Gli anni reaganiani. C’era uno come Diego e il calcio era ancora uno sport

Poi sono arrivati i miliardi, le televisioni a pagamento, gli sceicchi e persino uno come Maradona è sembrato a lungo anacronistico.
ROBERTO BERTONI BERNARDI
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Gli anni Ottanta sono stati un decennio orribile per molti motivi: politici, sociali e, soprattutto, economici. Nel calcio, tuttavia, sono stati l’ultimo decennio prima dell’abbattimento del Muro di Berlino, della “fine della storia” e del trionfo di un modello di business che ci ha reso tutti peggiori, più soli, più fragili e più invidiosi, incapaci di accettare i limiti dell’altro e di comprenderne l’umanità e la grandezza al netto dei difetti.

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Diego Armando Maradona è stato l’esempio più fulgido di quel decennio, con la sua battaglia politica condotta sui campi di calcio, la sua generosità spinta all’estremo e il suo dare del tu a tutti i Sud del mondo, dal Sudamerica dolente delle origini alla sua Macondo napoletana. Diego fu grande nella Serie A dei Platini, dei Falcao, degli Zico, dei Cerezo, dei Van Basten e di mille altri fenomeni, quando l’Italia campione del mondo era la Mecca del calcio.

Tuttavia, era anche il calcio di Enzino Bearzot e della sua pipa pertiniana, di un friulano verace come Cesare Maldini, dei presidenti tuttofare Anconetani e Rozzi, del capitano dell’Avellino Salvatore Di Somma che scava fra le macerie dell’Irpinia sconvolta dal terremoto, di Scirea che si vergogna di aver festeggiato uno scudetto fino all’alba di fronte agli operai della Fiat che a quell’ora varcavano i cancelli di Mirafiori, delle poche, pochissime parole di Dino Zoff, del palermitano Furino che la Torino bianconera aveva reso grande pur non essendo certo Maradona, di Beniamino Vignola, eroe di una sola notte a Basilea, del riscatto di Pablito in terra di Spagna, dopo la tragedia del Calcioscommesse, dei duetti alla Domenica Sportiva fra Beppe Viola e Gianni Brera, dei duelli verbali fra Prisco e Agnelli, degli scontri in punta di fioretto fra Boniperti e Dino Viola, di Carlo Nesti a bordocampo e Martellini ai microfoni, di Tonino Carino da Ascoli e di “bisteccone” Galeazzi fradicio di Champagne negli spogliatoi del San Paolo, mentre intervista Diego portato in trionfo dal suo popolo e dai compagni dopo il primo scudetto.

Sono gli anni in cui si afferma a Firenze un giovanotto di Caldogno di nome Roberto Baggio e in cui la Milano rossonera si tinge di orange e quella nerazzurra si innamora dei tedeschi cresciuti a Ovest, i panzer figli dell’Ostpolitik di Brandt, ex borgomastro di Berlino e socialdemocratico sapiente, la cui maggiore intuizione fu che “la storia non conosce la parola mai”.

Sono gli ultimi giorni in cui Bagnoli può recarsi al campo d’allenamento del Verona in bicicletta e condurre gli scaligeri all’unico, storico scudetto della loro storia, fra uno sfottò rivolto ai napoletani e una degna risposta di questi ultimi. Poi sono arrivati i miliardi, le televisioni a pagamento, gli sceicchi e persino uno come Maradona è sembrato a lungo anacronistico. Per poi rinascere oggi che tutta questa perfezione di facciata, colma di laceranti disuguaglianze, ci ha sinceramente stancato.

Pallone, e non solo.
Gli eroi del calcio e dello sport
ritratti da Roberto Bertoni

Gli anni reaganiani. C’era uno come Diego e il calcio era ancora uno sport ultima modifica: 2020-11-26T20:01:53+01:00 da ROBERTO BERTONI BERNARDI
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