Il mito del taglio del debito

La possibilità che la Bce cancelli il debito pubblico, magari quello italiano, dal suo bilancio, è più una distopia che altro. Oltre alle ragioni giuridiche che vi ostano, è l’idea stessa a lasciare perplessi.
FRANCESCO MOROSINI
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Il debito pubblico in bilancio di una banca centrale (BC) è cancellabile? Soprattutto, con quali conseguenze per la collettività? Se fosse possibile farlo a zero costi sarebbe l’Eden; o qualcosa molto vicino a esso. Essendovi proposte al riguardo presenti nel dibattito italiano, è bene provare a fare il punto. Da ultimo il tema è stato sollevato dal presidente del Parlamento europeo David Sassoli riferendosi in specie al debito contratto per affrontare le spese relative alla gestione di Covid. La presa di posizione di Sassoli, se contestualizzata al di là della sua stessa dubbia realizzabilità economica, fa capire che, se il tema occupa il centro dell’agenda istituzionale, è perché vi sono dubbi sulla tenuta finanziaria del paese. 

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D’altronde, per far emergere l’ombra del default sovrano sull’Italia basterebbe che la Bce si limitasse ad attuare il suo Pandemic Emergency Purchase Programme (Pepp) rifacendosi letteralmente al “principio del capital key”: cioè acquistando il debito pubblico dei membri dell’Unione monetaria in relazione alle quote di partecipazione al suo capitale. Per fortuna Francoforte “compra italiano”, e di altri, senza attenersi rigidamente alla capital key. Mutasse questa predisposizione (pare si avvertano mugugni al riguardo dalle parti della Bundesbank) le conseguenze per Roma sarebbero, via spread, immediate. Scontato che la politica, che troppo a lungo ha sottovalutato il rischio/debito, sollevi la tematica. Ma la via è quella giusta?

Soprattutto, di cosa si tratta esattamente? E quanto costa? Per alcuni nulla. Per chiarire, è bene provare a mettere ordine. Prima, però, va detto che giuridicamente oggi la via è sbarrata. Luis De Guindos, vice presidente della Bce, ha sottolineato che, altrimenti, i trattati europei ne verrebbero stravolti: in primis l’art.123 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue). In gioco è l’insieme della “filosofia di Maastricht” (già forzata al suo limite interpretativo nell’attuazione delle politiche monetarie non-convenzionali) fondata su di una filosofia di separazione tra bilancio/fisco e moneta. L’istituto di Francoforte è chiaro: cambiare è affare della politica. Si bussi ad altra porta. Mission impossible? Quasi, guardando oltralpe.

Nondimeno, la questione è sul tappeto. Significa che la tentazione è forte e, per effetto di Covid, potrebbe tentare molti, forse perfino Parigi. In ragione di ciò, come anticipato, merita affrontare la tematica. La storia insegna che tagli di debiti vi sono stati, talvolta pure imposti con la forza.

Ad esempio, uno tra i molti, nel 1345 Re Edoardo III d’Inghilterra ripudiò il proprio debito con i banchieri fiorentini mandando all’aria le banche dei Bardi e dei Peruzzi. Insomma, i default, da questo del Quattordicesimo secolo a quello della Russia del 1998, escludono che si tratti di pranzi di gala. Però quella sollevata da ultimo da Sassoli è un’idea che vorrebbe evitare i “normali” default dei debiti pubblici; difatti, essa punta a cancellare solo (si fa per dire) la quota parte di essi che è in bilancio alla Bce.

Se molti sono i dubbi di fattibilità, reale è l’apprensione politica che porta a porre la questione nell’Europa di Covid-19. Alla base il fatto che gran parte dell’Unione monetaria europea (Ume) – il contesto in cui opera la Bce – sarà segnata da un debito pubblico superiore al 120 per cento del Pil; e ciò inevitabilmente diverrà questione di rilievo per più del cinquanta per cento della stessa Ume. Conseguentemente, come il presidente del Parlamento europeo ha intuito politicamente, la pressione per una soluzione lontana dal mainstream tradizionale sarà presente nell’agenda politica dell’Ue e dell’Ume. Ipotizzando la resistenza dei cosiddetti “austeri” dell’Ume, il tentativo di uscire dalla stretta del debito da SARS-CoV2 potrebbe essere micidiale per l’Eurozona.

