[PARIGI]
Il monopolio del cuore. Per molti il ricordo di Giscard d’Estaing è legato al confronto con François Mitterrand quando l’allora candidato dell’Unione delle sinistre, uscito in vantaggio dal primo turno delle presidenziali del 1974, attaccò duramente il candidato centrista sulla ripartizione della ricchezza “una questione d’intelligenza”, “una questione di cuore”, disse il socialista. VGE, come poi sarà conosciuto Giscard, rispose lapidario che era “scioccante e doloroso rivendicare il monopolio del cuore”: “no, Monsieur Mitterrand, lei non ha il monopolio del cuore”, “anch’io ho un cuore che batte col suo ritmo”. Una frase che, secondo lo stesso Giscard, gli fece vincere la presidenza.
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Con la morte avvenuta ieri, per complicazioni dovute al Covid-19, dell’ex presidente se ne va una delle figure politiche più longeve della politica francese, il rappresentante di quella destra “orleanista” e liberale il cui contributo alla modernizzazione del paese e al processo d’integrazione europea è stato decisivo e innegabile. Una storia segnata anche da scandali e da lotte politiche durissime, soprattutto a destra, quando la guerra fratricida tra il presidente e Jacques Chirac, sua nemesi, contribuì alla vittoria di Mitterrand nel 1981.
Con il socialista e Chirac, Giscard condivide un percorso politico simile. Non solo universitario o professionale. I tre hanno incarnato in maniera molto diversa le capacità di resistenza e di re-inventarsi della classe politica francese. Perché, quando è in gioco la sopravvivenza politica personale, non esiste alcuna “aderenza” ideologica fissa e immutabile. Mitterrand parte da Vichy e arriva a essere, ancora oggi, il simbolo senza macchia della sinistra francese. Chirac inizia la politica nei ranghi comunisti e finisce per rappresentare varie destre nella fasi della sua vita, da quella anti-europeista e nazionalista a quella liberale “alla francese”. Giscard dei tre è forse quello che ha il percorso più coerente, per quanto fatto di posizionamenti di volta in volta convenienti: le sue proposte politiche “centriste”, liberali in economia e nel campo dei diritti civili, nel tempo non sono mutate.
Prima di Macron è stato soprattutto uno dei presidenti più europeisti in un paese che non ha una lunga tradizione di leader politici favorevoli al processo d’integrazione europea. È come se Giscard però avesse già marchiato nella sua storia personale quest’impegno per la riconciliazione e l’integrazione europea. VGE nasce infatti nel 1926 nella Renania occupata dall’esercito francese in seguito al Trattato di Versailles. Qui infatti lavorava il padre, un “nobile” funzionario ministeriale. Una nobiltà quella della famiglia Giscard ottenuta per decreto, quando al nonno, a capo di una famiglia della ricca e alta borghesia francese, fu concesso di aggiungere d’Estaing al nome di famiglia.
Come molti dei politici francesi, Giscard ha la possibilità di frequentare alcune delle scuole migliori del paese, quelle che aprivano – e aprono tuttora – molti percorsi professionali. Studi che il diciottenne futuro presidente interrompe per partecipare alla liberazione di Parigi nel 1944 seguito poi dall’arruolamento nell’esercito francese che parte per la liberazione della Germania. Al ritorno frequenta l’École polytechnique e poi, ovviamente, l’Ena, la Scuola nazionale d’amministrazione, la fucina dei talenti politici francesi. Inizia quindi una carriera come funzionario del ministero delle finanze. E poi il salto nella politica, quando decide di candidarsi nel 1955 come deputato nel seggio che fu del nonno e del bisnonno materni, nella lista del Centre national des indépendants et paysans (Cnip), un partito centrista e conservatore della Quarta repubblica francese.
È il passaggio alla Quinta repubblica che segna però la svolta politica personale di Giscard. Il giovane deputato vota la fiducia al governo di Charles de Gaulle e ne è premiato con il posto di segretario di stato alle finanze. A soli trentadue anni Giscard riesce a farsi spazio nella politica che conta: è il solo segretario di stato a intervenire regolarmente al consiglio dei ministri, dove difende le ragioni dell’Algeria francese. È considerato da De Gaulle come il vero responsabile del ministero delle finanze, una carica che otterrà soltanto nel 1962 ma che manterrà a più riprese per molti anni. Una prima volta con Charles de Gaulle presidente e Georges Pompidou primo ministro fino al 1966, quando decide di dimettersi. Sono gli anni in cui Giscard si pone l’obiettivo di ripristinare l’equilibrio di bilancio dello stato francese, un obiettivo che secondo il ministro delle finanze doveva essere parte degli obblighi costituzionali francesi, e che raggiunge grazie all’aumento delle tasse. Giscard rappresenta soprattuto negli anni della presidenza de Gaulle la voce della moderazione rispetto ai propositi talvolta radicali del generale-presidente. Ma le politiche di rigore gli costano il posto. Un’occasione però che Giscard non spreca: in pochi anni crea un proprio partito, chiama a raccolta i moderati del paese e diventa la voce critica del centro, prima dentro e poi fuori della maggioranza gollista, nei confronti del presidente-generale.
