[ATENE]
Nelle Chiese ortodosse la comunione si fa offrendo al fedele vino, di solito dolce, e pane, non ostia. Il prete offre vino e pane su un cucchiaino, dopo averlo immerso nel calice. Il cucchiaio ha l’antico nome di “lavida” ed è di solito in metallo prezioso, come tutti gli oggetti liturgici. Il problema è che lo stesso cucchiaino è usato per tutto il gregge. Non c’è scritto da nessuna parte ma tale è la tradizione e tutti sappiamo che tutte le Chiese, non solo gli ortodossi, vivono di fede ma ancor di più di tradizione.
Con l’epidemia di coronavirus si è posto prepotentemente il problema del cucchiaino in comune. È stato posto più dall’opinione pubblica che dalle autorità civili, bisogna dire, dal momento che l’attuale governo di destra non osa discutere le decisioni del Santo Sinodo, anche quando il Santo Sinodo si guarda bene dal discutere e ancor meno decidere sul giusto comportamento del clero di fronte all’epidemia.

Lasciati quindi soli i vari vescovi e i parroci a comportarsi ognuno come gli sembra, è emersa in tutto il suo splendore la profonda crisi spirituale ma anche culturale del clero greco di Grecia. Dico greco di Grecia non per pleonasmo ma perché c’è clero greco anche nel Patriarcato di Costantinopoli, a Cipro, nel Patriarcato di Gerusalemme, ad Alessandria etc., spesso di prima qualità. Ma in Grecia si diventa preti dopo aver frequentato un corso di un anno, dedicato quasi del tutto alla tecnica liturgica. Chi invece termina gli studi nelle facoltà di teologia si mantiene celibe in modo da aprirsi rapidamente la strada verso una splendida carriera ecclesiastica. Chi diventa semplice sacerdote molto spesso è un giovane in cerca di un posto di lavoro, indifferente verso la fede e ignorante verso quasi tutto del cristianesimo, che pure non si può dire che sia una religione semplice. Non è un caso che il clero della Chiesa autocefala di Grecia sia sistematicamente trattato con lezzi e ghigni ironici non solo da cattolici e protestanti ma anche (e soprattutto) dalle altre Chiese ortodosse.
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In poche parole, di fronte all’epidemia il clero greco spesso s’è comportato in maniera molto peggiore del suo gregge. Ha abbracciato quasi in toto la tesi complottista e negazionista, aggrappandosi, in mancanza di altri contenuti, magari evangelici, al cucchiaino come prova vivente della miracolosa transustanziazione divina che non ammette incertezza alcuna. Chi teme il contagio attraverso “lavida” è infedele, miscredente, dannato, organo di satana. Niente cucchiaini monouso di plastica, anche se altre Chiese ortodosse li hanno adottati. Ma si sa, la “vera ortodossia” vive solo in Grecia, mentre in Serbia, Russia e negli altri paesi “il comunismo forse ha annacquato la fede”. E anche se così non fosse, chi sono questi “slavi barbari” che danno lezioni di fede a noi, che “leggevamo i Vangeli nella nostra lingua quando costoro ancora non avevano una scrittura”.
Con questi molto civili, cristianissimi e soprattutto cortesi argomenti il clero greco, tuttora stipendiato dalla cassa pubblica, ha alzato il santo labaro della “lavida” e per molti mesi non si è piegato al vile diktat satanico mirante a “scristianizzare” il paese. Internet si è riempito di brevi video in cui barbuti parroci di remote isolette e paesi sperduti predicavano il dogma assoluto del consumo di “corpo e sangue” di Nostro Signore, escludendo qualsiasi potenziale pericolo di contagio. Ancora peggio quando certi metropoliti venivano invitati in tv: “Bestemmia! Nostro Signore trasmette il virus? Mai!”. Sapendo poi che, dal punto di vista culturale, le tv private greche sono anche peggio dei preti semianalfabeti che sbagliano tutte le declinazioni, gli inviti in studio verso i chierici si sono moltiplicati e così anche i parroci con un minimo di senso comune si sono visti costretti a conformarsi in qualche modo all’ondata di idiozia clericale.

Mentre quindi in primavera la Grecia ha affrontato, malgrado le grida scomposte del clero, in maniera soddisfacente l’epidemia, non è successo lo stesso con la seconda ondata. Una parte di responsabilità, non tutta, sicuramente va attribuita a questo atteggiamento inconsulto del clero.
A un certo punto però l’ondata di negazionismo si è trasformato in boomerang. Da metà novembre abbiamo cominciato ad avere centinaia di sacerdoti ricoverati e decine di deceduti a causa dell’epidemia. Ne sono rimasti vittime anche i gradi più alti della gerarchia: attualmente sono in terapia intensiva l’arcivescovo di Atene Geronimo e l’arcivescovo d’Albania Anastasio, due prelati di profonda spiritualità, stimati e rispettati, mentre è deceduto il metropolita di Langadas Ioannis e sono stati ricoverati l’ex vescovo di Kalavrita, costretto alle dimissioni a causa dei suoi proclami estremisti, e quello di Kitros Georgios.

Di colpo, quindi, quello che fino a ieri era un peccato capitale, da denunciare in ogni occasione, all’improvviso è scomparso. I preti negazionisti non hanno visto la luce ma almeno stanno zitti e l’argomento “comunione” di colpo è sparito dai loro proclami. Hanno forse abbandonato la “lavida” per adottare finalmente gli eretici cucchiaini di plastica? So che questo è avvenuto in molte parrocchie, spesso con i fedeli che protestavano per l’improvvisa svolta, ma non escludo che in altre si continui nella maniera tradizionale. In fondo, lo sappiamo tutti: Nostro Signore chiama presso di sé i migliori. Sempre.

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