Ciò posto, cancellare i debiti sovrani detenuti presso la Bce sarebbe una buona soluzione? O, piuttosto, un’opzione con scarse probabilità positive, forse zero e con molte incognite? Vediamo. È vero che, se si considera una BC parte dello stato, consolidando il bilancio di quest’ultimo (col debito pubblico al passivo) con quello della prima (dove per definizione il debito pubblico è un asset dell’attivo), potrebbe aversi una semplice partita di giro. Quindi, andando tutto per il meglio (escludendo i rischi) sarebbe una sorta di maquillage contabile dai pochi vantaggi. Un’operazione cui diffidare se il beneficio, probabilmente nullo, apre a potenziali azzardi. Tra questi le conseguenze sulla credibilità della moneta del conseguente “schiacciamento” dell’autorità monetaria sulla politica.

Effetto in primis del ridursi di una BC a braccio del tesoro; poi aggravato dal fatto che l’eventuale intervento dello stato di ricapitalizzazione della BC (al fine di compensare l’azzeramento del debito sovrano nel suo bilancio) ne lede la reputazione di indipendenza presso i mercati. Che si tratti di un problema lo chiarisce il sociologo Niklas Luhmann il quale ricorda come attraverso la credibilità di una BC l’istituzione denaro debba godere

[…] di una protezione pari a un diritto fondamentale mediante la protezione del diritto individuale a disporre di denaro e di beni aventi valore monetario e, dunque, anche mediante la garanzia delle basi di fiducia del sistema nei confronti di possibili interventi dello stato (Luhmann, N., I diritti fondamentali come istituzione, Edizioni Dedalo, 2002).

Uno dei presupposti dell’azzeramento del debito sovrano (o di sua parte) che affascina la politica (di qualunque colore) è che, in apparenza, nessuno ci rimette. Ma è proprio così? La tesi è che, alla fine, è un debito dello Stato con sé stesso; di conseguenza, a differenza dei default veri e propri, nessun creditore (è l’illusione, come anticipato, di una semplice partita di giro) pagherebbe pegno. Il guaio è che pagherebbero pegno i detentori della moneta emessa da quella BC. Perché? Per la ragione che questa, cancellando il proprio attivo, subirebbe, appunto, un evidente danno reputazionale che facilmente cadrebbe sulla moneta da essa emessa. Che poi, come vedremo, è il modo in cui le BC fanno default.

Alla radice di questa impostazione c’è una particolare convinzione propria in particolare della Modern Monetary Theory (MMT) per la quale, essendo una BC in grado di creare moneta in modo illimitato, ne consegue che sarebbe senza limiti la sua capacità di acquistare debito sovrano. Di conseguenza, la cancellazione di questi stessi titoli sarebbe priva di effetti per il motivo che le perdite al suo attivo potrebbero sempre essere coperte “stampando” più moneta (cfr. per una presentazione della MMT in italiano W. Mosler, Economia della Valuta Moderna, Edizioni Sì; viceversa, per un’analisi critica dal punto di vista mainstream G. Mankiw, Guida scettica alla Modern Monetary Theory, IBL Occasional Paper, 7/8/20).

È però dubbio che la cosa sia così semplice e “innocua”. La domanda è: cosa succederebbe a una BC se appunto bruciasse i titoli sovrani in bilancio? Fallirebbe o no? E cosa vuol dire “fallimento di una BC”? Prima, però, è utile riprendere quanto precedentemente affermato relativamente al consolidamento di bilancio tra Stato e BC. Se, come detto, tutto si limitasse ad una semplice partita di giro, il vantaggio sarebbe nullo e l’operazione inutile. Ma, è bene ripeterlo, con altra probabilità ci sarebbero dei rischi. A partire dal fatto che la moneta così emessa lo sarebbe, diversamente da come tuttora accade, senza il corrispettivo di asset: pura fiat money, emessa senza contropartite e in modo pienamente discrezionale. Di per sé già un bell’azzardo.

Christine Lagarde, governatrice della Bce

Poi vi sarebbero i costi. Si è già detto che ciò potrebbe indurre l’autorità politica ad intervenire per evitare il crollo reputazionale della BC ricapitalizzandola. Poiché questo dovrebbe avvenire attraverso il ricorso al bilancio dello stato, il rifinanziamento/ricostruzione del capitale della BC richiederebbe nuove tasse. Palesemente, un costo per il contribuente; in tal modo la cancellazione del debito sovrano presso una BC al minimo mostrerebbe di essere tutto meno che neutrale in termini di distribuzione del reddito. Poi le politiche monetarie ultra espansive favoriscono i mercati finanziari a scapito della produzione. Infine, resta in campo il tema del possibile fallimento di una BC.