Quando de Gaulle si dimette, Giscard sosterrà Georges Pompidou come presidente. Un sostegno ricompensato: comincia la sua seconda esperienza come ministro delle finanze. Una carica che occuperà fino al 1974 quando è eletto a sua volta presidente. Negli anni di governo l’obiettivo di Giscard è infatti la successione a un Pompidou sempre più malato. Il principale avversario è il primo ministro Jacques Chaban-Delmas, visto a destra come il probabile successore del presidente.
Quando però Pompidou muore, a destra le candidature si moltiplicano. Tra queste quella di Giscard che dalla sua regione, l’Auvergne, lancia la propria candidatura “per guardare la Francia negli occhi”, proponendo una serie di misure di modernizzazione economica e sociale del paese. È durante queste elezioni che succede uno di quei “capolavori” della politica francese. Chaban-Delmas, che si proponeva come il vero successore della linea gollista, è sabotato a destra da un giovane leader parlamentare del suo stesso partito: Jacques Chirac. Il futuro presidente della repubblica invita i gollisti a sostenere la candidatura di Giscard, col quale fa un accordo che lo porterà a essere il primo ministro del presidente. Un “tradimento” di cui saranno vittime lo stesso Giscard alle presidenziali del 1981 e poi Chirac, da parte di Giscard, alle presidenziali del 1988.

Quella che si apre con la presidenza di Giscard è una reale fase di modernizzazione del paese. In molti ambiti. La stessa campagna elettorale di VGE è del tutto nuova: le immagini e i video del ministro-candidato che scia o gioca a calcio fanno il giro del paese. Così il sostegno delle varie celebrità dell’epoca. Una campagna all’americana per un presidente che si proponeva come il JFK francese e che posa, novità assoluta, in un manifesto elettorale accanto alla figlia tredicenne. E poi gadget, striscioni, t-shirt: il merchandising elettorale si fa strada nella “vecchia Europa”, in un paese che fa dell’eccezionalismo culturale un elemento di pregio e di distinzione da conservare.
Piano piano Giscard sale nei sondaggi e al primo turno delle elezioni presidenziali arriva secondo (32 per cento), più del doppio dei voti di Chaban-Delmas (15 per cento). VGE se la dovrà vedere al secondo turno con François Mitterrand (43 per cento al primo turno), in uno scontro epico tra i due segnato dal primo dibattito televisivo tra candidati presidente. Giscard vincerà con più di quattrocentomila voti di distacco, la competizione più serrata della Quinta repubblica. E diventa a quarantotto anni uno dei presidenti più giovani della storia francese.
“Oggi comincia una nuova era della politica francese, quella del ringiovanimento e del cambiamento della Francia” dice nella sua prima dichiarazione da presidente. L’americanizzazione della campagna elettorale è solo uno degli aspetti più manifesti del cambiamento proposto da Giscard. Per la prima volta il presidente posa nella foto ufficiale senza tutto l’armamentario “sacrale” del ruolo, semplifica il rituale dell’Eliseo, fa modificare le modalità di esecuzione troppo militaresche della Marsigliese, si esprime in inglese in occasione delle interviste internazionali.
Il nuovo presidente si propone di trasformare la Francia in una “società liberale avanzata”, per colmare il divario tra le istituzioni e la società di un paese che è passato attraverso il Sessantotto e che è cambiato profondamente. E il primo gesto del presidente è rivolto ai giovani: fa portare diciotto anni la maggiore età, nonostante potesse rappresentare un problema visto il sostegno di cui godeva la sinistra nel mondo giovanile di allora.
Il nome di Giscard è però legato anche alla legalizzazione dell’aborto che divise la maggioranza di destra di allora. La legge ideata e sostenuta da Simon Veil, allora ministro della salute, passa soltanto grazie al voto della sinistra, in una drammatizzazione del dibattito parlamentare senza precedenti, dovuta alle riprese televisive e al pianto in diretta del ministro Veil per gli insulti ricevuti dai deputati della destra. All’aborto seguì poi la legge sul divorzio, che rese più semplice la possibilità dei coniugi di interrompere il matrimonio.
E poi l’austerità, la crisi economica e sociale che i governi guidati da Chirac prima e Raymond Barre più tardi non riescono a risolvere. Chirac lascia nel 1976 in dissenso col presidente della repubblica e col suo tentativo di “giscardizzare” i gollisti. L’ex primo ministro comincia una guerra personale contro Giscard schierandosi di volta in volta nella posizione opposta a quella del presidente in carica: dalle relazioni internazionali – è Giscard che propone la nascita del G5 poi G7 – alla politica europea, Chirac è un feroce critico del presidente.
Sull’Europa i due politici sono su posizioni radicalmente diverse. Mentre Chirac in questa fase sostiene un ritorno dei poteri agli stati membri, Giscard con il cancelliere tedesco socialdemocratico Helmut Schmidt è all’origine della creazione del Consiglio europeo e dell’elezione diretta del Parlamento europeo, dove riesce a far eleggere Simone Veil presidente. Una relazione fruttuosa quella tra il presidente e Schmidt che rilancia la cooperazione franco-tedesca con la creazione del Sistema monetario europeo, il “nonno” dell’euro.
