Cosa ci serve? Molti si nutrono di aggettivi, ma in realtà ci servono le storie… È questo uno dei grandi motivi di attrazione che mi ha accompagnato leggendo il libro e le interviste di padre Antonio Spadaro sullo scrittore Raymond Carver. Come le parole di Carver, quelle di Spadaro sanno metterci in ascolto del mare, sia se parla di fede sia se parla, come ha fatto per anni, di letteratura. Tutto sommato era ancora il 2011, ben prima dunque dell’elezione dell’attuale pontefice, quando sapeva affermare che “solamente la debolezza e il pessimismo portano ad erigere muri e a serrare i ranghi”.
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Quello di Carver, ci dice subito, è un realismo umanista. E leggendo lo si capisce bene, tanto che in un suo racconto un cieco sa prendere la mano di un suo amico per disegnare insieme una cattedrale e indurlo a chiudere gli occhi, per vederla: fantastica. È la conclusione di Cattedrale: “E adesso chiudi gli occhi”, ha aggiunto, rivolto a me. L’ho fatto. Li ho chiusi proprio come m’ha detto lui. “Li hai chiusi?”, ha chiesto. “Non imbrogliare”. “Li ho chiusi”, ho risposto io. “Tienili così”, ha detto. Poi ha aggiunto:
“Adesso non fermarti. Continua a disegnare”. E così abbiamo continuato. Le sue dita guidavano le mie mentre la mano passava su tutta la carta. Era una sensazione che non avevo mai provato prima in vita mia. Poi lui ha detto: “Mi sa che ci siamo. Mi sa che ce l’hai fatta”, ha detto. “Da’ un po’ un’occhiata. Che te ne pare?” Ma io ho continuato a tenere gli occhi chiusi. Volevo tenerli chiusi ancora un po’. Mi pareva una cosa che dovevo fare. “Allora?”, ha chiesto. “La stai guardando?” Tenevo gli occhi ancora chiusi. Ero a casa mia. Lo sapevo. Ma avevo come la sensazione di non stare dentro a niente. “È proprio fantastica”, ho detto.
Ho potuto contattare e conoscere padre Antonio Spadaro per un’intervista che ha rilasciato anni fa, quando divenne direttore de La Civiltà Cattolica, e parlò della spiritualità ignaziana alla luce del “cercare e trovare Dio in tutte le cose”. Lo chiamai per un approfondimento proprio su questo, e quelle parole spiegate – non so se capite – hanno portato la spiegazione a riverberare significati. Avrei dovuto leggere meglio per capire, bastava quel che aveva detto in quell’intervista:
Scrivere per noi non significa dunque mettere un punto fermo sulle questioni, ma avviare un dialogo con l’uomo d’oggi riconoscendo le sue profonde tensioni spirituali, dovunque e comunque esse si esprimano.
Ma se avessi letto meglio avrei perso altri riverberi. Questo avviene più facilmente quando si avvia un dialogo e proprio questo mi è tornato subito in mente leggendo il suo libro su Carver, quando spiega che la sua continua riscrittura dei testi, la revisione, non è “un cesello”, ma un “processo” e cita l’autore:
può darsi che io corregga perché così facendo mi avvicino pian piano al cuore dell’argomento del racconto. Sento di dover continuamente tentare di scoprirlo. È un processo, non una posizione stabile.

Non mi occupo di letteratura se non come chiunque di noi, non capisco molto la critica letteraria, ma questa idea di processo mi ha condotto a cercare un rapporto con il testo, Creature di caldo sangue e nervi. La scrittura di Raymond Caver, e con quel che ho potuto leggere di lui fuori dal testo. In realtà per me la scintilla c’è stata quando Spadaro, qualche pagina prima, spiega che la poesia è discernimento. Infatti nella poesia di Carver, e nella guerra con gli aggettivi, combattuta insieme al suo editor in un rapporto complesso e descritto benissimo, non si arriva a capire qualcosa di noi, a sentire quelle parole come conchiglie che ci fanno ascoltare il mare? È una felicissima espressione di Spadaro, che ci aiuta a riscoprire cosa sia una “parola”. Il testo folgorante di Carver lo spiega; Spadaro ce lo presenta già a pagina 6, impossibile non proseguire dopo averlo letto:
E hai ottenuto quello che
volevi da questa vita, nonostante tutto?
Sì.
E cos’è che volevi?
Potermi dire amato, sentirmi
amato sulla terra.
Quando in un’intervista Spadaro dice, appunto, che le parole sono conchiglie, io che non conoscevo Carver (anche ora lo conosco pochissimo, ma recupererò) ho pensato alla poesia che ho più amato da ragazzo, “Conchiglia” di Garcia Lorca. Ho ricordato il cuore che si riempie di acqua e di pesciolini grazie a quella conchiglia, ma anche di non aver mai capito che quella conchiglia è in ogni parola, anche di quella poesia.
Davvero sono le storie a fare la vita, la nostra vita. Da quando scrisse di Carver a 34 anni, forse chiedendosi cosa volesse dalla vita, il 54enne Spadaro dice all’Osservatore Romano:
Vivere significa guardarsi attorno, per trovare lì la fonte dell’ispirazione. Questo mi ha insegnato Carver in questi anni: trovare storie dappertutto. E a leggere la mia vita in termini di storie, e non certo di obiettivi e risultati raggiunti.
Siamo fatti di incontri… Per questo amore e solitudini sono argomenti cruciali.
Verso la fine del libro Spadaro ci invita a una lettura fonica della poesia citata e questo mi ha immediatamente portato a quel che ho sempre desiderato capire, senza poterci riuscire, del Corano. Molti mi hanno parlato del “miracolo musicale” del testo sacro dei musulmani, da salmodiare proprio per questo irripetibile flusso forse mistico, di certo melodioso di suoni. Spadaro legge il testo di Carver nella durezza delle “d” e “t” della domanda (what, did, get, wanted) e nella dolcezza delle “l” della risposta (call, beloved, feel) e ci svela che “questo è anche l’epitaffio sulla tomba di Carver”. Ho voluto provare, ho letto ad alta voce
And did you get what
you wanted from this life, even so?
I did.
And what did you want?
To call myself beloved, to feel myself beloved on the earth