Nel senso che la fattibilità di “stampare” moneta senza limiti in nulla lo esclude. Semplicemente, rispetto ad una azienda di credito ordinaria, ne modifica le modalità. Insomma, è utopico ritenere che una BC sia per questo immunizzata dal finire in default. Vero, la tesi opposta (per una critica a essa T. Monacelli, La folle illusione di un falò da 250 miliardi di debito, lavoce.info, 18/05/18) afferma che in regime di fiat money le perdite di bilancio di una BC, potendo ripianarne le perdite della cancellazione di asset all’attivo di bilancio compensando con moneta, sono un falso problema. Conseguentemente, per questa impostazione il concetto di default di una BC è, al massimo, un falso concetto. Il guaio è che l’escludere il default di una BC è plausibile solo in apparenza.

A questo proposito, con ragione, Monacelli rileva una sorta di paradosso ragionieristico. L’economista, infatti, sottolinea come il

[…] ripianare una perdita di 100 euro dal lato delle attività (il falò dei titoli) stampando moneta sarebbe equivalente a ripianare un minore attivo di bilancio incrementando le passività (invece di diminuirle). Non proprio una condotta da buon contabile. Anzi, una follia.

Purtuttavia, si potrebbe obiettare che ciò che vale per una normale azienda (i vincoli di bilancio che le impongono di procurarsi la moneta con cui far fronte ai debiti) è privo di rilevanza per una BC che, come precedentemente detto, stampando moneta si sottrae ai vincoli finanziari. Ma è proprio vero che il default è escluso per le BC?

Forse, più semplicemente, per esse si manifesta in altro modo: ossia col rigetto della moneta emessa. Cosa piuttosto probabile. Pertanto, il rischio è alto; anche perché si entrerebbe in un mondo la cui logica di creazione monetaria sarebbe completamente altra: ben oltre il corso forzoso, di puro fiat money. Si tratterebbe, per chi lo propone, di un esperimento estremo. Ma basterebbe il “timbro” dello stato, per di più a copertura del “gioco di prestigio” della cancellazione del debito in bilancio alla BC, a evitare la tempesta? Esiste un “potere di firma” pubblico tanto evocativo di potenza ed incanto? In definitiva, sarebbe un esperimento di difficile riuscita; pertanto il rapporto rischio/posta in gioco appare da subito eccessivo.

Più probabile, all’inverso, che l’idea di poter disporre dell’attivo di una BC possa portarla al default (S. Nisicò, Sembra facile cancellare il debito, ma la storia dice di no, lavoce.info, 05/06/18). Certo, mancherebbe la chiusura di sedi e sportelli secondo la forma tipica dei default della banche ordinarie. Perché è vero: una BC, emettendo le unità di conto, è altro da una banca ordinaria. Infatti qui il default si manifesterebbe attraverso la caduta di valore della moneta fiduciaria emessa. In altri termini, per una BC l’insolvenza equivale alla perdita di reputazione, sua e della sua valuta. Ecco perché il default di una BC è possibile.

Allora, salvo scatenare uno tsunami finanziario/monetario/economico, è precluso alle BC operare con capitale negativo? No, per brevi periodi. La stessa Bce (Profit distribution and loss coverage rules for central banks, Occasional Paper Series, n. 169, Aprile 2016), riconosce che le BC, ponendo in campo politiche monetarie straordinarie in risposta a situazioni critiche, possono incorrere in perdite e trovarsi con capitale negativo; pertanto rileva:

Central banks are protected from insolvency due to their ability to create money and can therefore operate with negative equity (ivi, nota 7, p. 14).

Ma sono situazioni temporanee, da correggere; e dove, quantomeno, è lesa l’indipendenza politica del banchiere centrale.

In sintesi, la possibilità che la Bce cancelli il debito pubblico, magari quelli italiano, dal suo bilancio, è più una distopia che altro. Oltre alle ragioni giuridiche che vi ostano (si tratterebbe di smontare l’assetto giuridico e la relativa filosofia su cui si è edificato Maastricht), è l’idea stessa a lasciare perplessi. La tenuta finanziaria dell’Italia ora dipende esclusivamente dalla sospensione della regola della capital key relativamente Pepp della Bce e necessità di credibilità per godere del Next Generation; conseguentemente, pare una pessima scelta dei tempi quella di lanciare l’idea del “falò” di gran parte del suo debito pubblico. Al di là dei pericoli oggettivi dell’operazione, proporla oggi fa venire in mente “Dio acceca chi vuol perdere”. Attenzione, il ghiaccio è sottile.

Mario Draghi, ex governatore della Bce
Il mito del taglio del debito ultima modifica: 2020-12-04T10:23:34+01:00 da FRANCESCO MOROSINI
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