Con l’avvicinarsi delle elezioni Giscard tenta di darsi una base più solida per una ricandidatura che sembra a molti scontata. Ma non certa. Nel 1979 Le Canard enchaîné pubblica infatti dei documenti che accusano Giscard di avere ricevuto dei diamanti dal dittatore della Repubblica centroafricana Bokassa per un valore di un milione di franchi. Le Monde e Le Point seguono la strada del giornale satirico e chiedono conto al presidente del regalo ricevuto da Bokassa.
Il presidente nega che il valore del diamanti sia quello riportato dai giornali e sostiene che i regali ricevuti dalle autorità straniere sono nella disponibilità delle istituzioni e non personale. Molti anni più tardi sia Le Monde sia altre inchieste parleranno di manipolazione politica della vicenda. Il danno però è fatto e l’associazione del nome di Giscard ai diamanti diventa un’arma straordinaria nella mani dell’opposizione.

Quando Giscard si lancia nella campagna elettorale del 1981 contro François Mitterrand, questa volta candidato solo socialista, Jacques Chirac, a capo dei neogollisti, e Georges Marchais, lo storico leader del Pcf, la battaglia è molto difficile. Al primo turno Giscard arriva in testa col 28 per cento, Mitterrand secondo con quasi il 26 per cento: fuori Chirac (18 per cento) e Marchais (15 per cento).
Come nel 1974 lo scontro è ancora tra Giscard e Mitterrand che si affrontano in un nuovo dibattito televisivo dove questa volta è il socialista a prevalere. Una campagna durissima fatta di moltissimi colpi bassi, durante la quale però Giscard si rifiuta di rendere pubblica una foto di Mitterrand che incontra il maresciallo Pétain nel 1942.
Chirac invece non lesina i colpi bassi: il giorno dopo il primo turno dichiara che “ognuno deve votare secondo coscienza” ma “a titolo personale” avrebbe votato per Giscard. È il “libera tutti” della destra. I neogollisti sostengono senza entusiasmo e con moltissime critiche il presidente al secondo turno. E non solo le critiche. Giscard racconterà più tardi di aver ricevuto una confidenza in punto di morte da Mitterrand:
Lei era imbattibile. Sono stato eletto grazie ai 550,000 voti che Chirac mi ha portato al secondo turno. Basta guardarsi le cifre. Senza quei voti che sono passati da un campo all’altro non sarei stato eletto.
Un’eventualità sempre smentita da Chirac ma che altri esponenti politici di destra e di sinistra presenti all’incontro tra Mitterrand e Chirac hanno confermato. Chirac aveva addirittura messo a disposizione di Mitterrand la lista degli iscritti al partito neogollista per poterli contattare direttamente.
Giscard però non esce di scena, nonstante la sconfitta. Il suo nuovo partito – l’Udf – gli consente di avere una solida base parlamentare grazie alla quale continua la sua guerra con Chirac, prima cercando di convincere Mitterrand a nominarlo primo ministro, poi contrastando la candidatura a presidente di Chirac nel 1988 con l’idea di ripresentare la propria. Nel tempo perde la presa sul proprio partito e quando i rinnovatori del suo stesso partito sostengono la candidatura di Eduard Balladur alla presidenza delle repubblica nel 1995, il candidato della destra europeista e liberale, Giscard inaspettatamente sostiene il nemico di sempre, Chirac.
Un sostegno che l’ex presidente non ha mai spiegato chiaramente ma del quale Chirac non si dimentica quando lo propone per la presidenza della Convenzione sul futuro dell’Europa, la Convenzione Europea destinata a scrivere il Trattato costituzionale europeo, che sarò poi bocciato dai francesi nel 2005 ma i cui contenuti saranno poi parzialmente assorbiti nel Trattato di Lisbona del 2008.
Un’eredità composita quella di Giscard a cui l’attuale presidente Emmanuel Macron si è sicuramente ispirato per lanciare all’epoca la sua candidatura. L’obiettivo stesso di “riformare il paese” è comune ai due presidenti che condividono anche la convinzione che la Francia sia un paese molto difficile da riformare. Come ha raccontato proprio lo stesso Giscard:
La Francia ha grandi difficoltà a riformarsi. Non si riforma. La Francia è un paese che ha una cultura fanatica dei diritti acquisiti: ciò che esiste esiste e noi non abbiamo il diritto di portartelo via. Anche se le circostanze cambiano, si acquisisce ciò che si acquisisce: “Non mi sarà mai tolto”. Appena parli di riforma, sembri attaccare il corpo sociale. Il corpo sociale dice “Ma perché? Le cose sono come sono perché le abbiamo fatte così e tu vuoi cambiarle: è un attacco. Sono contro quest’aggressione”. La prima reazione in Francia a qualsiasi annuncio di riforma è un movimento sociale nella direzione opposta.


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