo proposito, grazie all’aiuto dei repubblicani di tutto il paese, il suo avversario, il repubblicano John C. Cummings, un ex poliziotto di sessant’anni, ha raccolto per la sua campagna più di dieci milioni di dollari. Non abbastanza, però, per frenare il ciclone Alexandria, che s’è guadagnata la rielezione con più del 68 per cento dei voti.
Oltre ad AOC, sono state riconfermate anche Ilhan Omar, somala naturalizzata statunitense (in Minnesota), la figlia di immigrati palestinesi Rashida Tlaib (in Michigan) e l’africano americana Ayanna Pressley (in Massachusetts). Le quattro deputate, tutte sotto i cinquant’anni, erano entrate in Congresso due anni fa cavalcando l’onda anti-Trump e si sono fatte notare proponendo politiche molto progressiste, come il Green New Deal. Sono note al grande pubblico con il nome di “The Squad”.
Our sisterhood is resilient. pic.twitter.com/IfLtsvLEdx
— Ilhan Omar (@IlhanMN) November 4, 2020
Una squadra che pare destinata ad allargarsi. Da un lato, infatti, altri due esponenti liberal molto visibili sulla scena nazionale sono riusciti a conquistare la rielezione. Si tratta di Pramila Jayapal, prima indiano-americana eletta alla Camera dei rappresentanti, ora al terzo mandato, e di Mark Pocan, deputato del Wisconsin molto vicino alla Squad.
Dall’altro lato, con questa tornata elettorale entrano in Congresso una serie di figure che promettono di dare nuova voce e linfa all’ala sinistra del Partito democratico. In questo senso, particolarmente simbolico è il successo di Cori Bush, prima africano americana nella storia a essere eletta nello stato del Missouri. Quarantaquattro anni, infermiera di professione, Bush è un’attivista del movimento Black Lives Matter.
Tre altre nuove stelle progressiste vengono poi dallo stato di New York. C’è l’africano americano Jamaal Bowman, quarantaquattro anni, direttore scolastico. Bowman è cresciuto nel Bronx, dove è stato picchiato dalla polizia all’età di undici anni. Molto impegnato contro il razzismo, come professore ha cercato riformare il sistema educativo. Ci sono poi Mondaire Jones, trentatré anni, e Ritchie Torres, trentadue anni, eletti alla Camera rispettivamente per il diciassettesimo e per il quindicesimo distretto di New York. Con le loro vittorie, Jones e Torres sono diventati i primi due africano americani dichiaratamente omosessuali a servire al Congresso. In particolare, Torres sarà il primo rappresentante gay che combina origini africano americane e latine.
Tuttavia, l’onda arcobaleno non c’è stata, nonostante i democratici avessero schierato un numero cospicuo di candidati LGBT. In Texas, Gina Ortiz Jones, candidata lesbica di origini filippine, è stata battuta da Tony Gonzales. Nell’Indiana, Pat Hackett, anche lei lesbica, non ce l’ha fatta contro la repubblicana Jackie Walorski. In Michigan il candidato gay Jon Hoadley ha perso contro il repubblicano Fred Upton e nello stato di Washington la candidata bisessuale Beth Doglio ha ceduto di fronte a un altra democratica, più moderata, la donna d’affari Marilyn Strickland.
Addirittura peggio è andata per le candidate della comunità ispanica. La Dem Candace Valenzuela, che puntava a diventare la prima “afro-latina” eletta al Congresso, è stata battuta in Texas da Beth Van Duyne. Christina Hale, in corsa per diventare la prima “latina” eletta al Congresso per lo stato dell’Indiana, ha perso contro la repubblicana Victoria Spartz. Georgette Gómez, che poteva essere la prima deputata latina membro della comunità LGBT, è stata sconfitta in California da un’altra democratica, Sara Jacobs.
Sempre per quanto riguarda la Camera, ancora due note, più o meno di colore. Alexandria Ocasio-Cortez perde il suo primato di deputata più giovane nella storia del Congresso, eletta a ventinove anni nel 2018. Il candidato repubblicano Madison Cawthorn ha infatti infranto questo record, facendosi eleggere a soli venticinque anni nell’undicesimo distretto della Corolina del Nord. Durante le primarie aveva vinto a sorpresa contro un candidato sostenuto da Donald Trump.
Infine, in questa tornata, il Grand Old Party ha contribuito a un altro record, facendo entrare alla Camera una complottista dichiarata, Marjorie Taylor Greene. La quarantaseienne, che Trump ha definito una “futura star repubblicana”, è un esponente di QAnon, gruppo estremista radicato negli Stati Uniti, che sostiene una serie di teorie bizzarre e pericolose. La più nota? Che Trump sarebbe un baluardo contro una rete globale di pedofili adoratori di Satana.
Anche nella corsa per il Senato le cose non sono andate come i Dem speravano. In gioco c’erano trentacinque seggi su cento. Stando ai dati attuali, i democratici sono riusciti a conquistare solo un seggio in più, risultato che assicura ancora ai repubblicani il controllo della camera alta. In particolare, decisamente deludente è stata la performance dei candidati africano americani.

Al momento ci sono solo tre senatori neri: Cory Booker, Tim Scott e Kamala Harris. Quest’anno, oltre a Booker, erano della partita ben altri sei candidati africano americani. Per i democratici: Marquita Bradshaw in Tennessee, Mike Espy in Mississippi, Jamie Harrison in South Carolina, Adrian Perkins in Louisiana e Raphael Warnock in Georgia. Per i repubblicani, John James, che corre in Michigan. A parte Booker, che è stato riconfermato, James che è in testa in Michigan quando restano ancora delle schede da spogliare, e Warnock, che andrà al ballottaggio, gli altri quattro sono fuori dai giochi.
Anche da questo punto di vista, quindi, non s’è assistito all’atteso impetuoso exploit dei candidati delle minoranze, che avrebbe dovuto trainare la corsa del Partito democratico e del suo presidente. Ci sono stati, più modestamente, una serie di passi in avanti. Sarà abbastanza per inaugurare una nuova era?

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