“El comandante” e “El pibe de oro”. Il racconto di come nacque un’amicizia

L’autore era casualmente a Cuba e fu invitato come giornalista straniero a partecipare alla cerimonia di assegnazione del premio come miglior sportivo latinoamericano da parte di Fidel Castro a Diego Armando Maradona.
ALDO GARZIA
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Di un viaggio a Cuba di Diego Armando Maradona s’iniziò a parlare nel 1987, quando vinse un premio come miglior sportivo latinoamericano. La premiazione si svolse l’anno dopo all’Avana. Maradona arrivò puntuale e ricevette il riconoscimento dalle mani di Fidel Castro. I due s’abbracciarono a lungo. Diego era commosso. Chi non conosce l’America Latina non può sapere cosa abbia rappresentato Fidel, al di là delle sue scelte politiche, per la maggioranza dei latinoamericani: indipendenza, orgoglio, riscatto dal potente vicino del nord. 

A Cuba lo sport nazionale è il baseball (“la pelota” come la chiamano i cubani), ma ci fu molto entusiasmo popolare per l’arrivo di colui che aveva portato la Coppa del mondo in Argentina (la vittoria al Mundial del 1986). E poi c’era la fama per il primo scudetto del Napoli 1986/1987 (il secondo sarebbe arrivato nel 1990/1991). Io ero casualmente a Cuba e fui invitato come giornalista straniero a partecipare alla cerimonia. Nacque un’amicizia tra “el pibe de oro” e “el comandante”. Maradona se ne infischiò di quanto un abbraccio prolungato con Fidel potesse influire negativamente su sponsor e tifoserie. A quell’epoca esisteva ancora l’Unione sovietica e il mondo era rigidamente diviso in due. 

Maradona ebbe in quell’occasione parole di affetto per l’argentino Ernesto Che Guevara e per Cuba. Noi presenti rimanemmo colpiti da questo inedito Maradona “politico”. Io, in particolare, fui impressionato dal fisico tracagnotto niente affatto armonioso dell’idolo del calcio e dal suo parlare con un vocabolario povero. Poi sarebbe toccato a Gianni Minà narrarci negli anni successivi la storia di Diego Armando: umili origini, voglia di riscatto sociale, l’incontro prima con Barcellona e poi con Napoli, le vicissitudini nel rapporto con la droga, la fine della carriera, la stella appannata negli ultimi anni di vita del miglior calciatore del mondo.

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Dopo il 1988, Maradona è tornato innumerevoli volte a Cuba. Si è fatto tatuare prima sul braccio un’immagine di Che Guevara, poi quella di Fidel su uno stinco. Poi ancora sono venute dichiarazioni politiche a sostegno non solo di Cuba ma del Venezuela di Hugo Chávez e di tutti gli esperimenti progressisti degli ultimi anni (dalla Bolivia al Brasile). Lui stava a sinistra e con gli ultimi, lo diceva. A volte, lo urlava. Come può farlo un personaggio noto che masticava politica solo per istinto e non aveva mai studiato. In Argentina si schierò di recente con Nestor Kirchner mentre lo adoravano le madri di Plaza de Mayo. 

Maradona era amico di due grandi scrittori latinoamericani: Osvaldo Soriano ed Eduardo Galeano. Il primo, ex calciatore, si vantava di aver scoperto Maradona e di averlo segnalato al Torino al suo amico scrittore Giovanni Arpino. Soriano e Galeano hanno scritto pagine di bella letteratura raccontando di calcio e Maradona. Soriano, nel 1990, accettò di seguire il Mundial che si svolgeva quell’anno in Italia per il manifesto. Passò oltre un mese e mezzo con noi della redazione tra fine maggio, giugno e luglio. Lo prese in consegna Flaviano De Luca, il nostro redattore che si occupava di calcio e che lo accompagnava negli stadi. Soriano ovviamente tifava per la sua Argentina capitanata da Maradona, mentre noi sostenevamo timidamente l’Italia che nei primi incontri ci aveva fatto ben sperare con i gol di Salvatore Schillaci e in quanto padroni di casa del torneo.

Fu grande la delusione di Soriano quando l’Argentina perse la finale con la Germania per 1 a 0. Lui era riuscito a incontrare qualche giorno prima Maradona a Trigoria, dove si allenava con la sua nazionale: ci raccontò la tensione emozionale dell’incontro. Gianni Minà gli aveva fatto da passepartout. Quando l’Argentina eliminò l’Italia ai calci di rigore dopo l’1 a 1 con cui si erano conclusi i tempi regolamentari a Napoli, Soriano per celare il suo entusiasmo si spacciò per un tifoso uruguaiano. A fine incontro si infilò in un taxi e andò in stazione per fare ritorno a Roma nascondendo il suo entusiasmo. Ci raccontò l’episodio il giorno dopo in redazione potendo finalmente sfogarsi senza remore e urlando il nome di Diego Armando. Maradona ha ripagato Soriano e Galeano con dichiarazioni d’amore al momento della loro morte.

23 giugno 1987

Diego Armando ha passato molto tempo a Cuba agli inizi degli anni Duemila. Non riusciva a liberarsi dalla dipendenza dalla droga. Fidel Castro lo invitò a curarsi nell’isola. Lo accolsero al Centro La Pradera, una clinica/albergo dalla denominazione “Centro de restauración neurologica”. Maradona aveva bisogno di un forte sostegno psicologico oltre che di una cura disintossicante. Attorno a La Pradera, zona Siboney dell’Avana, quartiere Playa, c’era quasi sempre una folla di curiosi e giornalisti. Si vociferava della sua lotta impari contro l’assuefazione alla droga, delle sue notti folli a base di rum e donne (Maradona ha riconosciuto tre figli a Cuba). 

Negli ultimi anni tornava presso La Pradera ogni volta che stava peggio. Lo aspettavano anche in questi giorni, dopo l’operazione alla testa dello scorso 6 novembre. Nel 2004 aveva chiamato a Cuba anche il suo amico Marco Pantani che fu ospite de La Pradera. Il ciclista morì a Rimini il 14 febbraio del 2004, causa overdose. Pochi sanno che il giorno prima Pantani era all’Avana insieme a Maradona. Se ne andò d’improvviso perché probabilmente non reggeva la cura disintossicante.

Il 25 novembre di quattro anni fa morì Fidel Castro, Maradona andò a Cuba per i suoi funerali. Questo 25 novembre è toccato a lui morire, in una bizzarra coincidenza.


Le immagini sono tratte da Granma.Cu

“El comandante” e “El pibe de oro”. Il racconto di come nacque un’amicizia ultima modifica: 2020-11-26T13:02:19+01:00 da ALDO GARZIA
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