È un’esperienza nella quale le conchiglie di Carver ci parlano con quattordici “d” e “t” nella prima parte e sette “l” nella seconda; il conto fatto dall’autore del volume è giusto.
Carver è noto soprattutto per i suoi racconti. Ciò che colpisce nella prosa delle sue prime raccolte, esclusa “Cattedrale”, è senz’altro l’incredibile rapidità ed essenzialità espressiva. Sembra che il testo sia stato prosciugato da qualsiasi elemento inutile. Carver era istintivo e non credeva a lunghe preparazioni in vista della scrittura. I suoi racconti spesso nascono solamente da una frase ascoltata per caso o da situazioni colte fotograficamente all’interno della vita ordinaria. Tanto rapida era l’ispirazione, tanto immediata la prima stesura del testo a presa diretta sulla realtà.” Non c’è bisogno di droghe o di luoghi esotici per “notare storie che colpiscano il lettore nel profondo”.
Già, ma perché lo colpiscono? Perché ci colpiscono? Forse è vero che nel nostro bisogno di sentirci amati, sulla terra, viviamo in un lockdown esistenziale precedente quello fisico? La domanda è mia; per Spadaro, nell’intervista citata, che ci sia un lockdown esistenziale appare una constatazione. Allora l’arte, l’espressione artistica, a cosa serve? L’uomo è mistero, fa dire Carver a Dostojevski:
mi dedicherò a questo mistero perché voglio essere un uomo. L’intenzione profonda è di descrivere la realtà quotidiana e l’azione per svelare un mistero o almeno sentirne la presenza.
Quello di Carver dunque non è un realismo oggettivo, impersonale, neutrale, ma “umanista”. Proprio il racconto citato, Cattedrale, forse, ci può aiutare a capire anche dal punto di vista dello stile:
“Sei stanco? Vuoi che ti porti di sopra, a letto? Sei pronto per metterti a nanna?” “Ancora no”, ha risposto. “No, starò alzato con te ancora un po’, fratello. Se non ti dispiace. Starò su finché non sei pronto per ritirarti. Non abbiamo avuto la possibilità di fare due chiacchiere. Capisci che cosa voglio dire? Mi è parso che io e lei abbiamo un po’ monopolizzato la serata”. Ha sollevato di nuovo la barba e l’ha lasciata ricadere. Ha raccolto il pacchetto di sigarette e l’accendino. “Non ti preoccupare”, l’ho rassicurato. Poi ho detto: “Anzi, mi fa piacere un po’ di compagnia”. E mi sa che era vero.
Certamente il Carver che commuove immediatamente anche chi non lo aveva mai letto è certamente quello che sente approssimarsi la morte ancora giovane, in Il nuovo sentiero per cascata, con citazioni che non possono non arrivare, come
Mi è rimasto – quant’altro tempo?
È ora di smetterla di perder tempo.
L’uomo è compresso in situazioni di non-amore: incomunicabilità, vuoto, piccole e grandi tragedie quotidiane. Le sue piccole paure sono riflesso della sua estrema fragilità, di una radicale paura della morte che evoca tenerezza e fa comprendere il radicale bisogno di “sentirsi amati sulla terra.” Questo frammento ha la forza di una spada perché è capace di giungere al cuore delle domande di una vita che tenta un bilancio.
Dunque la poesia che questo libro ci presenta e ci invoglia a leggere è questione di vita o di morte, nel senso di ciò che più conta per Carver e per chi lo legge: “La prossima poesia che scriverò avrà della legna proprio al centro, legna da ardere” come dice all’inizio di un’altra composizione.
Così, diventa estremamente interessante che padre Spadaro abbia scritto, twittato:
Sant’Ignazio di Loyola invitava all’inizio di ogni preghiera a “chiedere ciò che voglio”. Chiedere ciò che si vuole non vuol dire chiedere “questo o quello”, vuol dire “cosa voglio?”
Lo sappiamo?
Leggere questo libro mi ha aiutato molto, in questo lockdown esistenziale:
il cuore è una porta d’ingresso che permette al mondo esteriore di entrare nel mondo interiore.


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